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Quirinale. La Casa delle ispirazioni

Renata Cristina Mazzantini e Francesco Colalucci

Il Palazzo del Quirinale è una stratificazione di arte, storia e potere ecclesiastico, regale e civile. Da dove nasce questo ruolo d’eccellenza che mantiene dall’antichità ad oggi? Sul più alto dei colli di Roma, come un’antica acropoli, visibile e non per chi si avvicini, il complesso architettonico del Quirinale emana quella sacralità che viene attribuita alle alture, creando un senso di attesa e di progressiva conquista. Il ruolo d’eccellenza del Quirinale nasce dal massiccio collinoso su cui sorge, ovvero dal locus naturale che sin dalla prima antropizzazione ne ha determinato lo sviluppo come elemento primario nella città, con un importante valore disposizionale e propulsore per il suo divenire urbanistico e politico. La sacralità dell’altura risale all’epoca romana, quando il Colle ospitava il tempio del dio Quirino, a cui deve il nome, e il tempio creduto di Serapide, cui è collegato il favoloso gruppo scultoreo dei Dioscuri. Da allora, sul Quirinale sembrano idealmente congiungersi la terra e il cielo e riunirsi divini e mortali. Il carattere naturale e salubre del sito, che indusse Gregorio XIII Boncompagni a costruirvi il «bel palazzo» che assurse a residenza papale, non ne esaurisce però la lettura storica. Come “fatto urbano”, il vasto complesso architettonico che racchiude 4 ettari di giardini, presenta una qualità e un’identità specifiche, che dipendono dal significato del luogo. Il significato costituisce il punto di contatto tra la forma dell’ambiente e il processo di percezione dell’uomo e la storia contribuisce a rafforzarne il grado di percettibilità. In questa prospettiva, il permanere centro del potere come sede della massima magistratura dello Stato Pontificio, poi del Regno e oggi della Repubblica Italiana, ha consolidato il significato urbano del Quirinale, attraverso i rituali impressi nella memoria collettiva e l’architettura, che ne ha plasmato l’immagine secondo una concezione estetica. Nei secoli, quest’instancabile progettualità ha reso il Quirinale uno straordinario paesaggio di pietra e gli ha conferito quel ruolo di eccellenza che ancora oggi mantiene. [RCM]

Dal Seicento all’Ottocento lavorano al Quirinale architetti e artisti del calibro di Carlo Maderno e Guido Reni, Gian Lorenzo Bernini e Pietro da Cortona, Carlo Maratta e Pier Francesco Mola. E ancora, nel primo Ottocento neoclassico e napoleonico, Felice Giani Jean Dominique Ingres e Bertel Thorvaldsen. Quale rapporto si instaura tra illuminati committenti e artisti di genio assoluto?
“Le istituzioni sono le case delle ispirazioni”, osserva Paolo Portoghesi, e l’architetto “sceglie e compone per tradurre le istituzioni dell’uomo in ambienti e rapporti spaziali. È arte se si risponde al desiderio e alla bellezza dell’istituzione”. L’intento di rappresentare nella bellezza l’istituzione caratterizza il rapporto tra gli artisti e i committenti più o meno illuminati che dal ‘600 all’800 si avvicendarono al Quirinale. I 30 pontefici che vissero al Colle scelsero artefici di realizzazioni esemplari: oltre ai citati protagonisti del barocco e del neoclassico, occorre ricordare anche gli architetti Ferdinando Fuga e Alessandro Specchi e i coevi pittori Giovanni Paolo Pannini, Jan Frans van Bloemen e Pompeo Batoni. Dopo Gregorio XIII, i committenti più attivi nello sviluppo del palazzo furono: Sisto V Peretti che lo elesse dimora papale, Paolo V Borghese che amò “opporre un severo fasto all’idea calvinista del fasto come peccato”, Urbano VIII Barberini che “circondò il giardino di alte e forti mura”, Alessandro VII Chigi che “con espressioni di affetto tenerissimo” chiamò il Bernini “a cose grandi” e Benedetto XIV Lambertini “genio naturalmente fabricatore” la cui Coffee-House divenne “un museo, a cagione dei dotti che vi radunava”. Tra loro irruppe la presenza virtuale ma significativa di Napoleone Bonaparte che, senza mai abitarli, incaricò Raffaele Stern di coordinare la laicizzazione degli appartamenti papali; ironia della sorte, al ritorno di Pio VII Chiaramonti fu proprio Stern a dissimulare i segni delle stesse ambizioni imperiali. Dal 1871, i monarchi si adoperarono per appagare le frivolezze della corte in una reggia alla moda, creando esuberanti sale da ballo, sontuose stanze per gli ospiti e sterminate cucine. Non vanno dimenticati, dunque, gli artisti prediletti da casa Savoia, come Antonio Cipolla, architetto delle Scuderie Sabaude, né Ignazio Perricci e Cesare Maccari, che affrescarono importanti volte dopo la presa di Roma, né Ernesto Ballarini e Alessandro Palombi, che nel primo Novecento dipinsero altri ambienti di ricevimento. Si tratta, quindi, di rapporti individuali, stretti tra personalità disparate in epoche lontane, accomunati solo dall’idea di fare del Quirinale un’immensa opera d’arte. [RCM]

