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La movimentazione dell’arte nella massima sicurezza

Alvise di Canossa
Presidente  Arterìa e ArtDefender

Quando visitiamo una mostra d’arte ammiriamo opere, talvolta capolavori assoluti, che per trovarsi in quello spazio espositivo e per tornare nel loro museo di appartenenza devono viaggiare per l’Europa e per il mondo nella più assoluta sicurezza. Come nasce la sua idea di logistica dedicata all’arte?

Nasce da quanto ho realizzato in Saima Avandero, il più grande spedizioniere internazionale italiano tra il 1975 e il 2000, che ho guidato per venticinque anni, e dalla scelta, fatta a metà anni Ottanta, della logistica industriale come presupposto di sviluppo delle nuove tecnologie per la movimentazione delle merci. Quando nel 2000 ho venduto l’azienda e sono entrato nel mondo del trasporto delle opere d’arte in modo specifico, sempre più mi sono convinto che la logistica porta con sé i parametri corretti per come muovere e far circolare le opere in piena sicurezza.
A quel tempo il problema era principalmente di carattere pratico, in quanto non c’era ancora un’attenzione così forte come oggi sulle modalità di trasporto delle opere d’arte, anzi molto spesso il trasporto veniva considerato un fattore obbligato e costoso. Poi la crescita delle attività espositive in Italia – non parliamo di quelle nel mondo! – è stata così esplosiva nel corso degli ultimi venti/venticinque anni, da trovarsi a dover curare il trasporto per milioni di pezzi – perché questi sono ormai i numeri che girano solo per il mercato italiano -, che ha reso obbligatoria la messa in sicurezza di tutte le procedure di trasporto.
Quindi la logistica mi ha dato effettivamente la possibilità di usufruire di una tecnicalità, di una tecnologia e di una consapevolezza operativa tale, da permettere alla nostra azienda di conquistare rapidamente la leadership nel mercato italiano per il trasporto di opere d’arte.

ArtDefender e Arterìa operano entrambe nella logistica. In che modo collaborano e si completano?

La “logistica stanziale” si chiama ArtDefender, la “logistica dinamica” si chiama Arterìa; le ho divise proprio concettualmente nel 2008, quando abbiamo deciso, come Arterìa, di creare ArtDefender, perché il mercato in quel momento necessitava di una diversa concezione dei depositi e di una diversa tecnologia per la conservazione dei beni. Non era più sufficiente il magazzino di transito, era necessario trovare una soluzione che permettesse tecnologie, valutazioni e tecniche di conservazione molto più avanzate, quindi il controllo della temperatura e dell’umidità e la gestione specifica di ogni singolo oggetto rispetto alle sue caratteristiche peculiari, per studiarne ogni aspetto della conservazione in un ambito di piena sicurezza.
E questo è stato il ruolo che ArtDefender, nella sua fase iniziale, ha sviluppato in collaborazione con Arterìa, che invece si occupava di tutta la parte logistica, quindi la parte relativa ai trasporti. Art Defender ha poi negli anni perfezionato un’ampia gamma di consulenze, per supportare le esigenze dei nostri interlocutori, sia pubblici sia privati. L’integrazione tra le due realtà è diventata sempre più forte, tanto che oggi, pur essendo separate l’una dall’altra, si completano perfettamente nella gestione dei singoli servizi, perché le esigenze del cliente necessitano molto spesso di un coordinamento tra le due realtà.
Quindi possiamo dire che Arterìa è la casa-madre che sviluppa tutta la parte dinamica della movimentazione, ma ArtDefender è una parte complementare assolutamente necessaria per far sì che il trasportato, quando è nel suo punto di deposito, goda della massima attenzione e sicurezza da un punto di vista conservativo.

Quali sono i numeri che riguardano la movimentazione delle opere d’arte in Italia?

Ogni anno in Italia, solo per l’area museale, si muovono in entrata e in uscita all’incirca un milione e quattrocentomila pezzi, che vanno dal capolavoro assoluto all’oggetto di minor valore. Penso che nell’ottica del nostro tipo di servizio sia fondamentale garantire, a qualunque tipologia di bene artistico, la massima sicurezza nella sua movimentazione. È evidente che davanti a questi numeri dobbiamo ottemperare a un’efficienza operativa la più valida possibile, perché non è solo la perdita del pezzo in sé, quanto che ogni pezzo è quasi sempre unico sotto molti aspetti, impossibile da riprodurre; quindi il danno sarebbe totale e inaccettabile.

Occupandosi da oltre vent’anni anni di logistica dedicata all’arte, ha avuto modo di confrontarsi anche con grandi raccolte private. Come ha visto cambiare il gusto collezionistico?

