Da trent’anni la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, nata a Torino nel 1995, opera nel mondo del contemporaneo attraverso numerose attività volte a sostenere il presente e il futuro prossimo dell’arte. Nel 2017 questa vocazione vi ha spinto a creare a Madrid una Fondazione “emanazione” della sede di Torino. Perché la Spagna, e perché l’esigenza di confrontarsi con l’estero?
La Fundación Sandretto Re Rebaudengo Madrid è stata istituita nel gennaio 2017. Ho scelto Madrid perché amo molto la Spagna, la considero la mia seconda patria. In Spagna ho molti amici e amiche e sono affascinata dalla sua cultura e dalla sua gente. Madrid è una grande capitale globale ed è un ponte con l’America Latina, un continente sempre più importante sulla scena artistica contemporanea.
Oggi la Fondazione spagnola è un’istituzione aperta, in esplorazione e nomade. La prospettiva è quella di sviluppare il nostro progetto, di intessere relazioni solide, di approfondire la nostra conoscenza della scena artistica spagnola e di iniziare a creare un audience.
Guidati da questo principio, nel 2020 abbiamo presentato Ian Cheng alla Fundación de Castro, nel 2022 Michael Armitage alla Calcografia Nazionale, nel 2023 Lucas Arruda alla Biblioteca dell’Ateneo, e nel 2024 Precious Okoyomon al Parco del Retiro. Il 4 marzo presenteremo la personale di Pol Taburet al Pabellón de los Hexágonos, alla Casa de Campo. Per svolgere la nostra attività, dedicata ad artisti di rilievo internazionale, vogliamo trovare di volta in volta il luogo perfetto per ciascun di loro, esplorando gli spazi dell’arte e della cultura della capitale, e aprendo nuove relazioni e confronti sorprendenti con le architetture e con la storia dell’arte.
Nel 2020 abbiamo avviato lo Young Curators Residency Programme Madrid, un progetto che ogni anno coinvolge tre giovani curatori stranieri che hanno terminato i loro studi nelle più prestigiose scuole curatoriali del mondo, in un viaggio di formazione alla scoperta della giovane arte spagnola. Il programma propone a ogni edizione una mostra conclusiva. La prossima sarà a giugno 2025, nello spazio Nadie Nunca Nada No a Madrid.
Un progetto per giovani curatori che ripercorre quello da voi fondato a Torino nel 2007. Forti dell’esperienza maturata in questi anni, quali sono i programmi e gli obiettivi dei corsi?
Lo Young Curators Residency Programme Torino è un progetto importante per la promozione della giovane arte italiana. Da ormai diciotto anni la Fondazione organizza una Residenza che si pone il duplice obiettivo di sviluppare le capacità professionali e intellettuali di giovani curatori stranieri alle prime armi e, contemporaneamente, quello di promuovere l’arte contemporanea italiana in ambito internazionale: se dal punto di vista immediato l’iniziativa si presenta come un laboratorio sperimentale per le pratiche curatoriali, il contatto di curatori stranieri, provenienti da tutto il mondo, con i giovani artisti in Italia ha lo scopo ulteriore di creare un network che diffonda a livello internazionale la conoscenza della scena artistica italiana. Nel solco della continuità e di progetti che crescono e cambiano, nel 2025 la Young Curators Residency Programme Torino si ripresenta con un nuovo percorso di ricerca, che si concluderà a maggio con la mostra bipersonale dedicata ad artisti italiani, che giovani curatori stranieri presenteranno a maggio a Palazzo Re Rebaudengo a Guarene.
Dall’esperienza della Residenza, nel 2012 è nato CAMPO, un Corso per Curatori italiani. È un programma unico nel panorama dell’offerta formativa italiana per l’arte contemporanea: unisce la formula del corso specialistico a quella della residenza in viaggio. CAMPO è un itinerario: parte dal museo, base operativa per la formazione e l’esperienza professionale diretta, e si sviluppa in un percorso di ricerca in movimento tramite un ricco calendario di visite di studio nelle principali istituzioni artistiche italiane, negli spazi no-profit, nelle gallerie e negli studi degli artisti. Dopo tredici edizioni, quest’anno il programma si arricchisce di due borse di studio, messe a disposizione dall’Associazione Amici del Madre di Napoli.
