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Gualino alla Sabauda. Collezionista di passioni

A Riccardo Gualino è dedicato un ampio spazio della mostra “Casorati” allestita a Palazzo Reale di Milano dal 15 febbraio al 29 giugno 2025. Campeggiano nell’esposizione il suo ritratto insieme a quella della moglie Cesarina e del figlio Renato, realizzati tra il 1922 e il 1924 da Felice Casorati in uno stato di profonda condivisione spirituale con il committente, sono nel contempo moderni e classici, verosimili nelle fattezze ma sospesi in uno spazio di algida e immutabile beltà.
Gualino e Casorati sono due meravigliose eccezioni a una Torino artisticamente lontana dalle temperie avanguardiste che avevano animato la scena milanese dei primi due decenni, insieme al gusto nomade e cosmopolita di Lionello Venturi, raffinato storico dell’arte e connoisseur, che nell’arte aulicamente rinascimentale del pittore novarese vedeva rivelarsi una superba sintesi di modernità e tradizione, che rendevano già allora queste opere dei classici senza tempo.
Una figura anomala di imprenditore italiano, quella di Riccardo Gualino, capace di muoversi nel mercato internazionale con la disinvoltura dei tycoons americani, ma attento a formarsi una collezione d’arte di eclettica solidità nei valori estetici, trasversale nella scelta tra epoche e tipologie. Un collezionista moderno e curioso che ama circondarsi di oggetti a lui affini che sollecitano il suo carattere audace e irrequieto: dall’incontro con Lionello Venturi, nato nel 1918, nacque la consapevolezza che oltre la rassicurante tradizione bisognava amare nel nuovo, l’arte per l’arte, la bellezza per la bellezza. Parlando del loro intenso rapporto nella sua biografia “Frammenti di vita”, uscita per Mondadori nel 1931, egli afferma: “la nostra collaborazione mi apparve notevole, perché vi fusero, come in un comune crogiuolo, cultura e ardimento”.
Nel novembre 2022 i Musei Reali di Torino diretti da Enrica Pagella hanno presentato al pubblico il nuovo allestimento della Collezione Gualino al secondo piano della Galleria Sabauda. Nell’estate del 2023, la direttrice mi ha concesso questa lunga e appassionata intervista che racconta Riccardo Gualino e le sue scelte, la storia della sua collezione e della sua sciagurata dispersione, l’allestimento e l’auspicio di un ricongiungimento impossibile di una collezione che esalta il nome di colui che l’ha voluta ma soprattutto dell’arte in ogni sua epoca, splendida testimonianza della creatività umana.

Enrica Pagella
Direttrice Musei Reali di Torino 2015 – 2023

Riccardo Gualino ha alimentato la sua vita dell’amore per ogni forma d’arte, e la sua idea di collezionismo, a cui si è dedicato dagli anni Dieci del Novecento, è stata senza confini, esprimendo un gusto che egli considerava universale e votato alla bellezza. L’incontro con Lionello Venturi, nel 1918, segna però un momento importante: è il risultato, come riconosce lo stesso Gualino, della sua collezione, delle sue idee d’avanguardia e dei comuni progetti intorno all’arte. Quanto ha inciso Venturi nell’evoluzione estetica di Gualino?

La passione collezionistica di Gualino precede l’incontro con Venturi nell’estate del 1918, ma l’impatto delle idee di Venturi sugli interessi di Gualino è fondamentale, in particolare con il suo incarico all’Università di Torino. Ciò che Venturi propone rispetto al passato è una lettura dell’arte molto più aperta, che ha come asse portante la dialettica tra antico, moderno e contemporaneo. Venturi accompagna Gualino in un nuovo percorso in cui il gusto per la pittura cosiddetta primitiva, nel senso anche vasariano del termine, dialoga con l’arte contemporanea, che per il tempo significa Manet e Cézanne, i Macchiaioli e gli Impressionisti, e poi Modigliani, secondo un’idea di storia dell’arte in cui le forme si legano l’una all’altra attraverso i tempi. Una visione che certamente apre a interessi vastissimi, determinanti anche dagli interessi che Gualino matura verso la cultura orientale. A questo proposito è significativo un passo dei suoi Frammenti di vita, in cui Gualino racconta: «accesero indifferentemente l’animo nostro i colori di Cimabue o del Modigliani, le sintetiche figure egiziane, le stele cinesi dal sorriso enigmatico, i cassoni cinquecenteschi gloriosi di fasto veneziano, le nude sculture romaniche. Ogni forma d’arte, ogni stile, ogni epoca ci rapì nella contemplazione. La collezione ebbe il suo tono, la sua personalità, nella subordinazione di ogni motivo al desiderio dell’arte».
L’incontro tra Venturi e Gualino è uno di quei casi fortunati in cui la competenza critica, storica e accademica contribuisce allo sviluppo di un collezionismo consapevole, a raffinare il giudizio, a moltiplicare le curiosità in un’anima sensibile: tutti elementi che poi si trasmettono ai musei, come è accaduto nel caso di Gualino.

