28
JEAN BAPTISTE PILLEMENT
(Lione, 1727 - 1808)
Paesaggio fluviale con figure
Firmato in basso a sinistra
Olio su tela, cm 74,5X103
La vernice particolarmente ossidata non limita la possibilità di valutare la buona conservazione e l'alta qualità del dipinto, mentre lo stile conduce all'attribuzione comprovata dalla firma posta in basso a destra. Si presume che l'esecuzione si collochi alla piena maturità dell'artista, tra l'ottavo e il nono decennio, quindi subito dopo il documentato viaggio in Italia e la sua produzione paesistica diviene di straordinaria raffinatezza. Le opere di questi anni sono ammirevoli per la sorprendente interpretazione atmosferica e non fu un caso che la carriera e la fama di Pillement si possono considerare cosmopolite. Il pittore condusse la singolare esistenza dell'uomo illuminista, dell'artista europeo, viaggiando da Parigi al Portogallo, passando a Londra per poi raggiungere Vienna, Varsavia, San Pietroburgo e compiere il viaggio in Italia secondo le tappe obbligate del Grand Tour, visitando Torino, Milano, Venezia e Roma. La versatilità è stato un altro aspetto importante e le sue creazioni fornirono disegni e idee per produrre arazzi, decorazioni ceramiche, carte da parati e incisioni. Tornando alla nostra opera cogliamo da parte del pittore il superamento del gusto vernettiano valorizzando gli aspetti culturali che risentono in maniera marcata delle teorie enciclopediche elaborate soprattutto da Montesquieu, secondo le quali il clima, l'aspetto del cielo e il territorio determinano il carattere e la storia dei popoli e questo presupposto influì indubbiamente sull'impeccabile elaborazione formale della sua produzione.

Bibliografia di riferimento:
P. Mitchell, 'Jean Pillement revalued', in 'Apollo',117, 1983, pp. 46-49
ESTIMATE € 10.000 - 15.000
31
GIOVANNI BATTISTA MERANO
(Genova, 1632 - Piacenza, 1698)
L'angelo custode
Olio su tela, cm 227X157
Provenienza: Genova, Collezione Consonno, 1673 (?)
Bibliografia: V. Belloni, 'Penne, pennelli e quadrerie', Genova 1973, p. 59 cat. 31 - 32
D. Sanguineti,'Ebbe il nostro Valerio Quattro Discepoli..' , in 'Valerio Castello 1624 - 1659: genio moderno', catalogo della mostra a cura di M.Cataldi Gallo, L.Leoncini, C.Manzitti, D.Sanguineti, Milano 2008, p. 126, fig. 50
M. Newcome, G. Cirillo, 'Giovanni Battista Merano', Torino 2010, pp. 44 - 45, n. 4

Attribuita da Camillo Manzitti e in seguito pubblicata da Mary Newcome e Daniele Sanguineti, la tela durante il tardo XVII secolo apparteneva verosimilmente alla Collezione Consonno di Genova, il cui inventario registra un quadro di analoghe dimensioni: di palmi 9 e 7 con figura dell'angelo custode, che si dice di merano (Belloni, 1973). L'opera esprime la prima 'idea' o versione rispetto a quella destinata al Convento di Marcasso in Corsica (Sanguineti, p. 125) e il modello illustrativo deriva dalle simili conposizioni di Bartolomeo Biscaino, qua rinnovate attraverso un linguaggio di marcato tono barocco desunto dal Castiglione e dal cortonismo romano. E'importante in questa sede evidenziare che nonostante alcune cadute di colore (non corrispondenti ai brani pittorici principali ossia quelli figurati) il tessuto pittorico è in buone condizioni di conservazione mostrando gustosi spessori della pasta pittorica e i passaggi a velatura. Ciò consente il pieno godimento estetico dell'immagine, della sua alta qualità e del preziosismo dei pigmenti, come si evince osservando non solo la smagliante veste vermiglia e il mantello blu indossati dall'angelo, ma altresì gli incarnati e il biancore opalescente delle ali. Altrettanto meritevole d'attenzione è la toccante espressione del bimbo, il cui sguardo sorpreso è descritto dall'artista con magistrale bravura e introspezione psicologica, alla stregua di un ritratto colto dal vero. Queste considerazioni ci consentono di giudicare il dipinto tra le migliori interpretazioni dell'artista e un tassello importante per comprendere l'evoluzione del barocco ligustico alla metà del secolo di cui il Merano fu certo protagonista.
ESTIMATE € 10.000 - 15.000
87
GIACOMO RECCO
(Napoli, 1603 - ante 1653)
Vaso con fiori
Olio su tela, cm 75X62
Il dipinto è stato ricondotto al corpus di Giacomo Recco da Nicola Spinosa e raffigura un elegante vaso fiorito decorato in azzurro su sfondo bianco poggiato su un piano di roccia. L'esuberante bouquet dai vivaci colori in cui prevalgono diverse tipologie di tulipani si staglia su un fondale scuro secondo una modalità scenica tipicamente caravaggesca. Giacomo Recco fratello di Giovan Battista e padre di Giuseppe è uno dei principali protagonisti della 'natura in posa' napoletana di primo Seicento. La sua specializzazione non era solo incentrata a creare eleganti vasi fioriti, ma altresì gustosi interni di cucina e strabilianti rappresentazioni ittiche da cui prese l'avvio il magistero di Paolo Porpora. Resta tuttavia certa la prerogativa del pittore insieme a Luca Forte di dar inizio alla natura morta napoletana e in particolare l'invenzione di iconiche composizioni floreali sulla scia di Tommaso Salini e in analogia con il romano Mario Nuzzi.

