173
FEDELE FISCHETTI
(Napoli, 1734 - 1789)
ALESSANDRO FISCHETTI
(Documentato dal 1773 al 1802)
Gioco di putti
Olio su tela, cm 47X35
Questa piccola ma gustosa grisaille si attribuisce alla scuola napoletana tardo settecentesca, più precisamente all'ambito di Fedele Fischetti. Gli indizi filologici e la qualità permettono altresì di circoscriverne la genesi all'interno della bottega stessa e di proporre quali autori il nome del maestro e del suo collaboratore (i cui vincoli di parentela sono ancora ignoti), Alessandro Fischetti (documentato a Napoli tra il XVIII ed il XIX secolo). Fedele è uno dei principali artisti attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento, la sua cultura figurativa trae origine dalla memoria solimeniana, ma le opere rivelano anche una manifesta adesione al classicismo romano. La sua fortuna critica deriva principalmente dalle opere a fresco, eseguite in chiese e residenze napoletane, ricordiamo brevemente quelle di Palazzo Maddaloni, Palazzo Casacalenda, Palazzo Doria d'Angri (1784) e Palazzo Cellamare (1789ca.), ma la commissione più importante è la decorazione d'alcuni ambienti della Reggia di Caserta (1778 - 1781), dove il maestro approda grazie alla diretta segnalazione di Luigi Vanvitelli (Spinosa, 1988, p. 137, n. 212), ma detto ciò, non dobbiamo dimenticare le complesse modalità progettuali dell'architetto per quanto riguarda le decorazioni a fresco a cui sovrintendeva personalmente, richiedendo agli autori studi e bozzetti dettagliati per ogni singolo brano. Il bozzetto qui presentato esprime al meglio la felicità inventiva del pittore, che si qualifica quale raffinato illustratore, aulico, e in sereno equilibrio tra la tradizione rococò e il classicismo. I caratteri di stile suggeriscono una datazione matura, in analogia con gli affreschi eseguiti nel Palazzo Caracciolo di Torella a Napoli, che Spinosa colloca dopo il 1780. A questo proposito è opportuno osservare Allegoria della Primavera (Spinosa, 1988, p. 140, n. 215), in cui le figure trovano un preciso corrispettivo disegnativo e strutturale, il medesimo che riscontriamo nelle iconografie allestite per la Reggia di Caserta. Detto ciò, si deve condividere il giudizio in parte negativo della critica, che osserva quanto sia stancamente ripetitivo il formulario in uso dal pittore, che non porta a compimento l'evoluzione in senso neoclassico della sua arte, ma è altrettanto necessario intendere che il Fedele e Alessandro Fischetti appartengono per età e formazione all'antico regime e ne interpretano al meglio lo spirito di leggera e delicata giovialità, aspetti di un'arte che si esaurisce con l'età dei lumi e i movimenti rivoluzionari che culmineranno nel 1789, che guarda caso è l'anno di morte del più anziano maestro.
Ringraziamo Vincenzo Pacelli che ha confermato l'attribuzione dell'opera

Bibliografia di riferimento:

