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Frederick Stibbert, armato di travolgente passione

Intervista a Enrico Colle
Direttore del Museo Stibbert di Firenze

Chi era Frederick Stibbert?

Frederick Stibbert era nato a Firenze nel 1838, da padre inglese – Thomas Stibbert, colonnello delle prestigiose Coldstream Guards, trasferitosi in Italia dopo le campagne antinapoleoniche – e madre italiana, Giulia Cafaggi. Da cittadino britannico aveva svolto la sua educazione in Inghilterra, al college di Harrow a Cambridge, seppur in modo un po’ turbolento a causa della sua irrequietezza. Dopo la morte del padre nel 1847 – Stibbert era ancora un fanciullo – la madre aveva acquistato la villa di Montughi, dove si era trasferita due anni dopo dal palazzo cittadino, mantenedo i figli in un contesto sociale molto elevato a Firenze, grazie peraltro all’amicizia dei banchieri Fenzi, a cui il padre si era rivolto per amministrare il suo patrimonio: una fortuna economica che Stibbert avrebbe ereditato alla maggiore età, in quanto ultimo discendente maschio del ramo familiare. Le ricchezze degli Stibbert erano iniziate in India con il nonno governatore del Bengala, nonché generale comandante della Compagnia delle Indie Orientali: si pensi, che negli anni settanta dell’Ottocento, la disponibilità finanziaria di Frederick Stibbert era stata calcolata in 13 miliardi di lire, facendo di lui il quinto cittadino più ricco di Firenze. Terminati gli studi a Cambridge aveva fatto ritorno in Italia nel 1860, poco più che ventenne, abbracciando subito la causa italiana dell’unificazione, tanto che insieme ad alcuni amici si era arruolato garibaldino, e poi combattutto nella Campagna del Trentino del 1866, che gli valse la medaglia d’argento al valore. E fu proprio negli anni sessanta dell’Ottocento, in una Firenze che uscita dal Granducato si inseriva in un contesto più ampio dell’Italia unita, che Stibbert iniziava l’attività collezionistica e di trasformazione della villa di Montughi in museo.

Qual è stata la sua formazione?

La formazione di Stibbert era quella di un inglese dell’Ottocento. Negli anni del college a Cambridge era entrato in contatto con diversi personaggi e studiato numerose collezioni. Senz’altro aveva visitato più volte la Torre di Londra, dove era esposta tutta l’English Royal Armoury, rimanendo affascinato da quella che era chiamata la Line of Kings, creata nel XVII secolo per Carlo II, dove le armature storiche erano esposte su figure in legno in una sfilata di cavalli. E poi, il gusto neogotico che in Inghilterra era assai presente, a partire dalla villa di Strowberry Hill che Horace Walpole aveva fatto costruire sulle rive del Tamigi, considerata dagli storici come l’inizio del Gothic Revival. Walpole aveva pensato alla villa quasi come a un museo, e l’aveva arredata con opere e oggetti diversi, tra questi la collezione di armi e armature, la prima fatta da un privato alla fine del Settecento. Infine, la passione per la pittura che Stibbert aveva studiato sin da bambino con istitutori voluti dalla madre, perché gli insegnassero la tecnica e la storia. Questi anni di formazione inglesi – che possono considerarsi come una prima infarinatura agli studi successivi – e i mezzi economici che certamente non gli mancavano, fecero sì che tornato a Firenze decidesse di iniziare la sua vita italiana pensando alla creazione di un museo, che da quel momento sarebbe diventato il fulcro di tutti i suoi sforzi e interessi. Ma a dispetto di tanti altri collezionisti inglesi che l’avevano preceduto o erano suoi contemporanei, che consideravano Firenze come una seconda patria, e acquistavano pittura principalmente rinascimentale, Stibbert decide di fare qualcosa che nessuno aveva mai pensato prima: costruire un’armeria.

Partendo dagli anni di formazione inglesi, dal gusto neogotico e cavalleresco, come nasce il suo interesse per la storia del costume militare?