Sono le emozioni e il desiderio che si accende davanti all’opera d’arte a guidare Gualino nelle sue scelte. Negli anni del suo sodalizio con Lionello Venturi entrano nella raccolta pezzi significativi, e i viaggi diventano un’occasione per nuove acquisizioni. Dal Castello di Cereseto all’abitazione torinese di via Galliari, quale lettura critica possiamo dare a posteriori della collezione attraverso le opere che egli acquistava?

Partire dal Castello di Cereseto è molto importante, perché sul crinale tra Otto e Novecento accadono cose epocali nella cultura italiana. Il Castello appartiene ancora al gusto tardo ottocentesco che ruota intorno al movimento artistico-industriale, che ha alimentato la nascita di grandi musei in Europa: dal Victoria and Albert Museum di Londra, al Museo delle arti applicate di Vienna, a tanti altri. In Italia, per esempio, i Musei Civici del Castello Sforzesco di Milano e, per molti aspetti, il Museo Civico di Torino, oggi Palazzo Madama, sono il risultato di una cultura che ha i suoi decenni fondamentali tra il 1880 e il 1890.
Il Castello di Cereseto, la sua ristrutturazione e il suo arredo, stanno su questa linea della ricostruzione d’ambiente e dell’interesse per le arti applicate nelle loro molteplici manifestazioni (tessuti, arazzi, ceramiche, vetri, mobili…), che è poi la linea dell’Esposizione Generale di Torino del 1884 con il Borgo Medievale.
L’incontro con Venturi e il trasferimento nell’abitazione di Torino nel dicembre 1918, per Gualino significano, direi all’improvviso, l’avvento della modernità e di un orientamento più estetizzante e selettivo nell’apprezzamento dell’arte. L’interesse per le arti decorative decade a vantaggio della pittura, o comunque delle arti maggiori, in un’ottica di dialogo e di attenzione alla contemporaneità. Cereseto e l’abitazione di Torino documentano, in fondo, un passaggio emblematico della cultura italiana, dal Positivismo all’Idealismo.

I debiti contratti con lo Stato costringono Gualino, tra il 1929 e il 1930, a cedere una parte molto rilevante della sua collezione alla Banca d’Italia, che disperde in momenti diversi attraverso un iter molto complesso da ricostruire. Quali opere vengono depositate alla Galleria Sabauda, e quale è stata la loro vicenda museografica fino alla prima esposizione del 1959?

La questione è ancora più complessa di come solitamente viene rappresentata. A causa dei grandissimi debiti accumulati, dovuti ad avventure finanziarie finite male, alla crisi economica internazionale e anche alle politiche protezionistiche messe in atto da Mussolini, Gualino è costretto a chiedere un ingente prestito allo Stato italiano.  Tra il 1929 il 1930 sottoscrive due convenzioni con il Ministero delle Finanze e con la Banca d’Italia dove si impegna ad assegnare allo Stato le opere d’arte antica della sua collezione, già note perché pubblicate da Venturi nel 1926. Dopo il fallimento, anche le opere non comprese nella cessione vengono incamerate dalla Banca d’Italia che procede poi alla liquidazione di alcuni gioielli, come le tele di Modigliani. Nel frattempo, però, alcune delle opere acquisite dallo Stato vengono messe a disposizione del Ministero degli Affari Esteri e inviate dal Governo ad arredare l’Ambasciata italiana a Londra.
Dopo la guerra, le opere che erano state prese in carico dalla Banca d’Italia vengono in gran parte vendute a raccolte pubbliche e private: tra queste anche i sette dipinti di Modigliani acquistati da Gualino a Parigi nel 1928, a quel tempo l’unico collezionista italiano che attraverso l’intermediazione di Venturi aveva manifestato interesse verso l’artista. Le opere sopravvissute a questa vendita sono tuttora nella collezione della Banca d’Italia, con i nuclei di arte orientale e di arte moderna.
Le opere inviate a Londra vengo invece recuperate per la Galleria Sabauda grazie al paziente lavoro diplomatico della soprintendente Noemi Gabrielli, e al sostegno dello stesso Gualino, che si fa carico delle spese per l’acquisto di nuovi pezzi in sostituzione di quelli restituiti. Riunite nella collezione permanente della Pinacoteca, sono infine presentate al pubblico alla riapertura della nuova Galleria Sabauda nel 1959, presente Riccardo Gualino.
La collezione Gualino non ha i caratteri peculiari di una donazione voluta, pensata e ragionata; è piuttosto il risultato di una cessione forzata, anche se nel tempo acquisirà una fisionomia differente grazie ai costanti interventi dell’imprenditore per il suo recupero e per il suo allestimento nel Museo. Tanto è vero che, quando nel 1930 lo Stato italiano entra in possesso della collezione, Gualino stava realizzando con gli architetti Clemente e Michele Busiri Vici una grande villa sulla collina di Torino, in parte destinata ad abitazione e in parte a museo aperto al pubblico. Nel nuovo edificio Gualino aveva immaginato di radunare tutte le sue raccolte, come in quegli anni facevano i grandi collezionisti americani.
Sostanzialmente, nella Galleria Sabauda sono esposte le opere pubblicate da Venturi nel 1926, insieme ad alcuni pezzi di archeologia, un piccolo nucleo di oggetti d’arte orientale, lavori di oreficeria molto interessanti acquistati anche nei viaggi fatti insieme a Venturi, e quasi tutti i dipinti antichi. La collezione di pittura moderna è invece nella sede centrale della Banca d’Italia a Roma. Sarebbe interessante riunificare questi segmenti, anche per dare un senso a quella idea di collezione basata sul confronto tra antico e moderno.

