47
PITTORE DEL XV SECOLO
Madonna in trono e Santi
Cuspide con crocifissione
Olio su tavola, cm 46x35 + Cuspide cm 13x35
La tavola raffigura la Madonna in trono tra alcuni santi. Per lo stile, questa tempera si attesta quale prodotto della cultura pittorica toscana durante i primi decenni del XV secolo. La tradizionale attribuzione a Pseudo Ambrogio di Baldese - oggi riconosciuto in Lippo d'Andrea (Firenze, 1377-1457ca.) - come confermato dai recenti studi di Linda Pisani (Pittura tardogotica a Firenze negli anni trenta del Quattrocento: il caso dello Pseudo-Ambrogio di Baldese, in 'Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz', XXXXV, 2001, pp. 1-36) e Sonia Chiodo (Lippo d'Andrea: problemi di iconografia e stile, in 'Arte Cristiana', XL, 2002, pp. 1-16). Altaroli di questo genere sono ricorrenti nella produzione di questo maestro (si veda ad esempio la 'Madonna col Bambino e santi' n. 77 della Galleria Nazionale dell'Umbria a Perugia); quanto allo stile, è inevitabilmente segnato dalla lezione tardotrececentesca di Agnolo Gaddi e, con esiti paralleli, a Bicci di Lorenzo.
ESTIMATE € 20.000 - 30.000
168
FRANCESCO DE MURA
(Napoli, 1696 - 1792)
Immacolata Concezione
Olio su tela, cm 92,5X47
Bibliografia di riferimento: N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò, Napoli 1986 (2a ediz. 1993), vol. I, tav. 62, p. 161 n. 262.

Francesco De Mura, allievo favorito di Francesco Solimena e principale interprete del Rococò partenopeo durante il regno di Carlo di Borbone, aggraziato idealisticamente, privo di tensione drammatica in linea con la cultura del suo tempo, in questo caso espressivo di una curiosa gara tra le arti evocando una scultura dipinta. Il classicismo emanato dalla composizione e conseguente al suo alunnato solimenesco svolto dal 1708 al 1730, che lo conduce a realizzare immagini con un sapiente chiaroscuro, fissandole in atteggiamenti solenni che ne valorizzano la severa e monumentale spiritualità non priva d'elegante leggiadria, grazie al disegno e a cromie capaci d'evocare vitalità e movimento alla figura anche nel suo apparire come una preziosa porcellana di Capodimonte. La datazione si attesta ai primi anni del sesto decennio, al tempo degli affreschi eseguiti sulla volta della Nunziatella (1751). Le similitudini con la coeva produzione in porcellana è stata recentemente avvalorata dal confronto con la statuina di identico soggetto modellata da Giuseppe Gricci tra il 1744 e il 1745 conservata al museo di Capodimonte che influenzò la stesura demuriana a effetti cromatici sempre più freddi e traslucidi (Cfr. K. Fiorentino, in Ritorno al barocco, da Caravaggio a Vanvitelli, Napoli 2009, p. 309, n. 1.171).
ESTIMATE € 20.000 - 30.000
163
ANIELLO FALCONE
(Napoli, 1607 - 1656)
ANDREA DA LIONE
(Napoli, 1596 - 1675)
Battaglia tra cavallerie turche e cristiane
Battaglia in campo aperto
Olio su tela, cm 45X75 (2)
'Cominciò a poco a poco ad operare nella propria casa ed a dipingere varie cose a' particolari, così di sante Immagini, come di battaglie in piccolo...' con queste parole il De' Dominici introduce la biografia di Aniello Falcone nella Vita de' pittori, scultori ed architetti napoletani (1742 - 45), rimarcandone la precoce propensione a dipingere scene belliche. La fortuna commerciale dell'artista dopo l'apprendistato con Giuseppe Ribera inizia con la committenza di Filippo IV di Spagna, per il quale eseguì la straordinaria serie raffiguranti storie romane oggi conservate al Museo del Prado, mentre si deve al Saxl la magistrale lettura critica sull'importante rinnovamento in chiave barocca di questo specifico genere pittorico svolto dal pittore. Al Falcone dobbiamo il merito di aver emancipato il 'quadro di battaglia' dai presupposti celebrativi di gusto cinquecentesco, creando eleganti complementi d'arredo. Il naturalismo delle scene è altresì modulato dal raffinato pittoricismo che caratterizza l'arte partenopea durante il quarto decennio, che impreziosisce la tavolozza schiarendo con una luminosità diffusa e argentea la superficie. La ponderata costruzione delle immagini e la loro eleganza costituiscono un modello imprescindibile per la generazione successiva e in modo particolare per gli allievi e i collaboratori del maestro, tra i quali spiccano Andrea di Lione, Carlo Coppola e Marzio Masturzio, ma fu indubbiamente il primo a esprimere una similitudine stilistica difficile da dirimere dal punto di vista attributivo, in modo particolare quando l'opera è frutto di una collaborazione, in cui il distinguo tra maestro e allievo si smarrisce tra le pieghe di una qualità ineccepibile. Tuttavia, come riscontriamo nelle opere qui presentate, è sempre possibile scindere le due mani a discapito delle simmetrie stilistiche, che in Andrea De Lione assumono morbidezze disegnative e di stesura che attestano la contiguità con il classicismo romano, che il nostro assimila precocemente per il tramite di Nicolas Poussin.