La storica armeria dei Medici venne dispersa dai Lorena alla fine del Settecento. I Medici avevano collezionato ogni tipologia di oggetti, e la loro eredità aveva costituito gli Uffizi, la Reggia fiorentina di Pitti, il Bargello, il museo della scienza e quello etnografico, e altri ancora. Quindi, tutte le sezioni che costituivano quel variegato mondo collezionistico dei Medici erano rappresentate in qualche istituzione fiorentina. Mancava, però, un museo dell’armeria, un vuoto che in un certo modo Stibbert decide di colmare creando una collezione non solo ispirata al medioevo o al rinascimento – come stavano facendo anche altri personaggi all’estero – ma, con una visione molto più ampia, un’armeria che comprenda tutte le epoche e tutte le nazioni, quindi, che abbracci l’Europa, il Mediorente, fino all’Estremo Oriente con l’armeria giapponese, dando una visione globale dell’evoluzione del costume guerresco. Ma Stibbert va oltre, e il passo successivo è quello di allargare i suoi interessi alla storia del costume anche civile, di cui il museo possiede un’esaustiva collezione (meno nota perché conservata nei depositi non potendo essere esposta continuativamente), che spazia con lo stesso principio dei costumi militari attraverso paesi e continenti.

Come si è sviluppata negl’anni la collezione rispetto ai sui interessi?

 L’elemento iniziale era lo studio che ruotava intorno ai suoi interessi, e partendo dall’armeria che in principio rappresentava il settore dominante, e poi i costumi, la pittura e le altre arti, le varie tipologie di oggetti che acquisiva erano tutte in funzione della storia, in modo da poter capire e datare ciò che andava via via raccogliendo. Un’impostazione da collezionista e studioso che comprendeva una grande biblioteca, focalizzata sulla storia del costume e delle armature, con libri sia manoscritti che testi in stampa, che terminati i lavori di restauro apriremo al pubblico. Tutto ciò che poteva acquistare in prospettiva del suo museo lo aveva fatto: abbiamo una grande quadreria con dipinti dal Quattrocento al Settecento, soprattutto ritrattistica, che stiamo rivalutando; circa 2.750 stampe datate tra Cinquento e Ottocento, e diverse serie di oggetti in porcellana. In un inventario approssimativo fatto post mortem si parlava di 50.000 oggetti – ma in realtà sono molti di più per le donazioni e gli acquisti posteriori – raccolti in cinquant’anni di collezionismo, dal 1860 alla sua morte nel 1906. Penso di poter definire la collezione di Stibbert come un tesoro nel tesoro.

Come si è strutturata la collezione delle armature?

Stibbert collezionava creando delle sezioni tipologiche. Di ogni singolo pezzo di cui è costituita un’armatura acquisiva vari esemplari. Ci sono, ad esempio, decine e decine di busti per armatura, ma anche oggetti più piccoli come i pomi per le spade, che gli permettevano di avere una visione totale dell’evoluzione del gusto e dello stile, ma anche perché molte armature avevano bisogno di restauro e i pezzi servivano alla ricostruzione delle stesse. Come un vero collezionista di ogni oggetto creava una serie e acquisiva una tipologia. Acquistava anche per interi lotti, come il nucleo di armature islamiche provenienti da una preziosa raccolta livornese costituita nel Settecento, che gli eredi stavano dismettendo, con capolavori dell’Armeria di Sant’Irene a Istanbul.

Quali sono gli oggetti piu’ rappresentativi del museo?