Il Quirinale da oltre quattro secoli è uno scrigno di arte e cultura che si rinnova con l’evolversi della storia. Tra conservazione e promozione, le numerose collezioni conservate in questo luogo dall’enorme valore storico e politico, come affrontano la contemporaneità del XXI secolo?
Uno dopo l’altro e spesso uno sopra l’altro, gli ambienti del Quirinale sono cresciuti in un processo di continuo rinnovamento che ha coinvolto i migliori talenti degli ultimi 400 anni. Questa dinamica propria dell’architettura, per cui ogni generazione aggiunge alla preesistenza opere contemporanee degne di diventare antiche, dal secondo dopoguerra era rimasta sospesa. Per stimolare l’innovazione e riannodare il rapporto con l’arte, il presidente Sergio Mattarella ha presentato “Quirinale Contemporaneo”, un progetto in fieri che avvia una nuova fase della storia del palazzo: superando l’idea di museo, intende restituire alla Sede della Presidenza della Repubblica un’immagine più vicina a quella di Casa degli Italiani. Il progetto prevede l’acquisizione a titolo gratuito di opere contemporanee d’arte e di design, realizzate dai protagonisti del panorama culturale del periodo Repubblicano. Le edizioni 2019 e 2020 hanno selezionato 75 opere d’arte, tra cui lavori di De Chirico, Fontana, Burri, Manzoni, Afro, Vedova, Pomodoro, Ceroli, Pistoletto e Isgrò; oltre a 66 oggetti firmati dai maestri del design made in Italy. E la selezione proseguirà nel 2021, per interessare garbatamente tutti gli ambienti del Quirinale. Senza allestimenti effimeri e nel rispetto che la storia del luogo impone, la creatività contemporanea si è inserita armoniosamente a palazzo, cercando di stabilire una continuità narrativa, concettuale e formale con il contesto. Anche attraverso un italianissimo gioco di rimandi con la tradizione, le opere dei secoli XX e XXI hanno dilatato la dimensione percettiva del Quirinale, rivitalizzandolo. L’integrazione contemporanea del patrimonio della dotazione presidenziale, gratuitamente accessibile a tutti i cittadini, è entrata a far parte del luogo, arricchendone il significato con nuove energie. Così il Quirinale, mediatore tra passato e presente e “casa delle ispirazioni” del Paese continua, citando Henri Focillon, “a generare i suoi miti”. [RCM]

