803 Views |  Like

Museo Casa Mollino. Niente è come sembra

Intervista a Fulvio Ferrari
Fondatore Museo Casa Mollino

Foto di Maurizio Barberis

Carlo Mollino (Torino 1905 – 1973) è una delle figure più importanti della cultura del ‘900. Designer, progettista di interni, architetto, fotografo, scrittore e molto altro. Le sue opere sono contese fra i più grandi collezionisti, e le sue quotazioni sono in continua ascesa. Cosa rende così attuale la sua opera?

Il collezionismo, principalmente quello internazionale, fa follie per Mollino perché le sue creazioni sono progettualmente innovative, rivoluzionarie, sono capolavori della tecnica architettonica e del design, sono pezzi unici rarissimi o prodotti in serie molto limitate, sono opere d’arte che vanno oltre i trend di mercato. Mollino è stato un artista libero, geniale, dal talento sconfinato, che non è appartenuto a una nessuna corrente artistica, non ha imposto un genere o una scuola, né ha cercato la fama e il consenso. Il suo archivio, conservato nel Fondo Carlo Mollino al Politecnico di Torino, dove nel 1953 ottenne la cattedra di Composizione Architettonica, è ricchissimo di disegni prodigiosi, che realizza, modifica, perfeziona in una specie di furia creativa. Forse, la sua fatica più grande è stata quella di contenere le infinite idee che dovevano affiorargli come un fiume in piena.

Qual era il suo rapporto con la committenza?

Mollino si è permesso il grandissimo lusso di poter scegliere nella vita, e quindi, di poter selezionari i clienti e le committenze. Ha ereditato dal padre Enrico noto ingegnere e costruttore, oltre a una cultura tecnica rigorosa, una fortuna economica copiscua che gli ha permesso di vivere nell’agiatezza. Le sue scelte professionali non sono mai state dettate dal denaro. Per Mollino costruire era un piacere. Rigoroso, creativo, dalle idee chiare, curava ogni dettaglio tecnico. I suoi clienti erano come lui personaggi abbastanza originali, che gli hanno dato l’opportunità di potersi esprimere liberamente, perché Mollino semplicemente non progetta e arreda, ma esprime un pensiero, una filosofia, un modo di pensare la vita, di celebrare la bellezza. Ho conosciuto personalmente il marchese di origini russe Vladi Orengo, fondatore della casa editrice Orma, che durante la guerra stampa libri d’arte, per il quale nel 1949 Mollino progetta gli interni e gli arredi della sua abitazione in corso Cairoli, tra i più belli che siano mai stati realizzati e come tanti dispersi. Purtroppo, un destino che accomuna gran parte dei lavori di Mollino pensati per le case dell’élite torinese, di cui ci restano solo le foto che lui stesso realizzava come materiale di documentazione e archiviazione del proprio lavoro. Altro suo amico e cliente dalla personalità non comune è stato l’ingegner Dino Lora Totino, che nel 1946 ha la visione di scavare il Monte Bianco, la montagna più alta d’Europa, e collegare con il Traforo l’Italia alla Francia, per il quale Mollino tra il 1947 e il 1955 progetta la famosa “Casa del Sole” a Breuil-Cervinia, un edificio di nove piani e venti appartamenti che si erge sul paesaggio (“un piroscafo sulla neve”, come lo descrive lo stesso Mollino), da cui provengono molti arredi che passano per le aste, tutti pezzi unici in rovere e castagno.

Mollino ha lavorato tanto per la sua città fra pubblico e privato. Qual era il suo rapporto con Torino?

Mollino è stato un personaggio anticonformista, solitario e libero da pregiudizi. Intorno a lui aleggia il mistero, e su di lui si raccontano infinite storie a tratti reali a tratti leggendarie. Il suo stile di vita era considerato eccentrico e stravagante. Il suo rapporto con la città non è stato sempre facile. Nel 1960, nonostante gli appelli del mondo dell’arte e della cultura, viene sconsideratamente demolito il Centro Ippico Torinese, considerato universalmente un capolavoro dell’architettura del XX secolo, che Mollino progetta nel 1936. Negli anni i suoi edifici, come il Teatro Regio, sono stati rimaneggiati senza rispettare la sua opera perdendone per sempre l’unità compositiva, e nessuno dei tanti interni privati è stato preservato e gli arredi sono stati venduti o distrutti. Dall’altra parte, è stato l’humus di questa città che gli ha permesso di esprimere la propria visione, per la ricchezza del suo territorio.

Quale ruolo svolgete nella tutela dell’autenticità delle opere di Mollino sul mercato antiquariale e delle vendite all’asta?