L'opera è corredata da una scheda critica di Nicola Spinosa.

Bibliografia di riferimento:
A. Tecce, in La natura morta a Napoli, in La natura morta in Italia, a cura di Federico Zeri e Francesco Porzio, Milano 1989, vol. II, pp. 880 - 885

A.Tecce, in Ritorno al Barocco, da Caravaggio a Vanvitelli, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, Napoli 2009, pp. 356 - 357

N.Spinosa, Pittura del seicento a Napoli da Mattia Preti a Luca Giordano. Natura in posa, Napoli 2011, pp. 274 - 275
ESTIMATE € 10.000 - 15.000
97
PITTORE ATTIVO A ROMA NEL XVII SECOLO
Capriccio architettonico con figure
Olio su tela, cm 67X135
Siglato: W..
Raffigurante un'architettura ideale inserita in spazi armoniosi e ordinati che riflettono una concezione utopistica di chiara memoria codazziana, la tela si attribuisce a un artista attivo a Roma durante i decenni che precedono la metà del XVII Secolo. La luminosità delicata e l'intento prettamente scenografico rammentano altresì le composizioni di Alessandro Salucci ma interpretate con minor impatto sentimentale riflettendo un lessico stilistico riconoscibile nelle opere di Filippo Gagliardi (Roma?, circa 1606 - 1659). L'artista, noto con il soprannome di 'Filippo delle prospettive', è da considerarsi un quadraturista raffinato e versatile, la cui produzione oltre a esprimere l'influenza di Viviano Codazzi sembra adattarsi alle creazioni di Agostino Tassi, proponendo un lessico personale, riconoscibile e di qualità. Le sue creazioni architettoniche manifestano sapienti sequenze prospettiche, ben cadenzate grazie a precise ombre riportate e dando vita a una valenza ornamentale che sembra precedere le innovative fantasie architettoniche settecentesche.

Bibliografia di riferimento:
D. Ryeley Marshall, Viviano and Niccolò Codazzi and the Baroque Architectural Fantasy, Milano-Roma, 1993, 519 - 555.
ESTIMATE € 10.000 - 15.000
170
ELENA RECCO
(Attiva a Napoli tra il XVII e il XVIII secolo)
Natura morta con pesci e crostacei
Olio su tela, cm 113X165
Le dimensioni, la luminosità e la vivace costruzione scenica designano la qualità della natura morta in esame e conducono la ricerca attributiva all'ambito della prolifica e longeva bottega dei Recco. I caratteri di stile suggeriscono il nome di Elena, figlia di Giuseppe e il cui ruolo nel panorama artistico partenopeo all'inizio del settecento segna l'avvenuta propensione rococò a discapito del rigore naturalistico barocco, propensione che percepiamo altresì in Francesco Della Questa (? 1639 ca. Napoli 1723), anch'esso artefice di non pochi 'trionfi' ittici, in cui le diverse specie marine riverse su uno scoglio influenzarono certamente la visione fastosamente decorativa della pittrice. Pesci di diverse forme e colori, crostacei e coralli, descritti con esperto realismo che si stagliano teatralmente su un fondale scuro che contrasta con l'azzurro intenso del cielo, a dimostrazione della qualità artistica di Elena che alla sua epoca fu ricevuta dalla corte spagnola di Carlo II con 'tutti quelli onori che può desiderare qualsiasi qualificato personaggio' (B. De Dominici, 1971, III, p. 297).