Bibliografia di riferimento:
F.Saxl, The battle scene without a hero, Aniello Falcone and his patrons, in 'Journal of the Warburg and Courtland Institutes', III, p. 70 - 87, 1939 - 40.
A.Alabisio, 'Sante immagini e battaglie in piccolo'. Tre dipinti inediti di Aniello Falcone, in Scritti di Storia dell'arte in onore di Raffaello Causa, 1988, pp. 189 - 194.
G.Sestieri, I Pittori di battaglie, Roma 1996, p. 321, figg. 28 - 29
Andrea De Lione. La pittura come racconto, catalogo della mostra a cura di Umberto Giacometti, Ivano Porcini, Giuseppe Porzio, Napoli 2008.
ESTIMATE € 25.000 - 35.000
45
PITTORE LOMBARDO DEL XV SECOLO
Compianto di Cristo
Maria Vergine, Santa Marta e flagellanti
Tempera su tavola, cm 70,3X20,9 (2)
I caratteri di stile e scrittura delle ante in esame, la cui originaria funzione si presume fosse destinata a ornare la chiusura di un tabernacolo, suggeriscono l'attribuzione a un artista di cultura lombarda attivo tra il sesto e il settimo decennio del XV secolo. Le scene raffigurate descrivono il compianto sul Cristo morto e la Vergine con Santa Anna e un gruppo di flagellanti che si stagliano su di uno sfondo blu stellato. Quest'ultimo particolare ci consente il confronto con gli sfondi del prezioso trittico in vetro lavorato a graffito sopra una foglia d'oro incollata sottovetro, firmato e datato nel 1460 da Jacopino Cietario, oggi custodito a Palazzo Madama a Torino, ma proveniente dalle raccolte del Principe Trivulzio. A questo proposito è interessante constatare che anche gli affreschi perduti del presbiterio di San Vincenzo in Prato a Milano, opera degli Zavattari, presentavano uno sfondo stellato (anni 1463 - 1465), così pure la volta della cappella ducale del Castello Sforzesco del 1473. A inquadrare tuttavia con maggior precisione la nostra opera sono i confronti proposti da Mauro Natale con gli affreschi raffiguranti le scene della Passione di Cristo provenienti dal Tramezzo di Santa Chiara a Milano oggi conservati al Monte di Pietà e altrettanto stringenti sono i riferimenti stilistici con il Maestro dei Giochi Borromeo identificato con Giovanni Zenoni da Vaprio. Detto ciò, le inflessioni pavesi 'sembrano' predominanti come evidenziano Roberta Delmoro e Andrea De Marchi, che rilevano nel volto della Madonna i tratti riconducibili alle decorazioni da soffitto dell'Ospedale di San Matteo a Pavia databili al 1455 circa e al più tardo Leonardo Vidolenghi (Notizie dal 1446 al 1501), a noi noto in modo particolare grazie alla pala firmata e datata 1466 raffigurante la Madonna in trono con i Santi Giovanni Battista, Erasmo, Chiara e Francesco conservata al Museo di Palazzo Bianco a Genova (G. Algeri, A. De Floriani, La pittura in Liguria. Il Quattrocento, Genova 1992, 256- 259, fig. 242). La centralità della cultura pavese spiega altresì quegli aspetti più marcatamente rinascimentali che riscontriamo nei volti della Vergine e di San Giovanni, che a loro volta riconducono al Maestro dei Giochi Borromeo e in maniera timida esprimono quei rinnovamenti in chiave moderna espressi da Donato de Bardi (Pavia ... - Genova, 1450 circa).