Ma è un’eventualità auspicabile?

Abbiamo proposto un’esposizione integrata nel 2019 con la mostra I mondi di Riccardo Gualino collezionista e imprenditore, allestita nelle Sale Chiablese dei Musei Reali, con alcuni prestiti che ci hanno consentito di documentare, ad esempio, il sodalizio con Casorati e con il gruppo dei Sei di Torino. Attualmente programmi concreti per ricomporre la collezione non ce ne sono, e d’altra parte è un progetto che necessiterebbe di spazi diversi da quelli della Galleria Sabauda. Non è detto, però, che un giorno non si riesca a recuperare integralmente questo importante episodio del collezionismo italiano.

Dal 2022 la Collezione Gualino ha un nuovo allestimento al secondo piano della Galleria Sabauda. Quali sono gli elementi di eccezionalità collezionistica che sottolinea l’attuale percorso espositivo?

L’attuale percorso espositivo, organizzato su un asse cronologico dalle antichità romane fino al Settecento, passando per una sezione d’arte orientale, restituisce la complessità degli interessi di Gualino, con l’unica eccezione del moderno. Anche il gusto per le arti decorative, sebbene lo spazio disponibile non ci abbia consentito di darne una rappresentazione più estesa, credo sia reso abbastanza fedelmente; in particolare, sono interessanti alcuni mobili che riportano alla fase pre-novecentesca del Castello di Cereseto. Nel nuovo allestimento, per dare un senso compiuto al percorso di visita ed evocare la dimensione della raccolta, abbiamo inserito anche un filmato sulla biografia e l’attività collezionistica di Gualino, e una parte multimediale dove scorrono le immagini delle opere disperse, in particolare quelle attualmente conservate o quelle vendute nel corso del tempo dalla Banca d’Italia, con la quale il nuovo percorso è stato concordato e progettato.
Inoltre, mi piace sottolinearlo, il riallestimento della Collezione Gualino si colloca nell’ambito del più ampio progetto di riordino del secondo piano di visita della Galleria Sabauda, che prevede due affondi importanti: nel torrione sud Riccardo Gualino, che ha segnato la storia del collezionismo moderno; nel torrione nord la raccolta di fine Seicento-inizio Settecento del principe Eugenio di Sassonia-Soissons, proveniente dal Belvedere di Vienna e approdata a Torino nel 1741. Purtroppo, l’altezza degli ambienti non ci ha consentito di collocare nel percorso di visita opere capitali, come il ritratto del principe realizzato da Jacob van Schuppen, o il ritratto equestre del Principe Tommaso di Carignano, capolavoro di Antoon Van Dyck passato nelle sue collezioni.

Quali sono i punti di forza della Collezione Gualino presente alla Sabauda?