Nel campo dell’Armeria Europea sicuramente l’Armatura Borromeo, databile tra il 1585 e il 1590 circa, firmata da Pompeo della Cesa, uno degli armorai milanesi più abili della seconda metà del XV secolo, che firma altri pezzi presenti nella collezione; è un’armatura completa, a parte l’elmo conservato al Museo Poldi Pezzoli di Milano, che in un certo modo ci lega. Nella parte islamica ci sono sciabole e pugnali antichi molto importanti, che testimoniano la storia di questi oggetti passati da un sultano all’altro, e quindi arrichiti di pietre preziose; mentre i pezzi più antichi provenienti dall’Armeria di Sant’Irene sono databili al 1480-1500, riconoscibili da un punzone, il cosiddetto tamga, che recava una testa di bovino stilizzato identificativo delle armi dell’arsenale. La collezione giapponese è costellata di molte armature dell’Ottocento, ma anche di oggetti più antichi, come certi elmi molto rari. Nella casa museo, il camino del salone delle feste, intagliato in legno dalle dimensioni monumentali, rappresenta l’ultima follia economica di Stibbert. Chiamò per questa impresa Egisto Gaiani, scultore e intagliatore fiorentino molto ricercato in Italia e in Europa, che lavorava per le grandi case inglesi e americane. La collezione dei costumi di Stibbert è particolarmente importante per l’attenzione all’abbigliamento maschile, di cui si conservano esemplari molto importanti che risalgono fino alla fine del Seicento. Interessante e divertente è anche la collezione dei gilet, dalle fantasie e decorazioni più disparate, oltre agli accessori e anche agli abiti femminili, coerentemente con la sua attenzione alla storia del costume. Le incisioni e stampe costituiscono una raccolta molto eterogenea e sono state recentemente catalogate e digitalizzate. Sono circa 2.750 e spaziano tra il Cinquecento e l’Ottocento. Ceramiche e porcellane fanno parte degli oggetti che Stibbert acquistava principalmente per arredo, ma in particolare le porcellane sono state arricchite in un secondo momento da una collezione proveniente dal Barone de Tschudy, e depositata dopo la morte di Stibbert al Museo, nel 1914. I pezzi più spettacolari sono tre grandi gruppi scultorei in porcellana Ginori del 1750, che certamente Stibbert avrebbe posseduto con piacere, e quindi ben si armonizzano con le sue collezioni. Interessante è anche il nucleo delle maioliche di produzione Cantagalli, la cui realizzazione più spettacolare è la Loggia in maiolica che si apre vicino al grande Salone da Ballo. Frederick Stibbert e Ulisse Cantagalli erano amici, e moltissime opere di questa produzione erano utilizzate nella decorazione delle pareti della casa, poi rimosse con l’apertura del Museo e oggi difficilmente ricollocabili, come del resto parte della collezione degli arazzi.

Come Frederick Stibbert progetta e allestisce il suo museo?

Ciò che affascina e in qualche modo separa, e fa di Stibbert un caso a sé rispetto ai collezionisti di fine Ottocento inizio Novecento, è che egli cerca di dare alla sua collezione un criterio espositivo. Naturalmente, sarebbe stato molto noioso esporre gli oggetti l’uno accanto all’altro secondo un gusto tipico novecentesco – in voga fino agli anni Trenta – che privilegiava il singolo rispetto all’insieme. Stibbert guarda alle armerie storiche, come l’Armeria Reale di Torino, e riprende da queste il modo scenografico di esporre gli oggetti. Abilissimo nella pittura, disegna personalmente la sua collezione – le decorazioni delle pareti, la scenografia d’insieme – avvalendosi del supporto degli architetti per la progettazione e dei maestri di casa. Abbiamo molti taccuini dei suoi viaggi dove prendeva nota – più attraverso il disegno che la scrittura – di ciò che vedeva, ciò che poteva acquisire per ampliare la sua collezione, ma soprattutto degli ambienti come modello per il suo museo. La villa di Montughi acquistata dalla madre stava infatti diventando troppo piccola per ospitare una collezione che già alla fine degli anni Settantadell’Ottocento stava diventando cospicua. Stibbert – come era nei suoi intendimenti da qualche tempo – decide allora di ampliare la villa e progetta nuovi ambienti riservati all’Armeria, separati da quella che oggi è la casa museo. Il suo modello sono le cavalcate delle collezioni reali, non solo inglesi ma anche spagnole e francesi, dando ai decoratori delle indicazioni precise attraverso numerosi disegni che si conservano: per la Cavalcata europea cerca un ambiente neogotico; per quella islamica una scenografia che richiami gli ornamenti mediorentali; e per quella giapponese una sorta di commistione tra neogotico inglese e le decorazioni dei templi dell’Estremo Oriente, per sottolineare la vicinanza tra queste due culture così lontane ma con uno stesso ideale: quello cavalleresco. Stibbert guarda all’Inghilterra di William Morris di fine Ottocento, a quel gusto anglo-giapponese tipico di allora. Perché, l’altro aspetto decisamente all’avanguardia dell’allestimento del museo è questa sorta di unione tra le arti e le culture: non troveremo mai nelle sale un’esposizione asettica delle armature, dei capolavori, ma un’ambientazione dove mobilia e pittura convivono in modo armonico.

