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Lo sguardo di un connoisseur – La Fondazione Zeri

FONDAZIONE ZERI/di Andrea Bacchi

La Fondazione Federico Zeri è  stata costituita nel settembre 1999, per volere dell’Università di Bologna, a meno di un anno dalla scomparsa del grande studioso romano. Fin dalla sua nascita lo scopo della Fondazione è stato quello di preservare, far conoscere e valorizzare il patrimonio ricevuto in eredità, ovvero soprattutto quelli che erano stati gli strumenti del mestiere di un conoscitore eccezionale, la biblioteca e, in primis, la fototeca.
Zeri, nato nel 1921, si era formato all’Università di Roma con Pietro Toesca, era poi entrato nell’amministrazione pubblica delle Belle Arti, divenendo nel 1948 direttore della Galleria Spada, sempre a Roma, ma fin dai primi anni Cinquanta, con una scelta forte e coraggiosa, aveva deciso di abbandonare quella carriera per rimanere uno studioso autonomo, libero di frequentare con la sua inesauribile curiosità il mercato d’arte senza conflitti di sorta, con un rigore, anche morale, davvero raro. Zeri, allora, aveva già fatto gli incontri fondamentali per la sua crescita di studioso, quelli con Bernard Berenson (1865-1959) e con Roberto Longhi (1890-1970), che a quel tempo vivevano entrambi a Firenze, in due ville in collina (quella celebre di Berenson, I Tatti, più lontana dal centro, a Settignano). Fu a contatto con quelle figure di conoscitori puri, già allora quasi mitiche, che Zeri maturò la decisione di intraprendere il percorso di cui si è detto, lontano tanto dai ruoli dell’amministrazione pubblica quanto dalla carriera accademica (Longhi, si sa, era stato invece professore prima a Bologna e poi a Firenze). E si trattava di un percorso che, allora, era fatto prima di tutto dal contatto quotidiano, incessante, con le foto: se i più grandi conoscitori delle generazioni precedenti, da Giovanni Morelli (1816 – 1891) a Giovanni Battista Cavalcaselle (1819 – 1897), erano stati, anche per necessità, degli infaticabili viaggiatori, dal tempo di Berenson le cose erano in parte cambiate, e proprio BB (come veniva soprannominato lo studioso di origini lituane) aveva sostenuto che la storia dell’arte è un gioco in cui vince chi ha più foto. Nacquero così delle straordinarie fototeche private. In un passo bellissimo e malinconico di un articolo del 1987 lo stesso Zeri rievocava quella che era stata la sua seconda formazione, accanto a Longhi, dopo quella accademica con Toesca: “quando oggi, col mio passo claudicante per l’artrite, ripenso alle camminate dalla stazione fiorentina sino a via Fortini, con due valigie gonfie di centinaia di fotografie (sulle quali passavamo insieme lunghe giornate di ricerche e discussioni, cui debbo la mia ossatura di storico dell’arte e di conoscitore), ebbene, posso dire soltanto che è molto triste invecchiare”. In quegli stessi anni, chi scrive era a sua volta solito viaggiare dalla stazione di Roma fino alla lontana Mentana (25 km dall’Urbe), senza però bisogno di portare con sé valigie piene di fotografie, perché le foto (magari quelle stesse che erano già state tra le mani di Zeri e Longhi tanti anni prima) mi aspettavano nella grande villa dove Zeri, dopo una vita di viaggi, soprattutto avanti e indietro dagli Stati Uniti, si era ritirato per avere lo spazio sufficiente ad ospitare le sue ormai eccezionali raccolte fotografiche e librarie. Io mi ero formato all’Università di Bologna, con un allievo di Longhi, Carlo Volpe, e con Bologna, in particolare con Anna Ottani Cavina, Zeri aveva allora stretto un rapporto di fiducia e fu così che l’Alma Mater decise di conferire allo studioso romano la laurea ad honorem nel febbraio del 1998. Da questo rapporto, forte e duraturo, nacque la decisione di Zeri di lasciare proprio all’Università di Bologna la sua eredità culturale, oltre alla stessa villa di Mentana con la preziosa collezione di epigrafi che ne orna i muri del giardino.