Sicuramente la parte dei primitivi è di grandissimo interesse, in particolare la tavola della Madonna col Bambino la cui paternità è tuttora discussa tra Cimabue e Duccio. Poi i dipinti del Tre, Quattro e Cinquecento, dove si avverte distintamente l’impronta di Venturi, che sposta l’attenzione di Gualino verso il Medioevo e il Rinascimento, con l’acquisto, ad esempio, dell’iconica Venere di Botticelli, mettendo così in secondo piano il Sei e Settecento, quindi il primo collezionismo di Gualino, di fatto il più residuale e già presente nel Castello di Cereseto.

Nella Torino degli anni Venti Gualino vive una stagione effervescente. I suoi interessi spaziano dall’arte, al teatro, all’architettura; i progetti fluiscono continui e alcuni resteranno irrealizzati, e sempre la costante necessità di scoprire e capire. Questo fervore che lo animava e questa necessità di anticipare il futuro come era percepito dalla città?

Gualino è stato un grande sperimentatore e un grande innovatore. Lo è stato come industriale, sviluppando un’attività finanziaria per l’epoca di estremo coraggio, e poi costruendo imprese che affrontavano materiali innovativi, come la seta artificiale. Sicuramente agiscono su di lui modelli che non hanno eguali in Italia in quella stagione e che guardano ai grandi finanzieri americani.
Una propensione all’innovazione che Gualino ha manifestato anche nel collezionismo, come in tutta l’attività culturale che ha svolto per il Teatro di Torino dal 1925 al 1930 acquistando il vecchio Scribe e affidandone a Gigi Chessa la ristrutturazione e a Guido Gatti la direzione artistica. Ed è proprio in questa attività che si manifesta la relativa incomunicabilità tra la sua proposta e la città di Torino, al di fuori di una stretta élite di intellettuali, pittori e artisti. La sperimentazione ardita che Gualino propone nel campo del teatro, in particolare la nuova danza libera apprezzata e diffusa dalla moglie Cesarina Gurgo Salice e da Bella Hutter, celebrata nei teatri di Parigi, viene accolta con freddezza dal pubblico torinese; una incomprensione che lo delude profondamente.
Ma Gualino non si rassegna mai e ogni volta reinventa se stesso. Anche dopo la guerra, con immutata passione si dedica all’arte, al mecenatismo e a nuove sfide, in particolare al cinema, realizzando con la sua casa di produzione Lux Film alcuni celebri successi del Neorealismo.

Il collezionismo contemporaneo tende oggi a vedere l’arte più come un fatto autocelebrativo della propria persona piuttosto che un’occasione di conoscenza e arricchimento culturale. Quale eredità possiamo trarre da Gualino?

L’eredità lasciata da Gualino è l’idea – mutuata da Venturi, ma certamente da lui abbracciata con entusiasmo – di un collezionismo in cui la conoscenza e la curiosità per le forme e per la loro evoluzione comprende una fascia larghissima di interessi; interessi trasversali rispetto alle tipologie, alle cronologie, alle epoche, ai luoghi; qualcosa che forse nel collezionismo contemporaneo è difficile trovare.
Ciò che considero ancora più stimolante del suo lascito è la capacità di coltivare l’arte e la cultura come un “riposo” della mente e dell’anima, anche dopo lunghe giornate di lavoro; la convinzione che la cultura umanistica sia un humus che alimenta la creatività anche dentro la cultura industriale. Questo aspetto della personalità di Gualino è interessante e moderno. Credo che la creatività, e quindi le idee innovative, nascano da curiosità molteplici, da una propensione al nomadismo intellettuale.

C’è un momento in cui Gualino sente il cambiamento, in cui la sua visuale artistica si fonde con la sua vita, in cui questo spirito audace che lo caratterizza come imprenditore si traduce nelle scelte collezionistiche. Quanto lo accresce questo mutamento di prospettive?

Nella sua autobiografia Gualino descrive la fabbrica in termini assolutamente estetizzanti, cosa che in una certa misura dobbiamo ridimensionare. Ma quanto, ad esempio, i suoi interessi collezionistici hanno influenzato le sue scelte imprenditoriali, con il passaggio dal commercio del legno alla seta artificiale? Comunque sia, questi interessi sono sicuramente legati allo sviluppo della sua persona, ma anche della sua carriera di imprenditore.
C’è poi un altro aspetto che dobbiamo sottolineare, ossia quanto Gualino sia legato alla cultura francese e quanto questo legame corrisponda a un tratto distintivo della Torino del tempo, in quegli anni molto diversa, per esempio, da Milano. Quanto, allora, il collezionismo ha contribuito a formare una mente libera e una barriera all’assunzione indiscriminata di un linguaggio ufficiale, anche nelle vicende imprenditoriali che poi hanno portato al suo arresto? La risposta è difficile, ma la domanda è stimolante.