Quanto è stato importante il viaggio come opportunità collezionistica?

Stibbert viveva tra Firenze e l’Inghilterra. Aveva una casa a Londra, e come ogni inglese appartenente all’élite era socio di un club. Partiva in primavera con l’inizio della season che coincideva con l’apertura degli eventi mondani, quando si davano grandi ricevimenti e la nobiltà dei castelli si riversava in città. Frequentava l’ambiente aristocratico: era amico di personaggi molto vicini alla corte che ospitava a Montughi, come i duchi di Teck; conosceva gli eredi alla corona, tanto da ricevere la regina Vittoria che a Firenze soggiornava a Villa Fabbricotti, confinante con la sua proprietà; ma anche uomini di cultura come Oscar Wilde. Le sue partenze per Londra erano anche l’occasione per soggiornare in altri paesi, soprattutto l’Europa del Nord, ma anche nelle città dell’Est come San Pietroburgo, oppure al Sud in Spagna. I suoi itinerari erano costruiti con meticolosità e seguivano gli interessi collezionistici del momento. La Germania, ad esempio, era una meta privilegiata per le sue importanti raccolte di armature. I suoi mercati privilegiati erano Parigi e Londra, all’estero, e Milano e Venezia, oltre a Firenze e anche Torino, in Italia.

Qual era il mondo di Stibbert a Firenze?

A Firenze frequentava l’aristocrazia (sua sorella Sophronia era andata in sposa al conte Alessio Pandolfini, mentre Erminia era deceduta prematuramente a 16 anni); praticava il Circolo dell’Unione, le corse di cavalli di cui era appassionato, i luoghi dove si riuniva l’élite fiorentina ed europea. Amava andare a caccia e aveva una scuderia nel parco della villa, tutte quelle passioni tipiche degli inglesi della sua classe sociale. Al contesto mondano univa quello culturale, con il patrocinio delle cause legate alla città di Firenze, come la ricostruzione della facciata del Duomo. Ancora in gioventù aveva contribuito all’apertura ufficiale del Museo del Bargello, prestando alcune opere per la mostra inaugurale del 1865. Essendo un uomo molto ricco capitava venisse coinvolto in opere filantropiche.

 Che tipo di collezionista era Frederick Stibbert?

 Un collezionista tipo, che di tutti gli ambiti doveva raccogliere l’intero insieme: di un’armatura tutti i pezzi, di un abito tutti gli accessori, di un servito tutta la serie; ma anche uno studioso, che voleva conoscere e approfondire. Più che l’idea del possesso era l’aspetto intellettuale del collezionismo che lo interessava, ossia dare origine a degli studi su materie poco indagate fino ad allora, come appunto le arti decorative; perché, se sulla pittura e la scultura c’erano già studi avanzati, di questo segmento dell’arte si conosceva ben poco: l’idea di un museo sulla storia del costume, ad esempio, arriva solo nella seconda metà del Novecento. In tal senso, vedo Stibbert come un precursore dello studio delle arti decorative.

Quali sono le premesse del parco romantico all’inglese di Giuseppe Poggi?