N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento, dal Rococò al Classicismo, vol. II, Napoli 1988, pp. 59 - 60.
ESTIMATE € 1.000 - 1.500
183
FELICE GIANI (attr. a)
(San Sebastiano Curone, 1758 - Roma, 1823)
Villa Strozzi
Penna e inchiostro marrone, cm 8X14,7
Presumo che il disegno descriva un prospetto del giardino di Villa Strozzi a Roma, che sorgeva tra gli odierni via Torino e il teatro dell'opera. La sua distruzione avvenne per ordine dell'arcivescovo Federico Francesco Saverio de Mérode, immobiliarista e 'urbanista' papale. Fu lui a decidere il nuovo assetto urbanistico di quell' area che scende dal Viminale fino a via dei Serpenti. Acquistò Villa Strozzi, una costruzione cinquecentesca progettata da Giacomo del Duca, con grandi giardini disegnati da Carlo Fontana che sono quelli qua descritti dal Giani. La villa, fatta costruire dalla famiglia Frangipane, era stata venduta agli Strozzi, ai Ridolfi e infine agli Albani. Monsignor Francesco Saverio de Merode la rase al suolo perché ostacolava il tracciato che sarebbe diventato via Nazionale. Il pittore non lavorò mai in questo suntuoso edificio, ma è più che plausibile che durante il suo soggiorno capitolino non abbia esitato a raccogliere i suoi ricordi attraverso appunti grafici, certamente utili per immaginare i vasti cicli decorativi realizzati a fresco in Palazzo Doria (1780), palazzo Altieri (1789) e al Palazzo di Spagna (1807).
Bibliografia di riferimento:
A. Ottani Cavina, Felice Giani (1758 -1823) e la cultura europea di fine secolo, Milano 1999
ESTIMATE € 100 - 150
113
FRANCESCO BASSANO (attr. a)
(Bassano, 1549 - 1592)
Cattura di Cristo
Olio su tavola, cm 41X31
L'ambientazione notturna costituisce un riflesso della maturità di Tiziano e Tintoretto, a cui Francesco, trasferitosi da Bassano a Venezia nel 1578 guarda con attenzione, trovando un precedente nella Presa di Cristo dipinta intorno al 1580 per il soffitto della Sala dello Scrutinio in Palazzo Ducale a Venezia. La fioca illuminazione notturna conferisce alla narrazione una dimensione drammatica e l'opportunità per orchestrare la scena basandosi su i bagliori cromatici. Si conoscono diverse versioni di questo dipinto che derivano dall'opera custodita presso il Museo Civico di Cremona (olio su tela, cm 262X132, 1590 circa). Citiamo quella dello Spencer Museum of Art, University of Kansas (olio su tela, cm 66X54,6), quella di Collezione privata fiorentina (olio su tela, cm 120X80) e infine della Collezione Klein a New York (olio su tela). Quella qui presentata è quindi l'unica a noi nota realizzata su tavola. Detto ciò, non è affatto agevole determinare la certezza dell'attribuzione specialmente se calcoliamo la prolificità della bottega bassanesca, per queste motivazioni preferiamo mantenere nel dubbio il riferimento.

Bibliografia di riferimento:
M. Lucco, in La Pinacoteca Ala Ponzone. Il Cinquecento, a cura di Mario Marubbi, Milano 2003, pp. 155 - 159, n. 117 con bibliografia precedente
ESTIMATE € 3.000 - 4.000
43
FRANCESCO ALBOTTO
(Venezia?, 1721 - Venezia, 1757)
Paesaggio costiero di fantasia
Olio su tela, cm 55,5X63,5
Questa veduta di fantasia si riconosce ad un artista veneto del XVIII secolo particolarmente influenzato dalle opere di Michele Marieschi (Venezia, 1710 - 1743). La tecnica pittorica tutta di tocco e impasto, con pennellate veloci e distese quasi d'istinto, sembra avvallare l'ipotesi attributiva, ma inde ancor più a indagare i protagonisti della bottega e in particolare la produzione di Francesco Albotto. Al suo migliore allievo viene infatti ricondotta l'opera da Dario Succi datandola al sesto decennio, cogliendone l'evoluzione in chiave pienamente settecentesca, meno romantica ma suggestionata dalle creazioni canalettiane. Questa percezione si coglie osservando con attenzione le figure e il maggior controllo della stesura rispetto a quella del maestro, ma è certo che la morte precoce di quest'ultimo indusse l'allievo a gestire la bottega mantenendone la cifra stilistica senza distrarre la modernità dell'arte. Tuttavia è altresì necessario verificare come Albotto faccia sempre riferimento agli esempi di Marco Ricci e ai suoi capricci lagunari, unendo in maniera discreta ma riuscitissima i nobili filoni del paesismo veneto settecentesco.

L'opera è corredata da una scheda critica di Dario Succi.

Bibliografia di riferimento:

D. Succi, 'Capricci veneziani del settecento', Torino, 1988, p. L72, fig. 5
'Marco Ricci e il paesaggio veneto del Settecento', catalogo della mostra a cura di D. Succi e A. Delneri, Milano 1993, nn. 93-94, pp. 277 e 280-282
ESTIMATE € 4.000 - 5.000
168
FRANCESCO DE MURA
(Napoli, 1696 - 1792)
Immacolata Concezione
Olio su tela, cm 92,5X47
Bibliografia di riferimento: N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò, Napoli 1986 (2a ediz. 1993), vol. I, tav. 62, p. 161 n. 262.