Bibliografia di riferimento:
B. de'' Dominici, Vite de'' pittori, scultori, ed architetti napoletani, III, Napoli 1742-44, pag. 297.
L. Salerno, La natura morta italiana, 1560 - 1805, Roma 1984, p. 243, fig. 63.1
R. Middione, in La Natura morta in Italia, a cura di Francesco Porzio e Federico Zeri, II, Milano 1989, p. 912, fig. 1101 - 1102.
ESTIMATE € 10.000 - 15.000
171
GIAN DOMENICO LOMBARDI
(Lucca, 1682 - 1751)
Giovane coppia con vecchia che conta danaro
Olio su tela, cm 100X130
Bibliografia:
A.Crispo, Itinerari di Giovan Domenico Lombardi tra Lucca, Roma e il settentrione, in 'Nuovi Studi', VIII, 10 (2003), 2004, pp. 207 - 221, fig. 218.

Artista di spicco del primo settecento lucchese, Gian Domenico Lombardi è stato solo recentemente studiato e il profilarsi della sua produzione evidenzia una cultura proteiforme, influenzata dall'arte lombarda, emiliana e romana. Le sue creazioni presentano la peculiare capacità d'esprimersi attraverso i linguaggi del tardo barocco, del classicismo capitolino e della coeva eloquenza toscana, riuscendo altresì a pronunciare diversi registri narrativi, intervallando il genere 'basso' e bambocciante con la pittura di storia e il ritratto, come evidenziano le tele conservate al Museo di Roma già riferite al Ghezzi. Altrettanto evidenti sono le suggestioni desunte dal Paolini, percepibili osservando il Vecchio che suona il violone e due giovani cantanti della collezione Giulio Alfonsi di Vicenza (Cfr. A. Crispo, fig. 207). Questa influenza ha indubbiamente reso sensibile il Lombardi nei confronti della pittura a carattere pitocchesco di radice nord italiana e lo si evince osservando la tela in esame che par riassumere al meglio la tradizione delle 'pitture ridicole' tanto da indurre Francesco Porzio a considerare il nostro autore l'unico significativo rappresentante d'impronta comico - popolare in Toscana. I volti del tutto privi di idealizzazione, marcati da una sottolineatura mimica di stampo caricaturale, la vena sottilmente ironica che intride le raffigurazioni insieme a energici contrasti chiaroscurali che conferiscono risalto ai volumi rilevano il naturalismo intellettuale dell'artista, non ignaro della tradizione teatrale e burlesca, la medesima che in quegli anni esprimono a esempio Giacomo Ceruti e Gaspare Traversi. Il tema raffigurato è anch'esso esemplare, alludendo all'avarizia, alle tre età dell'uomo e a sottili sottintesi erotici carnevaleschi con una precisa dinamica gestuale che trascende il semplice ammonimento morale. La vecchia che conta i soldi da raffigurazione dell'avarizia diviene mezzana e la pipa del giovane è allusione sessuale rivolta alla parte femminile che di soppiatto ruba alcune monete, innescando i molteplici livelli di lettura iconologica dell'immagine.

