120
GIOVANNI BATTISTA PIRANESI
(Mogliano Veneto, 1720 - Roma, 1778)
Veduta della piazza di Montecavallo
Acquaforte su carta, mm 390X550
Bibliografia:
La Roma di Piranesi. La città del Settecento nelle grandi Vedute, catalogo della mostra a cura di Mario Bevilacqua e Mario Gori Sassoli, Roma 2006, p. 139, con bibliografia precedente.

Questa veduta della piazza è concepita dal Piranesi secondo una prospettiva immaginaria. Al centro si erge l'obelisco e il gruppo marmoreo dei Dioscuri Castore e Polluce con i loro cavalli rampanti. Da queste sculture, copie romane da originali ellenici, deriva l'antica denominazione di Piazza Monte Cavallo.
ESTIMATE € 1.500 - 1.800
119
GIOVANNI BATTISTA PIRANESI
(Mogliano Veneto, 1720 - Roma, 1778)
Veduta del Campidoglio di fianco (1775)
Acquaforte su carta, mm 403X680
Bibliografia:
La Roma di Piranesi. La città del Settecento nelle grandi Vedute, catalogo della mostra a cura di Mario Bevilacqua e Mario Gori Sassoli, Roma 2006, p. 186, con bibliografia precedente.

L'intero set di Vedute di Roma comprendeva 135 tavole che sono state ristampate singolarmente o in gruppo durante tutta la vita dell'incisore. Erano souvenir popolari destinati in modo particolare ai viaggiatori britannici le cui visite a Roma sono stati il culmine di una vacanza studio esteso in tutta Europa, comunemente chiamato il Grand Tour. Queste opere curate al dettaglio e di sentito gusto pittorico soddisfacevano le aspettative pittoresche dei turisti che soggiornavano nella Città Eterna.
ESTIMATE € 1.500 - 1.800
121
GIOVANNI BATTISTA PIRANESI
(Mogliano Veneto, 1720 - Roma, 1778)
Frontespizio di varie vedute di Roma antica e moderna (1745 - 1747)
Acquaforte su carta, mm 552X407
Bibliografia:
M. Bevilacqua, Roma di Piranesi. Vedute della città antica e moderna, in La Roma di Piranesi. La città del Settecento nelle grandi Vedute, catalogo della mostra a cura di Mario Bevilacqua e Mario Gori Sassoli, Roma 2006, pp. 39 - 60, figg. 1; 19. P. 131, con bibliografia precedente.

Le vedute di Roma eseguite da Giovanni Battista Piranesi segnano un'epoca, la loro diffusione ha coadiuvato l'immagine e la magnificenza della città eterna, e le sue lastre non sono solo strumenti di studio e documentazione, ma spunti di riflessione sulla storia e l'estetica. La serie delle Vedute di Roma sono l'espressione matura dell'artista ed esprimono tutto il suo entusiasmo vedutistico, archeologico e di tutela nei confronti di una realtà unica al mondo. A testimoniare questo autentico sentimento è la frase scritta di suo pugno sul Taccuino di schizzi e appunti custodito a Modena presso la Biblioteca Estense: 'Egli antichi non ebbero la stampa ed in tal maniera si è perso il sapere di queste cose antiche'. Il frontespizio di Varie vedute di Roma antica e moderna suggellano il rapporto oramai consolidato con il mestiere e le sue passioni, Piranesi tornato da Venezia e incoraggiato dal console Smith si mette al lavoro per la sua impresa e il suo iniziare coincide con questa fantasmagorica 'prima pagina' qui presentata, che custodisce in se la vivace eredità lagunare per il capriccio, il desiderio di sorprendere e al contempo di offrire una visione quanto mai realistica di Roma.
ESTIMATE € 1.500 - 1.800
122
GIOVANNI BATTISTA PIRANESI
(Mogliano Veneto, 1720 - Roma, 1778)
Fantasia di rovine con statua di Minerva (1748 circa)
Acquaforte su carta, cm 505X604
Bibliografia:
La Roma di Piranesi. La città del Settecento nelle grandi Vedute, catalogo della mostra a cura di Mario Bevilacqua e Mario Gori Sassoli, Roma 2006, p. 132, con bibliografia precedente.
ESTIMATE € 1.500 - 1.800
79
GIOVANNI CARNOVALI detto IL PICCIO
(Montegrino Valtravaglia, 1804 - Coltaro, 1873)
Sacra Famiglia
Olio su tela, cm 30X25
L'opera è raffinata, luminosa, esprime una bellissima struttura disegnativa e una datazione al quarto-quinto decennio del XIX secolo, a discapito di un gusto proteiforme e memore degli eleganti esempi barocchi, sino a toccare delicatezze cinquecentesche. Giovanni Carnovali, nato a Montegrino Valtravaglia in provincia di Varese da una famiglia di umili origini, autodidatta di gusto romantico e maestro del colorire, da prova del proprio talento dando vita, seguendo una tradizione iconografica ben precisa, a una modernità pittorica priva di insipidezza. Caratteristica della sua arte sono le tonalità trasparenti e vive, che tradiscono altresì le influenze della scuola veneta settecentesca. Le pennellate sciolte e liquide compongono il lessico di una straordinaria sintesi realistica, capace d'evocare immagini di notevole eleganza formale, eleggendo il Piccio tra gli artisti più significativi dell'Ottocento italiano, forse il migliore interprete di un'arte che consentirà di aprire la via alla Scapigliatura e al Divisionismo. Anche per questo durante la sua carriera il Carnovali non fu sempre capito, spesso considerato eccessivamente retrò per il suo 'classicismo', o incomprensibilmente anticonformista. La sua produzione trascrive una profonda cultura, che raccoglie la tradizione rinascimentale italiana sino alle moderne istanze europee Eugène Delacroix.