La Fondazione è un’istituzione ancora giovane (è stata diretta dal 2001 al 2014 dalla Ottani Cavina, alla quale è poi succeduto chi scrive), ma in questi venti anni di vita la sua attività è stata molto intensa. Il principale obiettivo, come si è detto, era valorizzare l’eredità culturale di Zeri. A tal fine la biblioteca (46.000 volumi di storia dell’arte e 37.000 cataloghi d’asta) e la fototeca d’arte (290.000 fotografie di opere d’arte) sono state progressivamente messe a disposizioni degli studiosi presso la sede della Fondazione, nel convento rinascimentale di Santa Cristina, dove si trova anche il Dipartimento delle Arti dell’Università. Nel loro insieme i due istituti costituiscono oggi un polo scientifico di primo piano, nel contesto internazionale, per lo studio della storia dell’arte. Del 2008 è l’apertura al pubblico; tutto il patrimonio librario è stato schedato ed è interrogabile attraverso l’OPAC del Servizio bibliotecario nazionale: da questo lavoro è emerso come il 60% dei testi posseduti da Zeri non sia presente nel catalogo del polo bibliotecario bolognese e il 20% in alcuna biblioteca italiana catalogata in SBN. Particolarmente prezioso e completo è infatti, ad esempio, il fondo dei cataloghi d’asta che lo studioso riceveva regolarmente dalle maggiori case internazionali (Christie’s e Sotheby’s innanzitutto): quelli, al pari delle foto, erano il vero pane quotidiano di un conoscitore come Zeri, che spesso annotava le sue osservazioni direttamente sui cataloghi. Si tratta, quindi, anche di un patrimonio di conoscenze che dialoga direttamente con le foto, le quali a loro volta, in misura anche maggiore, recano delle preziose indicazioni d’autore sul verso.

La fototeca è quindi il fiore all’occhiello della Fondazione. Fino ad oggi sono state schedate oltre 170.000 fotografie di opere di pittura e scultura italiane, dal XIII al XX secolo, in gran parte consultabili online dal sito della Fondazione. In un’epoca, la nostra, in cui attraverso il web siamo ormai abituati a reperire immagini con una velocità ed una facilità inimmaginabili ai tempi di Zeri, potremmo dire, parafrasando Berenson, che la storia dell’arte è diventata, almeno in parte, un gioco in cui vince chi ha la capacità di ricercare e confrontare le immagini, incrociare le informazioni ad esse associate, con più mestiere, senza perdersi nella rete. E il database della Fondazione è davvero uno strumento sofisticato e al contempo agile, che permette ricerche secondo tanti criteri diversi (autore, collocazione, cronologia, soggetto, dati fotografici, etc.). Il catalogo online della Fototeca Zeri è oggi considerato dagli studiosi il più completo sulla pittura italiana presente nel web. Viene consultato da docenti, studenti, antiquari, case d’asta e collezionisti, continuando quindi a svolgere davvero quello stesso compito di ricerca e divulgazione che gli aveva assegnato Zeri. Costituisce inoltre una fonte preziosa di informazione per la tutela del patrimonio artistico nazionale e un punto di riferimento anche per il Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri, che spesso ci contatta.
Proprio grazie all’eccezionale visibilità rapidamente conquistata dalla Fototeca Zeri attraverso la messa in rete e valorizzazione di gran parte del proprio patrimonio, la Fondazione è stata in grado di attirare importanti donazioni, ognuna delle quali è testimonianza precisa della vitalità dell’istituzione, dell’eredità di Zeri e del suo radicamento sul territorio. a Bologna. Già nel 2009 veniva acquisito l’archivio fotografico appartenuto a Stefano Tumidei (11.247 fotografie), docente dell’Università di Bologna, protagonista dei primi anni di vita della Fondazione (accanto a chi scrive aveva lavorato alla messa a punto del progetto catalografico), prematuramente scomparso il 9 maggio 2008. Di questi ultimi anni sono altre importanti acquisizioni. Nel 2017, Everett Fahy, forse uno degli ultimi grandi conoscitori formatisi secondo quel modello che incarnava perfettamente Federico Zeri, ha destinato alla Fondazione Federico Zeri la sua fototeca di 40.800 fotografie e altrettanti documenti cartacei, di primaria importanza soprattutto per lo studio del Quattrocento fiorentino.