I cambi di gusto sono generazionali e sempre molto delicati. Il passaggio di coloro che oggi sono i quaranta/cinquantenni è stato forse uno dei più complicati in assoluto, anche in conseguenza di un minor grado di preparazione rispetto al passato; nel senso che aver offuscato l’importanza dello studio della storia dell’arte, non ha permesso la formazione di un background tale da guidare le scelte, piuttosto che subire le tendenze del mercato.
Oggi si è affermata un’importante giovane generazione di collezionisti che sono anche investitori, con una visione del mercato dell’arte molto speculativa, che rischia di basare le proprie scelte sostanzialmente sul valore economico dell’opera, rispetto a una tradizione fondata sul gusto e sull’estetica, su collezioni tramandate per generazioni o per assi ereditari. Per questo, a mio parere, sarebbe anche giusta una diversa attenzione da parte del legislatore, e separare la figura del collezionista da quella dell’investitore. Sono due mondi che comunque ragionano e parlano insieme, ma sono tra loro molto diversi.

L’Italia conserva il maggior numero di presidi artistici tutelati dall’Unesco e un patrimonio diffuso che dall’antichità a oggi si è stratificato con ineguagliabile bellezza. L’economia del mercato dell’arte e l’economia culturale e paesaggistica sono due asset fondamentali che potrebbero godere di notevoli margini di sviluppo. Tutela artistica, mercato dell’arte e turismo culturale, possono coesistere come risorsa economica del Paese?

Il patrimonio storico artistico del nostro Paese è tutelato dall’articolo 9 della Costituzione, ma nel tempo non tutto è stato definito attraverso una continua attenzione ai cambiamenti storici e artistici, e oggi ne iniziamo a vedere le criticità. Quando nel 1974 fu creato il Ministero per i beni culturali e ambientali dal senatore Giovanni Spadolini, un uomo che aveva una grande visione della cultura interamente votata allo studio e alla ricerca, non si curò di introdurre nel concetto di gestione dei beni storico artistici il fattore economico e la loro valorizzazione, passati sempre in secondo piano, rendendo non facile la crescita di un mercato controllato e comunque attento a condivisi e necessari fattori di trasparenza.
Nel dialogo politico continuiamo a parlare della nostra cultura, dei nostri beni artistici e del nostro turismo come del nostro petrolio, ma il collegamento tra cultura-infrastrutture-turismo non è mai stato sviluppato in maniera completa. A guidare queste sinergie non dovrebbero essere il turismo e le infrastrutture; a guidare dovrebbe essere la cultura, questo perché il patrimonio storico artistico e paesaggistico del nostro Paese è talmente vasto e talmente diffuso, che da solo dovrebbe promuovere gli altri due segmenti che sono fondamentali per la nostra economia. Se manca questa capacità di visione di fatto continuiamo a vivere una dicotomia di interessi, tra quello che è lo sviluppo del Paese e quello che il Paese da un punto di vista culturale potrebbe offrire. Ed è uno dei problemi su cui la politica si dibatte costantemente e continuamente da qualche tempo, perché non si vuole riconoscere alla cultura una sua capacità economica; anzi, la stessa è da più parti invisa, perché secondo questa visione non accettabile ai giorni nostri, è solo foriera di possibili atti illegali o comunque solo speculativi.

Quali opportunità può offrire la logistica applicata alla conservazione del bene pubblico, oltreché alla movimentazione?