Bibliografia di riferimento:
P.De Vecchi, Giovanni Carnovali detto il Piccio Catalogo Ragionato , Milano 1998
ESTIMATE € 1.000 - 1.200
29
GIOVANNI DOMENICO CAPPELLINO
(Genova, 1580 - 1651)
Messa di San Domenico
Olio su tela, cm 192X249,5
Giovanni Domenico Cappellino nacque a Genova nel 1580. Secondo il biografo Raffaele Soprani (1674) fu allievo di Giovanni Battista Paggi, e nonostante le difficoltà nel coordinare la cronologia (Paggi rientrò a Genova dall'esilio nel 1600), l'affermazione coglie comunque nel segno per quanto riguarda i caratteri stilistici. Le tele in esame però, si collocano verosimilmente alla prima maturità, attorno al primo o secondo decennio, quando le influenze del maestro attendono le innovazioni fiasellesche ma esprimono al contempo una regolata autonomia creativa. Accanto a forme più solide e naturalistiche sono presenti concetti costruttivi d'immagine tipici, quali la 'tendenza a saturare la composizione con quei volti che s'intravedono parzialmente affacciarsi anche tra gli spazi ridotti che dividono le figure principali' (Manzitti 2005) e la certa ascendenza dai modi del pisano Aurelio Lomi attivo a Genova sino al 1597. Di notevoli dimensioni e circostanziate per soggetto, i dipinti sono indubbiamente partecipi di un unico ciclo e verosimilmente concepite per decorare le pareti laterali di una cappella o una sacrestia.

Ringraziamo Camillo Manzitti per aver confermato l'attribuzione sulla base di documentazione fotografica.

Bibliografia di riferimento:

C. Manzitti, 'L'indice su Gio. Domenico Cappellino', 'Paragone', 2005, n. 63, pp. 51 - 61
ESTIMATE € 2.500 - 3.500
30
GIOVANNI DOMENICO CAPPELLINO
(Genova, 1580 - 1651)
San Domenico resuscita l'architetto
Olio su tela, cm 192X249,5
La tela è anch'essa riconducibile al catalogo di Giovanni Domenico Cappelino e si considera quale pendant della precedente. L'episodio raffigura il cosiddetto 'miracolo dell'architetto' narrato da Jacopo da Varagine. Durante la costruzione del convento domenicano di San Sisto a Roma il sottosuolo nascondeva una gran quantità di antiche strutture murarie e cavità insospettabili e un improvviso smottamento seppellì sotto un cumulo di macerie l'architetto che sovrintendeva i lavori. I Domenicani erano molto angosciati da questa tragedia, non solo perché il confratello era morto senza sacramento, ma anche per via degli strani racconti che si erano diffusi tra la popolazione riguardo all'ordine da poco istituito e temevano che la disgrazia fosse interpretata come un segno del malcontento di Dio a riguardo della nuova impresa religiosa. Domenico si accorse della preoccupazione dei suoi discepoli e 'con il potere delle sue preghiere risuscitò' l'uomo.

Ringraziamo Camillo Manzitti per aver confermato l'attribuzione sulla base di documentazione fotografica.