Francesco De Mura, allievo favorito di Francesco Solimena e principale interprete del Rococò partenopeo durante il regno di Carlo di Borbone, aggraziato idealisticamente, privo di tensione drammatica in linea con la cultura del suo tempo, in questo caso espressivo di una curiosa gara tra le arti evocando una scultura dipinta. Il classicismo emanato dalla composizione e conseguente al suo alunnato solimenesco svolto dal 1708 al 1730, che lo conduce a realizzare immagini con un sapiente chiaroscuro, fissandole in atteggiamenti solenni che ne valorizzano la severa e monumentale spiritualità non priva d'elegante leggiadria, grazie al disegno e a cromie capaci d'evocare vitalità e movimento alla figura anche nel suo apparire come una preziosa porcellana di Capodimonte. La datazione si attesta ai primi anni del sesto decennio, al tempo degli affreschi eseguiti sulla volta della Nunziatella (1751). Le similitudini con la coeva produzione in porcellana è stata recentemente avvalorata dal confronto con la statuina di identico soggetto modellata da Giuseppe Gricci tra il 1744 e il 1745 conservata al museo di Capodimonte che influenzò la stesura demuriana a effetti cromatici sempre più freddi e traslucidi (Cfr. K. Fiorentino, in Ritorno al barocco, da Caravaggio a Vanvitelli, Napoli 2009, p. 309, n. 1.171).
ESTIMATE € 20.000 - 30.000
98
FRANCESCO GRAZIANI
(attivo a Napoli e a Roma nella seconda metà del XVII secolo)
Scena di battaglia
Olio su rame, cm 21X16
Questa bellissima scena militare tradizionalmente riferita a Francesco Graziani detto Ciccio Napoletano conferma la sua attribuzione alla visione diretta. Il carattere decorativo, il fascino desunto dalle opere del Borgognone e Salvator Rosa è qui stemperato da una sensibilità illustrativa che trova ancora nelle tele del primo naturalismo un punto di contatto evidente. Nondimeno, la stesura nella sua velocità di svolgimento e sensibilità atmosferica, oltre a suggerire la loro piena appartenenza all'età barocca, indica una data d'esecuzione che si avvia al XVIII Secolo. Detto ciò, il carattere generale presenta quella sintesi di tocchi rapidi e vigorosi perfettamente riconducibile catalogo del Graziani, che compone le sue scene con movimenti affollati dove i personaggi sono delineati con un tratto rapido, nervoso, quasi arricciato, rinvigorito da efficaci tocchi luministici.
Bibliografia di riferimento:
G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 360 - 371
ESTIMATE € 1.000 - 1.500
144
FRANCESCO LONDONIO
(Milano, 1723 - 1783)
Studi di animali
Olio su cartone, cm 20X34
Francesco Londonio è uno dei più apprezzati pittori della realtà attivi in Lombardia durante il XVIII Secolo e il dipinto qui presentato è da considerarsi un'interessante aggiunta al catalogo. Si tratta di uno studio di animali dipinti con sentito naturalismo e capacità di mimesi che attesta il talento dell'artista a riprova della propensione a cogliere dal vero i brani delle sue tele, come si evince osservando le carte dipinte conservate presso la Pinacoteca di Brera, da considerare veri e propri 'appunti' di viaggio eseguiti dal pittore e fonte illustrativa inesauribile per la sua produzione. A ulteriore raffronto con la nostra opera è l'olio su carta custodito alla Pinacoteca Ambrosiana (Coppa, p. 111, n. 504) e proveniente dal Lascito di Carlo Londonio, nipote dell'artista, del 1837 (fig. 1).

Bibliografia di riferimento:
S. Coppa, Francesco Londonio, in Pinacoteca di Brera, scuole lombarda, ligure e piemontese 1535 - 1796, a cura di Federico Zeri, Luisa Arrigoni, Simonetta Coppa, Mariolina Olivari, Milano 1989, pp. 259-299.