Un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo si è avvicinato in questi anni all’arte contemporanea. Un contributo importante è stato dato dai musei e dalle fondazioni, e dai loro programmi espositivi. Ma l’interesse del pubblico passa anche dagli strumenti che aiutano nella lettura dei molteplici percorsi di ricerca dell’arte contemporanea. Attraverso i programmi sostenuti dalla Fondazione in questi anni, come avete visto crescere e cambiare il vostro pubblico?
In questi anni i pubblici sono cambiati e sono cresciuti: certamente oggi l’abitudine a visitare le mostre di arte contemporanea è maggiore, ma credo sia sempre importante prevedere delle forme di avvicinamento. Per esempio, a partire dal 2002, la Fondazione ha adottato la pratica della mediazione culturale dell’arte, la cui funzione è quella di favorire l’incontro tra l’opera e chi la guarda, fornendo indicazioni, sollecitando il dialogo e favorendo l’espressione delle interpretazioni individuali. Grazie anche alla mediazione, spesso capita che le persone tornino più volte in Fondazione, mentre grazie ai progetti educativi con le scuole si innesca una frequentazione anche da parte delle famiglie, per le quali abbiamo molte proposte.
Cerchiamo di lavorare con il nostro territorio di riferimento, di attivare convenzioni e relazioni di collaborazione a lungo termine, per sviluppare in chi partecipa l’abitudine ai linguaggi dell’arte contemporanea. Lo facciamo anche attraverso numerosi progetti dedicati a persone con disabilità: il punto di partenza è l’ascolto dei bisogni, la reciprocità e un continuo lavoro di aggiornamento e ricerca. Caratteristica peculiare della Fondazione è inoltre la collaborazione con professionisti di diverse discipline, complementari all’arte contemporanea. Il Dipartimento propone nello specifico: visite e laboratori legati alle mostre in corso; workshop di approfondimento; incontri e interviste con gli artisti; focus sulle professionalità dell’arte contemporanea; formazione per insegnanti e operatori; percorsi per persone con disabilità; attività di e-learning in lingua inglese; alternanza scuola-lavoro; proposte per asili nido e ludoteche e laboratori per famiglie.
L’arte contemporanea riveste un ruolo importante nel processo di estensione del diritto alla cittadinanza culturale, dunque, è per me un valore tangibile, una ricchezza per la vita delle persone e della nostra società. Sono fermamente convinta che l’arte e la cultura abbiano un ruolo decisivo nella vita democratica. Questo ruolo in Fondazione si concretizza nella mostra, un luogo di visita capace di sollecitare un approccio attivo, rivolto ai bambini, alla scuola, agli adulti, ai nuovi cittadini, alle persone in difficoltà, alle famiglie.
Dal territorio alla scena internazionale la Fondazione è impegnata a vari livelli con diverse istituzioni pubbliche e private. Perché è importante tessere relazioni e rapportarsi con altre realtà per crescere e promuovere l’arte?
Proprio nell’ottica di istituire più facilmente relazioni con altri musei ed istituzioni del mondo, da alcuni anni ricopro personalmente cariche all’interno di consigli e commissioni di istituzioni culturali in Italia e all’estero. Sono membro dell’International Council del MoMA di New York e della Tate Gallery di Londra; faccio parte del Leadership Council del New Museum di New York; siedo nell’Advisory Committee for Modern and Contemporary Art del Philadelphia Museum of Art; sono nel CDA dell’École des Beaux-Arts di Lione; sono nel Board of Governors del Center for Curatorial Studies del Bard College di New York, e faccio parte dell’Advisory Committee del Rockbund Art Museum di Shanghai. Sono inoltre membro della Commissione Cultura di Confindustria.