Bibliografia di riferimento:
S. Meloni Trkulja, Apertura su G.D. L., in Studi di storia dell'arte in onore di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1994, pp. 328 - 333
F. Moro, Viaggio nel 600 toscano: dipinti e disegni inediti, Mantova 2006, pp. 163 - 168
F. Porzio, Pitture ridicole. Scene di genere e tradizione popolare, Milano 2008, p. 113, n. 2.
ESTIMATE € 10.000 - 15.000
72
ANDREA VACCARO
(Napoli, 1604 - 1670)
San Sebastiano
Olio su tela, cm 81,5X65
Bibliografia:Giovanna Festa, in Il Seicento Sacro, catalogo della mostra a cura di Gianni Citro, Policastro 2012, pp. 44 - 45.
Opera che coniuga il caravaggismo partenopeo con la cultura emiliana e in modo particolare con gli aulici esempi reniani che l'artista acquisisce ed elabora attorno al quinto decennio, in sintonia con Massimo Stanzione e Bernardo Cavallino. Il dipinto raffigura il santo secondo la consueta tradizione iconografica, ma offre una mitigata rappresentazione del martirio eludendone gli aspetti drammatici. Il giovane, colto in primo piano, risalta sul fondale scuro grazie a una regia luministica che ne evidenzia la bellezza apollinea, le tonalità sono fredde, dal sapore porcellanato ma atte a modellare l'anatomia costruita con marcati passaggi d'ombra, creando un costrasto con la languidità scenica della posa. A confronto possiamo citare i dipinti di medesimo soggetto appartenenti alla Collezione Salomon di Milano e di collezione privata genovese, entrambi pubblicati da Nicola Spinosa nel catalogo della mostra 'Civiltà del Seicento a Napoli' (Napoli, 1984, vol. I, pag. 180 e vol. I, n. 2.268) che, databili allo scadere del quarto decennio, offrono un adeguato paramentro cronologico per collocare la tela in esame a un momento di poco succesivo.
ESTIMATE € 11.000 - 13.000
58
MARCO RICCI
(Belluno, 1676 - Venezia, 1730)
Nevicata
Olio su tela, cm 54X73
L'opera presenta una ragguardevole qualità pittorica e partecipa alla tradizione illustrativa settecentesca che si dimostra aperta e sensibile al mondo della natura nelle sue diverse realtà atmosferiche. Nipote di Sebastiano Ricci, con il quale collaborò, Marco fu uno dei più importanti protagonisti del paesismo veneto, a sua volta formatosi sui modelli non solo della propria tradizione familiare e culturale, ma altresì sugli esempi nordici di Johann Anton Eismann e specialmente di Pieter Mulier detto il Tempesta, ma altrettanto decisiva alla sua evoluzione artistica fu la poetica di Alessandro Magnasco, dal quale acquisì la pennellata rapida e sciolta. L'immagine descrive una veduta invernale, con un lago ghiacciato, montagne imbiancate, rustiche case avvolte dal gelo e figure velocemente tratteggiate a macchie di colore; caratteristiche che trovano analogia con le tempere già appartenenti alla collezione di George Proctor a Langlay Park a Norfolk (1742) che databili tra il secondo e il terzo decennio offrono un utile riscontro cronologico alla tela in esame. La presenza della torre cilindrica e dell'uomo che esce dall'acqua sono altresì aspetti coincidenti e trovano un ulteriore riferimento a un disegno conservato a Windsor. Un successivo utile confronto si ha nel 'Paesaggio invernale a Ponte nelle Alpi' (Scarpa, p. 134, n. 96), a sua volta prossimo a 'Inverno' già di Collezione Dal Zotto (Scarpa, fig. 44.cat. 93), in cui la tematica invernale diviene il pretesto per sperimentare un uso del colore in chiave atmosferica (fig. 1).