Fondamentale è la competenza dei tecnici che operano in questo contesto. Se noi vogliamo dare un servizio di logistica e quindi di una funzione reale, completa e complessiva, che sia in grado di assistere la movimentazione di un bene, dobbiamo studiare questo bene per trovare la soluzione ottimale per il suo trasporto. Ogni giorno partono dall’Italia o arrivano in Italia dal resto del mondo opere che devono viaggiare per migliaia di chilometri, affidate al nostro controllo, il che significa che ci viene data per lunghi tratti, per lunghe ore e per lunghe giornate, la responsabilità della loro sicurezza. Noi dobbiamo perciò costruire sistemi e soluzioni sempre più all’avanguardia improntati alla massima efficienza, perché è fondamentale che l’opera rientri nello stato di conservazione di quando è partita.
In un contesto di questo genere si muove anche il concetto della stanzialità del bene. Una delle proposte che abbiamo allo studio è quella del sistema dei depositi museali in Italia, di cui stiamo sondando la realtà per comprenderne la portata. Restando all’Europa, ma sostanzialmente in tutto il mondo Occidentale, esistono strutture di deposito tecnologicamente all’avanguardia, che permettono al bene pubblico di essere conservato e salvaguardato nel modo migliore, quindi in strutture altre rispetto al museo, accessibili al pubblico – parlo di realtà che esistono in Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Svizzera, per citarne alcune.
In Italia i nostri depositi museali hanno decenni di stratificazione, eppure il problema non viene considerato profondamente: alcuni sono effettivamente molto efficaci e molto efficienti, ma la stragrande maggioranza è profondamente deficitaria e, tra l’altro, nel nostro Paese non è consentito a un ente pubblico di depositare i propri beni presso un privato. Pertanto il bene pubblico lo si conserva fondamentalmente nel modo che è possibile ma che non vuol dire sempre ottimale, e perdipiù cala un velo su una quantità di beni nei depositi che non verranno mai visitati. Ecco perché, a mio parere, una rete di impianti d’alta tecnologia per la conservazione dei beni pubblici deve avere all’interno una sua percorribilità, una sua fruibilità, per consentire, anche in una situazione di deposito, l’accesso ai visitatori.
Questo potrebbe alimentare un circuito veramente virtuoso che è quello collegato all’Art Bonus, perché se io museo disponessi di una struttura avanzata, dove conservare beni che altrimenti non saranno mai esposti o visitati, se non su prenotazione da un ristretto numero di persone, perlopiù studiosi, potrei invitare il mio pubblico a sostenermi nel recupero e nella conservazione dei beni, specialmente per quanto riguarda l’area archeologica. Quindi il concetto dell’Art Bonus collegato ai depositi aperti e tecnologicamente efficienti, dove potrebbero trovare spazio tutte le attività di ricerca, restauro e diagnostica, se diffuso e percepito dal cittadino, potrebbe essere anche un valido strumento per dare consapevolezza del patrimonio artistico della propria città.
Si tratterebbe pertanto di creare un sistema integrato a livello nazionale; non solo, ma secondo le mie analisi, un sistema da collegare al Piano Mattei: ossia, pensare a un’ulteriore area dedicata al catastrofy recovery all’interno dei depositi, riservata ai paesi firmatari del Piano, come punto di arrivo e di difesa dei beni in caso di eventi catastrofici, per poi essere ricollocati in tempi brevi finita l’emergenza; onde impedire, per esempio, quanto è successo in Iran e in Iraq durante la guerra, con musei depredati e opere distrutte. Tutto questo per dire che il concetto di logistica e di conservazione ha una visione estendibile anche a funzioni tecniche molto specifiche, come i depositi.

Come parte l’idea di un’associazione di imprese dedicate alla logistica per la gestione dei beni d’arte?

Con il lockdown per la pandemia mi resi conto che il nostro mondo, le nostre attività stavano morendo. Così il 20 aprile 2020 scrissi una lettera all’allora Ministro dei beni culturali, l’onorevole Dario Franceschini, manifestandogli un  problema che, a mio giudizio, non  era soltanto contingente – quindi perdere seicento posti di lavoro che, all’incirca, in quel momento, rappresentavano gli addetti delle aziende che lavoravano in particolare per il Sistema Museale Statale o erano legate all’attività museale pubblica -, quanto ciò che queste perdite, questa dispersione di competenze avrebbe comportato dopo, alla ripartenza, quando l’intera macchina, l’intera filiera fosse scomparsa. Il Ministro comprese perfettamente il problema, ci confermò la sua attenzione e il diretto coinvolgimento del Ministero per le misure di sostegno economico, e il 20 maggio 2020 potei creare l’associazione Logistica Arte, che oggi comprende ventidue aziende, quindi il 95% circa delle imprese che operano nei confronti del pubblico per la movimentazione dei beni museali.
A livello associativo, insieme al Gruppo Apollo che rappresenta l’industria dell’arte in Italia (quindi antiquari, galleristi, case d’asta, numismatici, librai e logistica), siamo anche diventati interlocutori del Ministero della cultura, così come di altre realtà, per esempio AICC (ossia l’Associazione Imprese Culturali e Creative, di emanazione Confindustriale),  perché attraverso questa forma di condivisione è possibile veicolare tutta una serie di informazioni utili al mercato dell’arte, per rendere la circolazione delle opere più facile dal punto di vista operativo.
Quindi, come Logistica Arte, abbiamo il compito di divulgare competenza, formazione, di assistere le imprese che partecipano all’associazione, e di rispondere alle domande che il sistema ci pone per migliorare l’efficienza del servizio.

Ogni giorno lei movimenta, trasporta, custodisce, assicura opere d’arte; ma l’arte è anche una passione che appartiene alla sua storia familiare e personale. Qual è la sua idea di collezionismo?

Da un punto di vista personale il collezionismo d’arte è un modo di vedere, vivere, emozionarsi con la Bellezza. Ma sostanzialmente quello che a me preoccupa è il passaggio generazionale. Se c’è formazione e se c’è passione puoi riuscire a trasmettere i tuoi interessi, anche collezionistici, perlomeno a rendere i tuoi figli partecipi di una tua visione di vita. Io non sono d’accordo sul concetto di trust o fondazione, perché è sì vero che questo difende l’unicità di una collezione, ma è al contempo un atto egoistico nei confronti delle generazioni future, che non devono trovarsi nella condizione di dover subire il tuo percorso, ma devono poter manifestare i loro gusti, perché impedire di vivere la collezione in modo diretto è togliere alle persone a te care la possibilità di decidere. Questo, personalmente, non lo farò mai.