Il mercato di Mollino è fatto da conoisseaur che vivono nel culto della sua opera. Le sue creazioni sono battute a cifre milionarie, e di fronte a numeri tanto importanti  l’expertise deve essere assolutamente rigoroso. Con mio figlio Napoleone abbiamo messo a punto uno strumento impeccabile, affinché possiamo fornire con certezza a tutte le case d’asta del mondo un’attribuzione inappuntabile e documentata, perché ogni mobile ha la sua storia che siamo in grado di ricostruire. La chiarezza sul mercato deve essere massima. Facciamo questo lavoro da ventitré anni nell’intento di preservare la sua opera non esente da falsi, anche clamorosi. Nel 2009, abbiamo pubblicato per le edizioni inglesi Phaidon il catalogo ragionato delle sue opere con millecinquecento modelli unici, illustrato da disegni, schizzi e fotografie d’archivio, allo scopo di fare la massima chiarezza intorno al suo lavoro.

Il Museo Casa Mollino nasce nel 1999 per promuovere la conoscenza della sua opera e della sua poliedrica ed eclettica personalità. Come nasce il progetto?

Questa casa-museo vuole essere una chiave di lettura per comprendere lo spirito che ha animato Mollino. Certamente, non è facile raccontare un personaggio così atipico e poliedrico, vissuto nella segretezza, circondato dal mistero. Per caso, mentre ero alla ricerca di alcuni arredi di Mollino per conto di un collezionista torinese, sono arrivato a questo appartamento situato in una delle zone più belle di Torino, immersa nel verde e affacciata sul Po, in una villa di fine Ottocento in via Napione 2. Mollino ha arredato e ristrutturato questa casa tra il 1960 e il 1968, ma non l’ha mai abitata. All’epoca delle mie ricerche era diventato lo studio di un famoso ingegnere, che di Mollino aveva conservato con cura diversi oggetti e materiale fotografico, fra cui le ormai famose Polaroid. Ho acquistato l’appartamento nel 1985 e quel poco che ancora era sopravvissuto, senza immaginare cosa fosse o potesse diventare. Alla morte di Mollino, senza eredi, tutto il suo patrimonio passò allo Stato Italiano, quindi, anche ciò che questa casa custodiva come il resto fu inventariato e in parte venduto. Nessuno tra i suoi amici aveva mai visitato questa casa, né esistono immagini dei suoi interni, nemmeno nel suo vasto archivio fotografico personale. Tutto questo mistero mi fece pensare che in qualche modo questa casa potesse rappresentare una specie di summa filosofica della sua vita che pertanto custodiva gelosamente. Un libro mi ha aiutato: “Il Messaggio della Camera Oscura”, un testo fondamentale di storia ed estetica fotografica, rivoluzionario e definitivo, scritto da Mollino nel 1943 e pubblicato nel 1949 da Chiantore, che sulla sovraccoperta porta l’immagine della regina egizia Taja, moglie del faraone Amenophis III, il quale, non ha caso, si dice fosse appassionato di architettura. Cosa poteva entrarci quella rappresentazione con l’argomento trattato nel libro? Torino, l’occulto, la passione per la civiltà egizia e più in generale per le culture e i miti antichi, i suoi scritti di architettura, mi fecero pensare che lì avrei potuto trovare la chiave di questa casa. Chiesi l’aiuto di Silvio Curto, grande egittologo, Accademico di Francia e direttore del Museo Egizio di Torino dal 1964 al 1984, che magicamente mi svelò cosa gli oggetti qui racchiusi raccontano. E così, il letto ottocentesco a forma di barca diventa il mezzo che conduce all’aldilà; le farfalle che decorano le pareti simboleggiano la rinascita dopo la morte; gli specchi che riflettono il fiume che fuori scorre davanti alla villa insieme al roseto e alla collina, è la vita che fluisce, la natura che entra in dialogo con la casa, e questa casa, come la dimora ultima del faraone, diventa la casa della vita eterna e della perpetuità. Tutto è stato da lui costruito con la massima esattezza, tutto ha un senso e un valore. Anche nel titolo del suo saggio sulla fotografia, Mollino ci dà un messaggio bivalente che richiama alla piramide, alla “camera oscura” come tomba del faraone che nel suo ultimo viaggio vuole raccolti attorno a sé tutti quegli oggetti e quegli arredi che più hanno significato nella sua vita terrena. Qui, in questo tempio affollato di simboli, ha scritto il significato della sua esistenza, e quello che ho cercato è stato di comprendere, interpretare attraverso documenti, scritti, testimonianze, materiale d’archivio, e ricomporre questa casa per dare una chiave di lettura che sia di viatico alla rivoluzionaria opera di Mollino.