Bibliografia di riferimento:
A. Scarpa Sonino, Marco Ricci, Milano, 1991, fig. 212, cat. T14; fig. 213, cat.T113, fig. 214, cat.96
Marco Ricci e il Paesaggio Veneto del Settecento, a cura di Dario Succi e Annalia Delneri, Milano, 1993, nn. 20, 21
ESTIMATE € 12.000 - 14.000
74
ANTON MARIA VASSALLO
(Genova, 1617/18 - Milano, 1660)
Ritratto di gentiluomo della famiglia Raggi
Olio su tela, cm 180X130
Nella biografia che lo storiografo Raffaello Soprani dedicò ad Anton Maria Vassallo si legge: 'Molti, e numerosi sono li ritratti al naturale fatti dal nostro Vassallo, ne quali tutti, si portò perfettamente, havendoli espressi, & effigiati al vivo con soddisfazione universale nella qual faccenda hebbe felicità grande, e fù molto accreditato' (Soprani 1674, p. 228). A lungo confuso con quello di altri pittori, il corpus ritrattistico del Vassallo ha recentemente preso forma, a partire dalla monografia del 1999 (A. Orlando, Anton Maria Vassallo, Genova 1999; A. Orlando, Pittura fiammingo-genovese..., Torino 2012, pp. 160-167).
Come in altri casi resi noti, questo inedito che viene ad aggiungersi al novero delle prove ritrattistiche del Vassallo, mostra quanto il pittore sia fortemente debitore nei confronti dei modelli di Rubens e Van Dyck, innanzi tutto dal punto di vista dell'impostazione scenica. I due maestri fiamminghi avevano trasformato i più convenzionali e freddi ritratti cosiddetti 'internazionali' in pagine di naturalismo in cui l'effigiato si mostra nelle sue pieghe più nascoste e intime, delle espressioni e dei suoi sentimenti.
Il Vassallo sposa il credo naturalista e si afferma sulla piazza genovese come pittore ricercato dall'aristocrazia quando sia l'uno sia l'altro maestro nordico avevano lasciato la Superba. Il Vassallo, cioè, è senza dubbio tra i più accreditati ritrattisti a Genova nel secondo quarto del XVII secolo, insieme a Luciano Borzone e a Jan Roos, genovese il primo e fiammingo il secondo.
Vediamo qui un gentiluomo posare in piedi nell'atto di indicare con la sinistra qualcosa che gli sta accanto o semplicemente per attrarre l'attenzione del riguardante. Forse vuole fare notare quello scorcio di paesaggio in cui il Vassallo traccia con pennellate veloci e sommarie, come è proprio del suo stile verace, delle colline con alcuni edifici, piccole casette e casolari: forse un borgo sulle alture liguri di proprietà dell'effigiato o che ne indica l'origine. Qualcosa di analogo accade per il 'Ritratto del Cardinale Lorenzo Raggi' di collezione privata che mostra un inserto con la veduta della Lanterna di Genova con le galee della flotta pontificia (di cui si scorgono le insegne chiaramente su una delle navi): un inserto di 'genovesità' per richiamare il legame con la propria città per il cardinale residente a Roma e forse anche con il suo altolocato zio Tommaso, fratello di Ottaviano, che nel 1643 divenne commissario delle galee, cioè ammiraglio della flotta del Pontefice (cfr. A. Orlando, Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 210, pp. 192-193).
L'inedito assume particolare importanza collezionistica, non solo come aggiunta al corpus ritrattistico del pittore, ma per la presenza di uno stemma che si scorge sulla base della colonna di sinistra e che è riconoscibile. Si tratta dell'arma Raggi, caratterizzata da un leone coronato rampante e da una banda. La famiglia genovese è nota per avere costituito una vera e propria galleria di ritratti, di cui se ne conoscono oggi una quindicina. Hanno vario formato, tra i mezzi busti e la figura intera e vedono coinvolti diversi artisti: da Van Dyck a Bernardo Strozzi, da Luciano Borzone a Jan Roos, al Vassallo (cfr. P. Boccardo e A. Orlando in L'Età di Rubens, catalogo della mostra di Genova 2004). Questo inedito, pur non essendoci a oggi elementi per individuarne l'esatta identità, rappresenta dunque un nuovo tassello per la ricostruzione di uno degli episodi di committenza e collezionismo più interessanti per la Genova del Seicento.
ESTIMATE € 15.000 - 20.000
123
PITTORE DEL XVI-XVII SECOLO
Adorazione dei pastori
Olio su tavola, cm 70X59
Già attribuita a un artista senese di ambiente Beccafumiano, la tavola per i carattari di stile e scrittura si riconduce a un artista lombardo attivo durante la seconda metà del XVI Secolo. La peculiare coreografia a lume di notte e il naturalismo espresso dai brani di figura, inducono a indagare quel variegato ambito che da Brescia e Bergamo rinnova il linguaggio pittorico della maniera, creando i presupposti per le successive e moderne creazioni degli Inccaminati e di Michelangelo Merisi, senza trascurare i precoci esperimenti a luce artificiale ideati dal genovese luca Cambiaso. L'humus di cui parliamo va identificato nelle personalità di Lotto, Savoldo, Moretto, Moroni e le idee che provenivano dal retroterra veneto formulate dai Bassano. Dall'altro lato non si devono trascurare gli apporti della cultura milanese, dettata da Simone Peterzano e infine, ma non ultimi per importanza, la partecipazione dei Campi cremonesi per delineare quella che la critica moderna definisce i pittori della realtà, oltremodo indagata in questi ultimi decenni da diverse mostre e ricerche. L'inquadrare culturalmente e cronologicamente l'opera ci conduce quindi a un diretto confronto con un protagonista poco noto ma decisamente importante di questo filone espressivo che è Luca Cattapane di cui non conosciamo i riferimenti biografici ma che Antonio Campi, nel 1585, lo dice giovane amatore dell'arte, discepolo di Vincenzo Campi. Nel 1597 firma e data sullo spadone del carnefice la Decollazione del Battista, già nella chiesa cremonese di S. Donato e trasferita, dopo le soppressioni napoleoniche, in quella della Maddalena. Non possediamo altre notizie sulla vita di questo singolare artefice, tuttavia le critiche a lui rivolte quale mediocre seguace dei Campi come indicato dal Baldinucci e rappresentante di media levatura della pittura lombarda che negli ultimi venti anni del Cinquecento ricerca il dato naturale, rappresentano letture che contrastano con la qualità delle sue opere, tutt'altro che da sottovalutare. Il dipinto che ci consente una migliore analisi attributiva è la pala d'altare raffigurtante l'Adorazione dei pastori conservata presso la Casa Parrocchiale di Maleo (olio su tela, cm 251X184) che presenta un similare impianto scenico e dove alcune figure mostrano interessanti analogie formali (fig. 1). Tornando alla Decollazione di San Giovanni Battista prima citata, possiamo invece riscontrare come il volto della Salomè è simile a quello della Vergine e la comune datazione all'ultimo quinquennio del secolo, attorno al 1596 -1597 coincidente con l'Adorazione dei pastori di Maleo, pone la data del dipinto qui presentato ad un analogo momento cronologico.