Nel 1870 con l’annessione di Roma al Regno d’Italia, il Quirinale diviene da antico palazzo papale residenza della famiglia reale, e in questo periodo giunsero dalle regge di tutta Italia mobili, quadri e arazzi. Quali sono le opere più significative delle collezioni d’arte che segnano questo momento cruciale della storia di questa prestigiosa residenza?
Dobbiamo immaginare, dopo il 1870, un palazzo completamente da riallestire. I Savoia potevano attingere non solo dalle loro residenze piemontesi ma anche dalle regge degli Stati preunitari. Si venne a formare in questo modo non una collezione come la intendiamo tradizionalmente – frutto di coerenti commissioni o acquisti di un principe o di una dinastia – ma piuttosto una variegata raccolta che di fatto rappresenta un ricchissimo e articolato panorama della cultura artistica italiana dal Cinquecento in poi.
Gran parte delle scelte degli oggetti da importare in Quirinale aveva una ragione funzionale e seguiva una linea di gusto – attribuibile alla principessa, poi regina, Margherita – che puntava decisamente al rococò. Si fecero così confluire a Roma anzitutto moltissimi arredi e mobili francesi di pieno ‘700, molti dei quali provenienti dai palazzi del Ducato di Parma.
Naturalmente i Savoia fecero arrivare a Roma arredi anche dalle loro residenze piemontesi. Gli esempi più spettacolari sono i mobili di Pietro Piffetti: la libreria, proveniente da Villa della Regina a Torino, e una serie di mobili che arrivarono in Quirinale nel 1888 per l’Appartamento che fu allestito quell’anno per ospitare il kaiser Guglielmo II. L’importazione a Roma di queste opere tradisce un intento di esaltazione dinastica da parte dei sovrani, che vollero a Roma opere che dimostrassero l’eccelso livello artistico raggiunto dagli artisti attivi per la corte sabauda nel passato.
Ancora nel 1919 arrivarono in Quirinale da Monza i dodici straordinari seggioloni intagliati da Andrea Brustolon all’inizio del ‘700 intagliati con i segni zodiacali.
Non bisogna poi dimenticare la cospicua collezione di carrozze, alcune delle quali opera dei maggiori artisti della corte sabauda tra fine ‘700 e primo ‘800. [RCM]
La collezione delle porcellane del Quirinale per quantità e numero può considerarsi tra le principali al mondo. Quali manifatture conserva e come si è costituita nel corso del tempo?
Furono anche in questo caso i Savoia a rifornire il Quirinale delle porcellane necessarie per i servizi da tavola usati sia nel quotidiano sia, soprattutto, per le attività di rappresentanza. Per ospitare migliaia di pezzi dei servizi in porcellana necessari alla vita di corte, alcune grandi stanze al pianoterra del palazzo furono riconvertite a “Vasella” ed ancora oggi sono allestite con il mobilio realizzato a fine ‘800 per raccogliere ed esporre le porcellane.
Notevole è l’insieme di tre servizi settecenteschi della manifattura Reale di Sèvres, la cui estrema raffinatezza nelle forme e nei dipinti che li impreziosiscono ci aiutano a immaginare lo sfarzo delle tavole della la corte di Luigi XV per le quali furono realizzati. Non vanno trascurate anche le acquisizioni ottocentesche e dei primi anni del ‘900, fra le quali cito solo lo straordinario servizio da dessert detto “di Umberto I”, nel quale una ventata di modernità svincola i decori di frutta dalle impaginazioni tradizionali per disporli liberamente su piatti e tazzine. [FC]

In egual misura la collezione di arazzi rappresenta un unicum per qualità e varietà, nata in circostanze del tutto eccezionali alla fine dell’Ottocento. È possibile averne maggiori dettagli specificandone i criteri di selezione?
Indubbiamente la raccolta di arazzi del Quirinale è una delle maggiori e più importanti al mondo. Non solo per quantità di pezzi – duecentosessantuno – ma anche e soprattutto per la qualità e la varietà delle manifatture rappresentate. E non è un caso se nel complesso presidenziale è attivo un laboratorio di restauro arazzi, creato in sinergia con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. L’attività sugli arazzi del resto si affianca a quella degli altri laboratori del Quirinale, dove tecnici di alto livello, che conservano ancora la sapienza del grande artigianato italiano si occupano della manutenzione dei manufatti lignei e degli orologi.

La serie di arazzi più importante è senza dubbio quella medicea tessuta nel ‘500 e dedicata alle storie di Giuseppe, basata sui cartoni preparatori di Bronzino, Pontormo e Salviati. Questo gruppo di arazzi è attualmente oggetto di una importante esposizione a rotazione nella Sala dei Duecento a Palazzo Vecchio a Firenze, frutto di un accordo con il Ministero della Cultura e con il Comune di Firenze.
Dal Ducato di Modena arrivarono invece sei panni della serie delle Nuove Indie, tessuti nella manifattura dei Gobelins nel secondo settecento, che dall’800 decorano sontuosamente la Sala dello Zodiaco, con il vivace affastellarsi di animali e vegetazione esotica.
Naturalmente il criterio di selezione degli arazzi, date le dimensioni spesso monumentali, di questo tipo di manufatti, fu quello di provvedere all’arredo dei grandi saloni del palazzo dopo il 1870. L‘effetto di queste sistemazioni è indubbiamente spettacolare grazie alla qualità degli arazzi scelti, come nel caso di due splendide serie a tema mitologico tessute a Beauvais a metà ‘700 su cartoni del grande François Boucher.

Molti ambienti furono invece impreziositi con gli arazzi dedicati alle Storie di Don Chisciotte, di cui conserviamo sette esemplari della manifattura dei Gobelins e un alto numero di panni della più tarda edizione tessuta a Napoli. [FC]