Il parco con tempietti, grotte e giochi d’acqua riflette il gusto eclettico della seconda metà dell’Ottocento, come l’arredamento della casa con i suoi tendaggi, i mobili di stili diversi accomunati in un unico ambiente, il modo di esporre insieme gli oggetti orientali e della cultura europea. Inizialmente era una sorta di giardino all’italiana che rifletteva il gusto tardo settecentesco della villa, che viene stravolta quando Stibbert decide di ampliarla per costruire l’ala destinata al museo in stile neogotico. Ciò che cerca è quindi ritrovare un’armonia tra villa e parco, creare un’ambientazione esterna che faccia da prologo al museo, e in questa direzione vanno le indicazioni date a Giuseppe Poggi. Fa costruire la loggia veneziana, il tempietto ellenistico e quello egizio che si affaccia sul lago, le grotte, la limonaia. Ambienti che arreda come la casa: acquista gli stemmi storici provenenti dalle distruzioni del centro cittadino che pone sulla facciata del museo che accoglie la Cavalcata; fa realizzare mobili in stile neoegizio da una famosa ditta torinese, i Parvis – la stessa che lavorava per il chedivè – e decora il tempietto con sarcofagi e vasi canopi acquistati in Egitto, una tra le prime mete che da viaggiatore lo appassionarono; per la loggia veneziana, all’interno e lungo i muri di cinta, colloca i frammenti lapidei del Quattro-Cinquecento, originari di un palazzo gotico veneziano, acquistati nella città lagunare dallo stesso mercante di Isabella Stewart Garden. Tutto questo era stato pensato perché il visitatore che veniva introdotto alle collezioni e alla ricchezza degli interni vivesse una sorta di viaggio iniziatico.

Facendo oggi una valutazione museografica quali sono le peculiarità del Museo Stibbert?

L’aspetto singolare di questo Museo è anche l’aver mantenuto intatto l’allestimento fatto da Stibbert nella seconda metà dell’Ottocento. Ci sono musei, sempre nati da un collezionismo privato come il Poldi Pezzoli di Milano – un esempio a cui Stibbert poteva essersi ispirato in qualche modo – che sono stati bombardati durante la guerra, hanno subìto devastazioni e manomissioni; mentre questa villa che si trovava su un colle appena fuori Firenze è stata risparmiata da qualsiasi scempio; ma anche per volontà testamentaria dello stesso Stibbert, che alla sua morte, nel 1906, lascia in legato le collezioni e la villa alla Città di Firenze, perché sia aperta al pubblico e agli studiosi. Stibbert allestisce il Museo non solo come documantazione della storia del costume, delle armature, della vita cavalleresca, ma anche per creare un’esposizione coerente ai suoi gusti. Lo stile della casa museo è quello delle grandi dimore dell’Ottocento, delle grandi collezioni dove c’era posto per il mobile antico, il mobile del Sei-Settecento; addirittura – per ricollegarmi allo studio delle arti decorative e agli espedienti museografici – Stibbert pensa a quelle che negli anni Cinquanta diventeranno le period rooms dei musei stranieri inglesi e francesi, e ricrea due ambienti proprio come esempi del gusto: un ambiente del rococò francese e uno studiolo rinascimentale. L’Armeria è altresì unica nel suo genere, con un gusto che non può essere paragonato a quello di nessun altro museo a lui contemporaneo. Stibbert si muove sul doppio binario del collezionista ma anche del museografo e dello studioso, che inizia un grande percorso di analisi delle arti decorative.

Chi sono i visitatori del Museo Stibbert?

Lo Stibbert è molto amato dai giovani, perché è affascinante, stimolante e al tempo stesso è un viatico per musei come gli Uffizi, Palazzo Pitti, o il Bargello a Firenze. Accogliamo molte scolaresche, ma anche molte famiglie: è addirittura una tradizione portare i propri figli allo Stibbert, quasi una visita iniziatica. È molto ricercato anche dagli stranieri, a cui è affine forse più che agli italiani per tipologia museale e genere di collezioni.