Bibliografia di riferimento:
F. Baldinucci,Notizie dei professori del disegno.., II, Firenze 1846, p. 489
L. Rossigni Zappieri, Luca Cattapane, in I Campi. Cultura artistica cremonese del Cinquecento, a cura di Mina Gregori, Milano 1985, pp. 255-258
V. Guazzoni, Luca Cattapane, in Pittura a Crema, dal Romanico al Settecento, a cura di Mina Gregori, Milano 1990, pp. 282 -286
Pittori della realtà. Le ragioni di una rivoluzione. Da Foppa e Leonardo a Caravaggio e Ceruti, catalogo della mostra a cura di Mina Gregori, Keith Christiasen e Andrea Bayer, Milano 2004.
ESTIMATE € 15.000 - 18.000
157
FRANCESCO SOLIMENA
(Canale di Serino, 1657 - Napoli, 1747)
La conversione di Saulo
Olio su tela, cm 124X99
La 'Sacrestia di Solimena' nella Basilica di san Paolo Maggiore a Napoli è un ambiente interamente affrescato tra il 1689 e il 1690. Si tratta per qualità e magnificenza di una tra le principali imprese giovanili dell'artista, quando l'estro e la pennellata evocano straordinarie macchine sceniche, ricche di colore e vitalità narrativa. Il modelletto di presentazione qui esaminato offre l'opportunità di coglierne il procedimento creativo e di comprendere quanto sia ancora efficace in questo momento storico la lezione giordanesca, nondimeno esibita con un vigore e una modernità che travalica la sensibilità barocca preannunciando l'evoluzione in chiave settecentesca della grande decorazione. La composizione con sapienza onnivora ingloba in se il migliore magistero della teatralità e un cromatismo tenebroso ma estremamente variegato che all'epoca solo la cultura partenopea era in grado d'esprimere. Aveva tutte le motivazioni il De Dominici a definire il Solimena uno 'spirito speculativo' che dalla filosofia si applicò all'arte, infatti, introducendo il brano dedicato alla sacrestia dei padri teatini il biografo dichiara che 'qual lode sarà mai che basti per l'opera che son per descrivere?' e prosegue elogiando la perfezione del dipingere a fresco che 'si è giammai veduta nei passati e moderni pittori, né simile bellezza del colorito, nobiltà di sembianti, idee perfettissime, diversità nelle fisionomie, e componimenti ottimi, con bellissimi contrapposti', parole che calzano alla perfezione per il nostro 'monumentale' studio a olio (Cfr. De Dominici 1743, III, pp. 585 - 586). Tornando all'ambiente, gli affreschi sono incorniciati da decorazioni di stucco a motivi fitomorfi e floreali eseguiti attorno al 1687 da Lorenzo Vaccaro e le pareti di fondo accolgono due grandiose scene quali La Caduta di Simon Mago, firmata e datata 1690 e la Caduta di San Paolo, firmata e datata 1689, mentre nella volta e nelle centine laterali sono rappresentate le Allegorie delle Virtù, prototipi autentici di tanta pittura rocaille fino al tempo di Fragonard. L'impressione d'insieme è a dir poco grandiosa, non solo per la qualità prettamente estetica ma anche per la regia complessiva che pare inarrestabile e al contempo arginata dalle vaste rappresentazioni poste agli estremi della sala e che il modelletto evoca con una forza straordinaria e toccante. E' impressionante osservare gli innumerevoli passaggi di colore e delle velature e al contempo accorgersi del rigoroso impianto prospettico e disegnativo. Le figure, le mani e i panneggi son qua delineati con magistrale sapienza mentre l'impasto evoca in maniera sorprendente il clamore dell'evento miracoloso, la concitazione drammatica dei gesti.