S. Coppa in Pinacoteca Ambrosiana, Milano 2007, pp. 99-1013.
ESTIMATE € 600 - 800
56
FRANCESCO LORENZI
(Mazzurega, 1723 - Verona, 1787)
Bacco e Arianna
Olio su tela, cm 42X57
Allievo e collaboratore di Giambattista Tiepolo dal 1744 fino alla metà del sesto decennio, Francesco Lorenzi nel corso della sua carriera esprimerà un registro linguistico influenzato dal maestro, in particolare rielaborando soluzioni illustrative desunte dalle opere a fresco. Il lungo periodo passato nella bottega lascia un segno indelebile, infatti il tema qui rappresentato è noto attraverso diverse versioni tiepolesche a partire da quella eseguita tra il 1746 e il 1750 su una delle volte al piano nobile di Palazzo Labia a Venezia, la cui tipologia iconografica fu sua volta diffusa da innumerevoli bozzetti e repliche.

Bibliografia di riferimento:
Francesco Lorenzi (1723 - 1787), dipinti e incisioni, catalogo della mostra cura di Enrico Maria Guzzo, Verona 2002
L.Ievolella, in Il Settecento a Verona. Tiepolo, Cignaroli, Rotari. La nobiltà della pittura, Catalogo della mostra a cura di Fabrizio Magani, Paola Marini e Andrea Tolmezzo, Milano 2012, pp. 181 - 184.
ESTIMATE € 4.000 - 5.000
63
FRANCESCO MANTOVANO
(Mantova? - notizie a Venezia dal 1636 al 1644 e dal 1660 al 1663)
Pittore romano del XVII secolo
Peonie, tulipani ed altri fiori in un vaso
Olio su tela, cm 85X64
Attivo a Venezia dove è documentata la sua iscrizione alla Fraglia dei pittori tra il 1636 e il 1639 in qualità di fiorante e creatore di nature morte, le notizie biografiche sul mantovano sono tuttora alquanto carenti (cfr. R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano, 1981, I, p. 329), ma le opere a noi note permettono interessanti confronti con la tela in esame. Un utile parametro si ha osservando il 'Vaso con fiori bianchi e rossi' dell'Accademia dei Concordi a Rovigo, dove i petali di grandi proporzioni e colori vivacemente alternati, abbinati a gamme che variano dal bianco brillante al vermiglio, rivelano un'attenzione almeno formale per l'arte fiamminga e una cronologia alla fase più arcaica. Sarà il soggiorno romano ad imprimere all'artista il mutamento in senso barocco della sua arte, grazie alla lezione di Mario Nuzzi che lo influenzerà all'uso di eleganti vasi istoriati con figure e sormontati da scenografici bouquet. Tornando alla nostra opera, si presume che la sua datazione sia ancora da collocare a una produzione ancor giovanile, tuttavia l'uso del vaso istoriato al posto di quello a grottesche indica un mutamento di gusto oramai in atto e quindi attorno alla metà del secolo.