Ringraziamo Roberta Delmoro per l'aiuto fornito alla compilazione della scheda.
ESTIMATE € 30.000 - 35.000
84
DOMENICO GARGIULO detto MICCO SPADARO
(Napoli, 1609 o 1610 - 1675)
VIVIANO CODAZZI
(Bergamo, 1603 circa - Roma, 1670)
La strage degli innocenti
Olio su tela, cm 75X101
Provenienza:Milano, Sotheby's, 9 giugno 2009, lotto n. 67
Domenico Gargiulo non fu solo un illustratore rapido e brillante di cronache quotidiane o di eventi storici rappresentati con tenore aneddotico e provinciale. Lo scorrere della sua produzione rivela un artista a tutto tondo, certamente a suo agio come narratore ma indubbiamente capace di grandi affreschi scenici, dimostrandosi altresì un paesaggista di razza e in grado di gestire diversi registri lessicali pur mantenendo fede alla propria stilistica, unica e riconoscibile. La tela qui presentata è un esempio affascinante di questa sprezzatura e il ductus suggerisce una prova pittorica affrontata con spirito libero come in un bozzetto. Il fondale architettonico di chiara matrice codazziana è una nobile quinta teatrale e lungo la sua fuga prospettica partendo dal primo piano si svolge la descrizione del dramma evangelico che procede filmico evocando prima di tutto gli aspetti salienti dell'azione. Il carattere non finito diviene allora parte integrante del ritmo narrativo, sintetizzandone non solo l'aspetto emotivo, ma la sua efficacia barocca, la medesima che riscontriamo nelle migliori creazioni dell'artista. Nel nostro caso l'intervento di Codazzi non è predominante, i brani figurati non sono affatto semplici comparse o accessori alla magnificenza architettonica, ma veri e propri attori che catturano l'attenzione dell'osservatore che a fatica riesce a tener ferme le sequenze gestuali che scorrono.
Bibliografia di riferimento:G. Sestieri, G. Daprà, Domenico Gargiulo. Detto Micco Spadaro, paesaggista e 'cronista napoletano', Milano, Roma 1994
Micco Spadaro. Napoli ai tempi di Masaniello, catalogo della mostra a cura di B. Daprà, Napoli 2002.
ESTIMATE € 30.000 - 40.000
85
GIUSEPPE RECCO
(Napoli, 1634 - Alicante, 1695 )
Natura morta di fiori con figura femminile e paggio
Siglato e datato 1686
Olio su tela, cm 150X150
Bibliografia: N. Spinosa, Pittura del seicento a Napoli da Mattia Preti a Luca Giordano. Natura in posa, Napoli 2011, pp. 288 - 289, n. 334
La data 1686 attesta che il dipinto è una delle ultime creazioni napoletane dell'artista prima del trasferimento in Spagna su invito di Carlo II d'Asburgo. La scena presenta una suntuosa presenza di elementi floreali e frutti, testimoniando la piena adesione alla moderna enfasi barocca intrapresa dall'artista a partire dal settimo decennio. Questa nuova spazialità offre l'occasione di creare contesti narrativi più complessi e ariosi dove inserire brani figurativi a grande formato. A questo proposito sono infatti note le collaborazioni con Luca Giordano e Francesco Solimena, ma in questo caso, come suggerisce Nicola Spinosa, il pittore sembra avvalersi della mano di Angelo Solimena, cosicché l'opera testimonia un nuovo e importantissimo tassello alla conoscenza dei frequenti ma ancor nebulosi rapporti tra i pittori di figura e di natura morta durante il tardo Seicento. E' comunque significativo che questa 'apertura' nei confronti di nuove scenografie preceda una produzione di opere figurative realizzate in Spagna intorno al 1695, come la 'Morte di San Giuseppe' e l''Assunzione di Maria', appartenenti alla Collezione Arenaza di Malaga, ma provenienti dalla Nunziatura Apostolica dove secondo Pérez Sánchez (1965, p. 426) si conserverebbero altri suoi dipinti a tema religioso. Tuttavia questa apertura barocca si deve certamente all'influenza del Giordano, anche se l'artista pare respingere l'addolcimento del tonalismo, lo sgranarsi dorato delle superfici, il giuoco della vibrazione cromatica dell'insieme, così distante dagli eroici modelli di tanti illustri predecessori (Causa), ma lo vediamo comunque cedere alle vistose innovazioni, come se consapevole della carriera e del mutare dei tempi, richiedesse un ulteriore passo avanti e la necessità di misurarsi con se stesso e la modernità.