Bibliografia di riferimento:
G. Wiedmann, Francesco Solimena e Gli affreschi della Sacrestia di S. Paolo Maggiore di Napoli, in Angelo e Francesco Solimena due culture a confronto, a cura di Vega de Martini e Antonio Braca, Napoli 1994, pp. 175 - 185, fig. p. 186 con bibliografia precedente.
ESTIMATE € 15.000 - 25.000
86
ANDREA DE LIONE
(Napoli, 1596 - 1685)
Viaggio di Giacobbe con guerriero, pastori e armenti
Olio su tela, cm 59,7X75,9
Bibliografia:N.Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli 2010, p. 216, n. 99
L'opera qui presentata è stata riconosciuta al catalogo di Andrea De Lione da Nicola Spinosa. Allievo di Belisario Corenzio e poi di Aniello Falcone insieme a Salvator Rosa e Micco Spadaro, l'artista si pone tra le principali figure del Barocco napoletano. Altrettanto fondamentale per la sua evoluzione stilistica fu la collaborazione con il genovese Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, documentato a Napoli nel 1635 e con il quale l'artista instaurerà un proficuo sodalizio e, in certi casi, una vera e propria simbiosi pittorica. Forse è grazie alla fusione tra queste esperienze che nasce la nostra composizione, nel quale il tema sacro diviene pretesto per rappresentare una complessa natura morta e al contempo una narrazione biblica espressa con la sensibilità cromatica neoveneta e pussiniana d'ascendenza romana alla stregua di un episodio bellico. Al genovese va ricondotta l'atmosfera preziosa e delicata in cui sono campiti e messi insieme i colori, inseguendo un gusto raffinato e vivace, mentre a Poussin si deve l'impostazione classica e severamente di profilo dei volti, oltre all'impaginazione e al paesaggio idealizzato del fondo. Sul tema del viaggio di Giacobbe, il De Lione si cimenta più volte, a partire dal celebre dipinto conservato al Kunsthistoriches di Vienna, a lungo ritenuto del Castiglione fino a quando il Longhi non scoprì la sigla ADL su di una giara posta al centro della composizione. Queste coordinate di stile ci consentono di collocare cronologicamente la tela tra il 1635 e il 1640, in analogia con la 'Battaglia' del Louvre, 'Gli elefanti al Circo' del Prado, il 'Baccanale' già Matthiessen e il dipinto pubblicato da Brejon de Lavergnée nel 1984 raffigurante i 'Pirati' conservato al Maurithsuis Museum all'Aja.
Bibliografia di riferimento: A. Brejon de Lavergnée, Nouvelles toiles d'Andrea di Lione. Essai de catalogue, in Scritti di Storia dell'arte in onore di Federico Zeri, Milano 1984, II, p. 667, fig. 651
ESTIMATE € 17.000 - 20.000