Queste partecipazioni sono un grande valore aggiunto per la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, perché ci consentono di dialogare con alcune tra le più importanti istituzioni culturali del mondo e di creare programmi comuni. Così, ad esempio, con la Tate di Liverpool è nato il progetto della mostra di Glenn Brown, mentre dalla partnership con il Philadelphia Museum of Art il premio The Future Fields Commission in Time-Based Media, assegnato ogni due anni ad un artista attivo nel mondo del video, del cinema e della performance, di cui sosteniamo la creazione, la produzione e l’acquisizione di un nuovo progetto: nel 2018 abbiamo presentato il lavoro di Rachel Rose, nel 2021 di Martine Syms, e nel 2022 quello di Lawrence Abu Hamdan. Quest’anno la personale di Teresa Solar Abboud, che si terrà in primavera a Torino, è il frutto delle relazioni che la Fondazione ha saputo tessere in questi anni, entrando a far parte per l’occasione di un circuito espositivo a fianco del Centro de Arte Dos de Mayo di Madrid e del Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona.
L’Isola di San Giacomo a Venezia, di cui è prevista l’inaugurazione entro il 2026, sarà la terza sede aperta dalla Fondazione dopo quelle di Guarene nel 1997 e Torino nel 2002. Quali saranno i progetti che connoteranno questo nuovo luogo dell’arte, e in che modo il recupero degli spazi e del territorio trasformerà l’isola?
Desideravo da tempo che la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo avesse una sede a Venezia, e quando mio marito ed io abbiamo scoperto l’isola di San Giacomo da subito abbiamo capito che era il luogo perfetto. Questo piccolo lembo di terra in mezzo alla laguna è un intreccio di storie antiche ed è un prezioso ambiente naturale. Da tre anni l’isola è diventata per me un avamposto dei sogni.
I lavori di recupero sono guidati dal rispetto della storia e dei valori del luogo e dall’attenzione al suo ecosistema: abbandonata da oltre sessant’anni, l’isola è stata nei secoli un monastero, un punto di sosta dei pellegrini in viaggio, poi una vigna, un orto e infine un sito militare fortificato. Il nostro progetto è quello di trasformarla in un giardino, di restaurare gli edifici in rovina (le ex polveriere), riadattandoli a spazi espositivi. Qui la Fondazione organizzerà mostre, performance, residenze artistiche, convegni, spettacoli dal vivo, in un dialogo che coinvolgerà arte, architettura, musica, cinema, teatro, danza. L’isola di San Giacomo sarà completamente autosufficiente dal punto di vista energetico, un centro ecosostenibile dove affrontare, attraverso l’arte, i temi cruciali del Climate change e dell’ambiente.
Vorrei che San Giacomo diventasse un punto di incrocio e tornasse ad essere una rotta tra i canali della laguna a nord di Venezia, a sua volta in collegamento con il mondo. Sarà un luogo aperto al pubblico. Inaugureremo nel 2026. La Fondazione ha “battezzato” l’isola già ad aprile del 2022, durante le giornate di apertura della 59ª Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, ospitando la performance di Jota Mombaça, intitolata In the tired watering, in cui l’artista si è confrontato con le qualità dinamiche dell’acqua e con i sentimenti di inquietudine che proviamo di fronte alle minacce di una futura catastrofe planetaria. E poi ancora, nel 2024, in occasione della 60ª Biennale Arte, abbiamo presentato il progetto Pinky Pinky “Good” dell’artista, danzatrice e coreografa coreana Eun-Me Ahn. Un rituale collettivo e trasformativo di benedizione, ispirato alla tradizione sciamanica coreana e concepito per l’isola, onorando così la sua nuova esistenza come luogo per l’arte contemporanea.
Da collezione privata a fondazione pubblica il suo impegno verso l’arte contemporanea e le tendenze emergenti è stato costante negli anni, portandola a sperimentare e rinnovarsi. Come avverte oggi il percorso fatto, e quali sono le sue ambizioni rispetto agli esordi?
Sicuramente in questi trent’anni di attività collezionistica e istituzionale sono stati numerosi i cambiamenti, anche nel mondo dell’arte che ha visto la moltiplicazione dei contesti geografici e dei soggetti coinvolti nella produzione culturale. Quando ho iniziato a collezionare, e poi ho creato la Fondazione, l’obiettivo principale era offrire ad artiste e artisti spazi per esporre, risorse per produrre le loro opere, e fornire ai pubblici strumenti interpretativi per avvicinarsi ai linguaggi dell’arte contemporanea. Oggi mi sembra che le istituzioni culturali possano e debbano fare di più, non per togliere centralità al discorso artistico, ma per valorizzare la relazione produttiva che l’arte contemporanea intesse con altri campi, altri saperi, altre questioni oltre quella estetica. È seguendo la rotta indicata dagli artisti che intendiamo il museo come luogo di ricerca sulle urgenze del presente: dai cambiamenti climatici alle trasformazioni tecnologiche, dalle discriminazioni all’inclusività. E lo facciamo sperimentando nuove pratiche e nuovi formati espositivi, discorsivi, educativi e formativi, valorizzando la peculiarità dello spazio artistico come contesto di confronto aperto e democratico.