Bibliografia di riferimento:
N. Spinosa, La natura morta a Napoli, in La natura morta in Italia, a cura di Federico Zeri e Francesco Porzio, Milano 1989, vol. II, pp. 852 - 963

R. Middione, Giuseppe Recco, in La natura morta a Napoli, in La natura morta in Italia, a cura di Federico Zeri e Francesco Porzio, Milano 1989, vol. II, pp. 903 - 911
D. M. Pagano, in Ritorno al Barocco, da Caravaggio a Vanvitelli, catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2009, pp. 398 - 407, con bibliografia precedente
ESTIMATE € 45.000 - 55.000
172
ABRAHAM LOUIS RUDOLPHE DUCROS
(Maudon, 1748 - Losanna, 1810)
Nisida da Posillipo
Tecnica mista su carta incollata su tela, cm 85X120
Bibliografia:
N. Spinosa, L. Di Mauro, Vedute napoletane del Settecento, Napoli 1989, n. 188, tav. 126
P. Bédarida, in All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, Napoli 1990, p. 380, fig. p. 216
R. Muzii, in Campi Flegrei. Mito, storia realtà, catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2006, pp. 192 - 193, n. 71.

Penso sia indispensabile iniziare la scheda del dipinto partendo dai suoi aspetti costruttivi. Ducros, escludendo la semplice produzione ad acquerello, concepisce opere strutturalmente complesse, dando origine a un'alchimia della 'tecnica mista' su sezioni di carta a loro volta applicate su tela, dando forma a immagini paesistiche utilizzando magistralmente diversi medium, giocando con velature a olio sovrapposte atte ad arricchire i contrasti, vivacizzare i colori, gestire il chiarore dell'aria e la sua profondità scenica. Queste considerazioni sottolineano non solo un sorprendente talento, ma rilevano la straordinaria conservazione del quadro in esame e la sua unicità. Ducros può essere criticabile da un restauratore per la sua eterogenea manualità, ma è indubitabile la chiarezza d'intenti che percepiamo osservando le sue opere e uno storico dell'arte non ha spazi per poter esprimere un solo giudizio negativo. Un altro aspetto da considerare è che la maggior parte delle sue creazione assumono tonalità terree, anche a causa dell'ossidazione delle vernici e degli oli impiegati nella stesura, è quindi sorprendete constatare nel nostro caso un tessuto pittorico dall'inusuale luminosità a discapito delle altre opere a noi note. Infine dobbiamo tener conto dell'uso del lapislazzulo per descrivere la superficie del mare, pigmento prezioso e impiegato dall'artista in prestigiose occasioni e qui necessario per descrivere al meglio la profondità dell'acqua accarezzata dall'ombra del promontorio e il suo rischiararsi verso l'orizzonte. Il panorama è di toccante bellezza, con la tufacea roccia che si affaccia sulla cala di Trentaremi e in lontananza la costa flegrea, l'isola di Nisida, mentre i primi piani sono dedicati alla descrizione dei giovani pescatori. La datazione dell'opera si colloca al secondo soggiorno napoletano tra il 1793 e il 1798, al tempo di analoghi esempi con la Grotta di Posillipo da Palazzo Donn'Anna del Museo di San Martino o la Veduta di Villa Acton presso Castellammare del 1794. Sono anni in cui il pittore ha per principali clienti sir William Hamilton e il ministro John Francis Edward Acton che acquisterà le vedute dei cantieri navali di Castellammare di Stabia e diverse marine che si distaccano rispetto al tipico vedutismo dell'epoca per l'originalità dei punti di vista. Spesso l'artista indaga i luoghi in cui la costa è più solitaria e selvaggia emanando una sensibilità preromantica attraverso una lucidità descrittiva di gusto illuminista, ma concepita con un respiro e un'amabilità ben diversa rispetto all'algido paesismo di Jacob Philip Hackert (Prenzlau, 1737 - SanPietro di Careggi, 1807).

Bibliografia di riferimento:
W. Percival Prescot, Riflessioni sulla tecnica di Ducros, in Ducros 1748 - 1810. Paesaggi d'Italia all'epoca di Goethe, catalogo della mostra a cura di Pierre Chessex, Roma 1987, pp. 48 - 49.
ESTIMATE € 70.000 - 80.000