Bibliografia di riferimento:
E. A. Safarik - F. Bottari, in La natura morta in Italia, a cura di F Porzio e Federico Zeri, Milano 1989, vol. I, pp. 326-328
G. Bocchi, U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana, 2005, pp. 203-243
ESTIMATE € 4.000 - 5.000
100
FRANCESCO SOLIMENA
(Canale di Serino, 1657 - Barra, 1747)
Teste di carattere
Olio su tavola tonda, cm 11,5x11,5 (2)
Provenienza: Collezione Molinari Pradelli ?
Incastonate in eleganti cornici dorate, questi studi si attribuiscono al pittore napoletano Francesco Solimena, si tratta di due teste di carattere realizzate con una sprezzatura sorprendente e che nella loro pur contenuta dimensione esprimono un sentimento monumentale indiscutibile. Sono opere da assegnare alla maturità dell'artista, quando il suo gusto si allinea a parametri classicistici e al contempo si riappropria dei sentimenti tenebrosi di matrice pretiana e naturalistica della tradizione napoletana.
Bibliografia di riferimento: N. Spinosa, Pittura Napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò, Napoli1988, pp. 179 - 223.
ESTIMATE € 3.000 - 4.000
104
FRANCESCO SOLIMENA
(Canale di Serino, 1657 - Barra, 1747)
Madonna con il Bimbo
Olio su tela, cm 48X36
Provenienza: Christie's Roma 20-21 Maggio 1974, n. 54
Opera a carattere devozionale, in buono stato di conservazione e interessata da una vernice lievemente ossidata. Lo stile suggerisce immediatamente l'origine napoletana del suo autore già riconosciuto a Francesco Solimena durante l'incanto Christie's del 1974. I modi di stile non si discostano da altre opere simili come quella conservata nella Collezione Harrach di Vienna (inv. P.F. 36) realizzata tra il 1725 e il 1730 quando il Conte di Harrach fu vicerè di Napoli e quella già di Collezione Cohen segnalata da Zeri alla scheda n. 64221 (fig. 1). Si tratta logicamente di una produzione minore, destinata a un commercio al dettaglio e dal carattere devozionale domestico.
Bibliografia di riferimento: N. Spinosa, Pittura Napoletana del Settecento dal Barocco al Rococò, Napoli1988, pp. 179 - 223
ESTIMATE € 1.800 - 2.200
157
FRANCESCO SOLIMENA
(Canale di Serino, 1657 - Napoli, 1747)
La conversione di Saulo
Olio su tela, cm 124X99
La 'Sacrestia di Solimena' nella Basilica di san Paolo Maggiore a Napoli è un ambiente interamente affrescato tra il 1689 e il 1690. Si tratta per qualità e magnificenza di una tra le principali imprese giovanili dell'artista, quando l'estro e la pennellata evocano straordinarie macchine sceniche, ricche di colore e vitalità narrativa. Il modelletto di presentazione qui esaminato offre l'opportunità di coglierne il procedimento creativo e di comprendere quanto sia ancora efficace in questo momento storico la lezione giordanesca, nondimeno esibita con un vigore e una modernità che travalica la sensibilità barocca preannunciando l'evoluzione in chiave settecentesca della grande decorazione. La composizione con sapienza onnivora ingloba in se il migliore magistero della teatralità e un cromatismo tenebroso ma estremamente variegato che all'epoca solo la cultura partenopea era in grado d'esprimere. Aveva tutte le motivazioni il De Dominici a definire il Solimena uno 'spirito speculativo' che dalla filosofia si applicò all'arte, infatti, introducendo il brano dedicato alla sacrestia dei padri teatini il biografo dichiara che 'qual lode sarà mai che basti per l'opera che son per descrivere?' e prosegue elogiando la perfezione del dipingere a fresco che 'si è giammai veduta nei passati e moderni pittori, né simile bellezza del colorito, nobiltà di sembianti, idee perfettissime, diversità nelle fisionomie, e componimenti ottimi, con bellissimi contrapposti', parole che calzano alla perfezione per il nostro 'monumentale' studio a olio (Cfr. De Dominici 1743, III, pp. 585 - 586). Tornando all'ambiente, gli affreschi sono incorniciati da decorazioni di stucco a motivi fitomorfi e floreali eseguiti attorno al 1687 da Lorenzo Vaccaro e le pareti di fondo accolgono due grandiose scene quali La Caduta di Simon Mago, firmata e datata 1690 e la Caduta di San Paolo, firmata e datata 1689, mentre nella volta e nelle centine laterali sono rappresentate le Allegorie delle Virtù, prototipi autentici di tanta pittura rocaille fino al tempo di Fragonard. L'impressione d'insieme è a dir poco grandiosa, non solo per la qualità prettamente estetica ma anche per la regia complessiva che pare inarrestabile e al contempo arginata dalle vaste rappresentazioni poste agli estremi della sala e che il modelletto evoca con una forza straordinaria e toccante. E' impressionante osservare gli innumerevoli passaggi di colore e delle velature e al contempo accorgersi del rigoroso impianto prospettico e disegnativo. Le figure, le mani e i panneggi son qua delineati con magistrale sapienza mentre l'impasto evoca in maniera sorprendente il clamore dell'evento miracoloso, la concitazione drammatica dei gesti.

Bibliografia di riferimento:
G. Wiedmann, Francesco Solimena e Gli affreschi della Sacrestia di S. Paolo Maggiore di Napoli, in Angelo e Francesco Solimena due culture a confronto, a cura di Vega de Martini e Antonio Braca, Napoli 1994, pp. 175 - 185, fig. p. 186 con bibliografia precedente.
ESTIMATE € 15.000 - 25.000