Bibliografia di riferimento:
J. Da Varagine, 'Leggenda Aurea', Firenze 1984, II, p. 466 - 486
Fr. Jaime Rodriguez Lebrato, 'Itinerario dei miracoli di San Domenico a Roma', Roma 1995, p.31
ESTIMATE € 2.500 - 3.500
36
GIOVANNI DOMENICO VALENTINI
(Roma, 1639 - 1715)
Interno di cucina
Olio su tela, cm 56,5X67
Gian Domenico Valentino era originario di Roma ma lavorò prevalentemente in Romagna, per la precisione a Imola e Ravenna, tanto da esser definito dalla critica un 'maestro emiliano influenzato dai modi di Cristoforo Munari' (Ghidiglia-Quintavalle, 1964; Chiarini, 1974), a causa di diverse opere firmate con la sigla G.D.V. e l'indicazione della città di Imola. Dipinse principalmente interni di cucina elaborando complesse composizioni di natura morta raffiguranti utensili in rame, terrecotte, verdure e selvaggina. In lui si colgono altresì le influenze della pittura olandese e una conseguente passione per creare spazi scenici tenebrosi, dove si muovono indaffarate figure femminili che svolgono umili attività domestiche. Anche nella nostra tela il soggetto non si discosta dalla consuetudine, ma presenta tuttavia una qualità rara rispetto alla produzione ordinaria, qualità che riscontriamo nella descrizione dello spazio scenico e, in modo particolare, osservando gli straordinari brani naturalistici di ortaggi e stoviglie riverse a terra, tratteggiati con intenso realismo e una regia luministica degna dei migliori esegeti della pittura settecentesca. In effetti l'idea del Valentini quale interprete di un 'caravaggismo a passo ridotto', sia pur seducente, non aiuta a cogliere la sua affiliazione con i bamboccianti, evidenziando una formazione simbiotica con quegli artisti nordici che popolavano la Città Eterna. L'interesse per gli aspetti quotidiani del vivere e la tecnica pittorica si riscontrano infatti nelle creazioni di Jan Miel, Michael Sweerts e Pieter Van Laer, così l'uso frequente delle terre e il gusto per le lumeggiature.

Bibliografia di riferimento:

G. Bocchi, U, Bocchi, Giovanni Domenico Valentini, in Pittori di natura morta a Roma, artisti italiani 1630 - 1750, Viadana 2005, pp. 507 - 523, con bibliografia precedente
ESTIMATE € 3.000 - 4.000
6
GIOVANNI RAFFAELE BADARACCO
(Genova, 1645 - 1717)
Morte di Seneca
Olio su tela, cm 250X336
Attribuito da Camillo Manzitti a Giovanni Raffaele Badaracco, questa tela di dimensioni parietali raffigura l'episodio della morte di Seneca narrata negli annali di Tacito. La teatrale costruzione scenica di marcato gusto barocco testimonia le asserzioni del Ratti circa la formazione romana del pittore, recentemente delineata dagli studi di Loredana Lorizzo dedicati al mercante di quadri genovese attivo nella Città Eterna, Pellegrino Peri. Tuttavia, la poliedrica cultura dell'artista è ben documentata dal biografo, che lo indica quale allievo del Maratta, seguace della maniera del Cortona, che dopo otto anni di studio a Roma, passò a Napoli e poi a Venezia prima di far ritorno in patria. Detto ciò, sorprende il silenzio delle fonti riguardo la nostra opera, certamente destinata ad una quadreria privata ma le cui imponenti dimensioni suggeriscono una commissione di altissimo prestigio. La tela mostra una marcata aderenza alla cultura genovese, segnatamente al fare del Piola, soprattutto nella robusta tavolozza, nell'intensità dei rapporti di contrasto e nella scioltezza pittorica, tuttavia nella sua classicità narrativa il ritmo risponde bene ai dettami classicisti capitolini, in analogia con il 'Suicidio di Lucrezia', conservata a Palazzo Bianco che, databile all'ottavo decennio, offre un interessante corrispettivo cronologico, anche se in questa sede non escludiamo una datazione più arcaica. Supporta questa ipotesi il confronto con le opere tarde, di valenza più decorativa e con le figure colte in pose immote e di segno quasi seriale come si evince osservando la 'Continenza di Scipione' dell'Oratorio dei Rossi a Gavi Ligure da collocare ad una età ormai settecentesca (Di Fabio). Al nostro periodo si possono invece agevolmente accostare le tele pubblicate recentemente da Anna Orlando raffiguranti 'La veste di Giuseppe mostrata a Giacobbe' e 'Il Giudizio di Salomone', quanto mai cortonesche nei modi e genovesi per gusto.

L'opera è corredata da una scheda critica di Camillo Manzitti.