Un esempio che spiega questo approccio è il programma VERSO, che abbiamo sviluppato nel corso del 2021-2022 come progetto curatoriale ed educativo incentrato sulla partecipazione delle giovani generazioni al processo democratico. Era un programma di mostre, workshop, incontri, visite e conferenze, dedicato ai giovani dai 15 ai 29 anni, curato e prodotto insieme all’Assessorato alle Politiche Giovanili della Regione Piemonte. Attraverso una pluralità di strumenti tra loro integrati, VERSO si è proposto come modello pedagogico innovativo, col fine di creare un percorso formativo sperimentale sui temi della cittadinanza, dell’inclusione, della partecipazione politica e della costruzione collettiva di scenari futuri.
Le scelte su cui ho costruito la Fondazione esplicitano con chiarezza e trasparenza i motivi personali e i valori più ampi che mi hanno spinta a costituire un’istituzione no-profit: una Fondazione privata che interpreto sul modello di un museo pubblico. Un museo-laboratorio capace di creare contenuti, di promuovere conoscenza, di ispirare e sostenere le giovani generazioni creative, di fare dell’arte contemporanea un motore di educazione e un fattore importante nei processi di community building.
Come festeggerete i vostri trent’anni?
Festeggeremo come si festeggiano i compleanni delle persone, perché sono le persone a rendere vivo lo spazio della Fondazione: da coloro che ogni giorno se ne prendano cura, agli artisti, al pubblico, agli studenti, ai bambini che partecipano ai nostri laboratori, ai mediatori culturali. Perché la Fondazione è un luogo dove si apprende, si inventa, si sperimenta e dove si discute, con uno spirito di apertura che rende possibile il senso della convivenza, del confronto e della cittadinanza culturale.
I progetti speciali del 2025 saranno numerosi, e per la Fondazione saranno l’occasione per ripercorrere trent’anni di stagioni espositive, e collegare le opere e le mostre alle nostre iniziative culturali. Chiuderemo l’anno con la pubblicazione di un libro dedicato alla storia della Fondazione, con una grande mostra celebrativa a Torino e poi a Guarene con opere della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, e con il public programme Where are we now?
Ho sempre tenuto a festeggiare ogni decennio con una grande mostra – è stato così nel 2005, nel 2015 e lo sarà anche quest’anno. Sono occasioni che servono a ricapitolare il percorso fatto, a costruire immaginari e a rilanciare la visione della Fondazione. La prossima mostra, come ogni mostra, sarà l’occasione per riaffermare la scelta fatta nel 1992 a favore dell’arte contemporanea e del collezionismo. La ragione che mi ha spinta a dar vita alla Fondazione è una ragione appassionata, mossa dallo slancio, dalla fiducia, dalla curiosità verso il futuro e dall’investimento sul presente e, soprattutto, dal desiderio di condivisione. Ho iniziato come collezionista ma molto presto ho capito che la dimensione personale e privata, tipica della collezione, non rappresentava per me lo spazio ideale per esprimere ciò che penso dell’arte e delle sue funzioni: estetiche, teoriche, ma anche e specialmente umane, riflessive, sociali. La Fondazione poteva rappresentare quello spazio ideale.
L’arte attinge dal presente, dall’attualità, dalla storia e insieme illumina idee e visioni di futuro. Fornisce le chiavi per leggere il nostro tempo da prospettive inattese e indisciplinate, fuori dalle narrazioni correnti e dalle regole della comunicazione. Penso all’arte come a una zona franca, a un linguaggio che oltrepassa le lingue. L’arte mi ha insegnato ad essere curiosa, a non avere paura delle opinioni diverse, ad affermare la bellezza e la vertigine che ogni pensiero nuovo e complesso porta con sé.