Nel 2008 si è inoltre costituito il gruppo Amici di Federico Zeri (collezionisti, antiquari, imprenditori) che, condividendo gli obiettivi di ricerca della Fondazione, contribuisce a sostenerne le attività.
Zeri aveva messo a frutto il suo talento di conoscitore soprattutto negli Stati Uniti, insegnando come visiting professor alla Harvard University e alla Columbia University di New York. Egli fu anche consulente del Metropolitan Museum di New York, e l’unico europeo tra i trustees del Getty Museum di Los Angeles. La Fondazione ha mantenuto questa vocazione internazionale e, sempre partendo dall’eccezionalità della sua Fototeca, ha istituito rapporti di collaborazione con importanti Istituzioni quali il Getty Research Institute, The Samuel Kress Foundation, l’Institut National d’Histoire de l’Art (INHA) di Parigi e il Kunsthistorisches Institut di Firenze, solo per citarne alcuni.

Dal 2012, in particolare, la Fondazione è parte di un consorzio che comprende 14 fra i più importanti archivi fotografici del mondo per la documentazione storico artistica. Obiettivo di questo organismo è la realizzazione di una piattaforma comune che unisca le risorse digitali dei singoli istituti e diventi un fondamentale strumento di ricerca per l’intera comunità degli storici dell’arte. All’interno di questo consorzio, la Fondazione Zeri, insieme ad altre quattro istituzioni (Biblioteca Hertziana, Bildarchiv Foto Marburg, Fototeca Berenson, Frick Art Reference Library) ha avviato un progetto pilota grazie ad un cospicuo finanziamento dalla Mellon Foundation. Proprio in questi mesi un apposito team di digital humanists sta visitando i 5 archivi per l’analisi e l’harvesting di immagini e dati che costituiranno il nucleo base della piattaforma.

Accanto a queste attività così importanti, la Fondazione ha avviato fin dal 2004 un intenso programma di formazione specialistica in ambito storico artistico, rivolto a studenti e giovani studiosi, attraverso corsi e seminari tenuti da docenti tanto italiani quanto stranieri; di molti di questi sono stati altresì pubblicati gli atti. Accanto a quelli dedicati alla gestione, catalogazione e valorizzazione di archivi fotografici, altri hanno avuto come oggetto quel filone di studi di cui Zeri era stato esponente illustre, ovvero il metodo della connoisseurship, analizzato attraverso degli affondi sulla sua storia, tanto antica quanto moderna. Dal 2015 la Fondazione ha dato il via inoltre ad una collana, dal titolo “Nuovi diari di lavoro” (sulla falsariga dei Diari di lavoro di Zeri) che accoglie ricerche maturate all’interno dell’istituto o atti di seminari su temi già frequentati da Zeri.

Zeri non fu solo un grande conoscitore e storico dell’arte, ma anche uno straordinario comunicatore. Ne sono testimonianza i suoi brillanti articoli giornalistici, e le sue apparizioni televisive, sempre più frequenti negli ultimi anni di vita. Anche l’aspetto divulgativo, inserito in quella che oggi si chiama ‘terza missione’, sta molto a cuore alla Fondazione che organizza regolarmente conferenze e presentazioni di mostre e volumi, mettendo in rete, sul proprio canale youtube, le registrazioni delle iniziative che si tengono nella sede di Santa Cristina.

L’attività della Fondazione, sempre generosamente supportata prima di tutto dall’Università di Bologna, si è andata quindi diversificando e intensificando, rimanendo però fedele a quegli obiettivi che ha avuto chiari fin dalla sua nascita. E mi piace pensare che lo stesso Zeri, il quale non insegnò mai in una università italiana, ma che amava trasmettere con passione il proprio sapere e quel metodo di conoscitore che aveva coltivato così a lungo (lo fece con me, ma anche con altri giovani studiosi che frequentarono la villa di Mentana negli anni Ottanta), non avrebbe potuto sperare in una sorte migliore per la Biblioteca e la Fototeca che aveva arricchito fino agli ultimi giorni della sua vita.