Bibliografia di riferimento:

R.Soprani - C. Giuseppe Ratti, 'Vite de' pittori, scultori ed architetti genovesi', Genova 1768-1769, vol. II, pp. 69-73

M. Newcome Schleier, 'Raffaello Badaracco', in 'Antichità Viva', 19 (1980), n. 2, pp. 21-27

C. Di Fabio, 'Gio Raffaele Badaracco. Qualità e industria', in 'Bollettino dei Musei Civici Genovesi', 14 (1992), n. 40-42, pp. 61-91

A.Orlando, 'Dipinti Genovesi dal Cinquecento al Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato', Torino 2010, pp. 29 - 30
ESTIMATE € 4.000 - 6.000
101
GIOVANNINO DA CAPUGNANO
(Attivo in Eimilia tra il XVI e il XVII Secolo)
Autoritratto
Olio su tela su cartone ovale, cm 22X22

Provenienza:
Collezione Molinari Pradelli ?
Giovannino da Capugnano detto il 'Pittoraccio', vissuto a Capugnano e Bologna tra XVI e XVII secolo fu un artista che si considerò umile servitore dei Carracci, riscuotendo nella sua epoca un grande successo. La sua è una pittura solo apparentemente di 'Stramberie', quella che realizza con abilità d'altri tempi sono figure prive di proporzioni e che sprigionano la loro essenza segreta. Descrive prevalentemente uccelli, case, paesaggi, allusioni evidenti al mondo contadino della sua terra e dei suoi abitanti con una sensibilità che scaturisce da un sagace spirito naturalistico. Con la medesima coerenza nel suo autoritratto il pittore descrive se stesso e la sua opera, un paesaggio di campagna, un cielo solcato da uccelli insoliti, il sole dalle sembianze umane e la luna, un paesaggio che nulla ha di realistico ma riassume e traduce una dimensione ancestrale.

Bibliografia di riferimento:
Vite dei pittori ed artefici Bolognesi scritte dal March Antonio Bolognini Amorini, Fonderia e tipografia governativa, Bologna 1843, pp. 67 - 70
ESTIMATE € 1.000 - 1.500
61
GIULIO CARPIONI
(Venezia, 1613 - Vicenza, 1679)
Battesimo di Cristo
Olio su tela, cm 53X40
Giulio Carpioni è particolarmente noto per le sue creazioni a tema mitologico, ma altrettanto importante, fu la produzione di opere a carattere devozionale, come documenta questo piccolo modelletto da pala d'altare. Formatosi con il Padovanino e sul classicismo della tradizione veneziana cinquecentesca, l'artista si confrontò con il tenebrismo di Ruschi e il caravaggismo interpretato da Nicolas Renier e Carlo Saraceni, ma anche con le esperienze veronesi del Turchi, del Bassetti, dell'Ottino e quegli influssi neoveneti d'ascendenza romana diffusi dal Poussin e Pietro Testa. Fu infatti Roberto Longhi (1963) a ipotizzare un viaggio di studio nella capitale, dove dal 1598 si trovavano i celebri baccanali di Tiziano, ma è comunque certa a partire dal 1638 la presenza del pittore a Vicenza. La decisione di abbandonare Venezia, dove la concorrenza era notevole, si dimostrò infatti una scelta ragionata, a ciò si aggiunga che dopo la partenza di Francesco Maffei per Padova, avvenuta nel 1657, l'artista vide moltiplicare i suoi impegni, potendo così controllare e dirigere senza ostacoli la situazione artistica cittadina. Sono di questi anni infatti le principali commissioni ecclesiastiche e grazie alle ricerche condotte da Flavia Casagranda i ritrovamenti di opere carpionesche nelle parrocchie del territorio denunciano una ricerca ben lontana dal concludersi.

Bibliografia di riferimento:
G. M. Pilo, Carpioni, Venezia 1961
F. Casagranda, Per Giulio Carpioni: un percorso nell'attività religiosa, in Pittura veneziana dal Quattrocento al Settecento. Studi di storia dell'arte in onore di Egidio Martini, a cura di G. Maria Pilo, Venezia 1999, pp. 125 - 129
ESTIMATE € 2.500 - 3.500
160
GIUSEPPE BALDRIGHI
(Stradella, 1723 - Parma, 1803)
Ritratto di nobiluomini
Olio su tela, cm 70X86
Baldrighi raffina la sua arte a Parigi, il suo maestro dal 1652 al 1656 sarà François Boucher; solo attraverso questa esperienza poteva ambire al ruolo d'artista presso la piccola corte borbonica parmense, dove si parlava comunemente il francese e la cultura era impregnata dal pensiero illuminista. Bastano questi pochi accenni per inquadrare la formazione intellettuale dell'uomo, la cui abitazione 'era il ridotto della gente di lettere e il recapito dei forestieri istruiti'. L'artista predilige il genere del ritratto, e i suoi personaggi manifestano un contatto immediato con l'osservatore presentandosi con sprezzatura quali membri di una società colta e cosmopolita. La medesima immediatezza la riscontriamo nella tela in esame che trova interessanti assonanze con l'Autoritratto con due amici conservato presso la Galleria Nazionale di Parma (olio su tela, cm 53X63,3, inv. 289).

Bibliografia di riferimento:
E. Frattarolo, in Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, a cura di Lucia Fornari Schianchi, Milano 2000, pp. 95 - 96, n. 703 con bibliografia precedente.
ESTIMATE € 4.000 - 5.000