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Eredità: il futuro di una collezione

LA LEGGE DELL’ARTE/Giuseppe Calabi*

Dipinti, automobili d’epoca, argenti, strumenti scientifici e musicali, libri antichi: le frontiere del collezionismo sono infinite. Tuttavia, le collezioni sottostanno ad una serie di rischi, che si concretizzano soprattutto quando il loro creatore venga meno. Questo, anche a causa di un profilo fisiologico della successione ereditaria, che risiede nella possibile divisione del patrimonio ereditario tra più soggetti. Esistono mezzi attraverso cui il collezionista può prevenire la dispersione della propria collezione? Quali sono i pro e i contro delle soluzioni disponibili? Da che cosa partire, per fare una valutazione consapevole della soluzione migliore? Questi i temi della breve indagine che segue, incentrata sul necessario bilanciamento tra volontà di conservazione del collezionista e gestione efficiente del suo patrimonio.
La due diligence del collezionista
Prima di riflettere su come gestire la collezione, è importante che il collezionista osservi che cosa ne fa parte: come spesso ripeto, l’attività essenziale per chi si interessa di arte è la due diligence, che corrisponde allo studio approfondito dei beni che costituiscono la sua collezione. Normalmente, questo studio, che coinvolge varie discipline, tra cui la storia dell’arte, la scienza della conservazione e del restauro, un esame del titolo d’acquisto e della provenienza del bene, dovrebbe precedere l’acquisto del bene da parte del collezionista. In mancanza, dovrà essere svolto nel momento in cui il collezionista decide quale sorte avrà la sua collezione. Preliminarmente, quindi, il collezionista avveduto effettuerà un inventario delle proprie opere, verificando l’esistenza di documentazione accompagnatoria, la loro provenienza, l’esistenza di certificati di autenticità, aggiornandone la bibliografia e la storia espositiva, e valutandone lo stato conservativo.Questa attività, lunga e complessa, è indispensabile per ottenere una cognizione piena dell’ampiezza e della consistenza della collezione ed, eventualmente, dei rischi che possano riguardare le singole opere che la compongono. È infatti possibile che alcune opere siano state acquistate – o, magari, siano pervenute al collezionista per eredità – in modo poco chiaro: si pensi, ad esempio, alle opere d’arte acquistate in periodo bellico o post-bellico, oppure più banalmente a quelle che non siano accompagnate da documentazione relativa alla provenienza o all’autenticità. In casi come questi, il proprietario della collezione o i suoi eredi potrebbero subire rivendicazioni da sedicenti precedenti proprietari, contestazioni sull’autenticità dell’opera o addirittura da parte dello Stato circa l’appartenenza dell’opera a collezioni pubbliche (ad esempio, in caso di opere antiche, reperti archeologici o beni ecclesiastici). Un’accurata due diligence consente al collezionista, prima di effettuare valutazioni complessive, di esaminare i rischi relativi alle singole opere, eventualmente – ove possibile- ponendovi rimedio.
Modalità di preservazione della collezione unitaria: pro e contro
Una volta esaminato il contenuto della collezione, il proprietario potrà deciderne le sorti: ad esempio, se dividerla in lotti attraverso disposizioni testamentarie, conferirla al patrimonio di una fondazione o destinarla a un trust. Potrà poi donarla in vita a un soggetto privato o pubblico, eventualmente onerando il donatario dell’obbligo di non dividere la collezione. Oppure, ancora, potrà richiedere che il Ministero della Cultura provveda a dichiarare la collezione di importanza culturale eccezionale. La dichiarazione di interesse (il cosiddetto “vincolo”) è prevista dal D. Lgs. 42/2004 e costituisce il modo attraverso cui lo Stato riconosce l’importanza culturale di un bene (o di una collezione) di proprietà privata. La legge prevede che, affinché una collezione possa essere dichiarata importante, essa debba essere eccezionalmente importante, mentre per i singoli beni la lettera della norma prevede solamente una particolare importanza.
Quali sono le implicazioni della dichiarazione di interesse eccezionale di una collezione?
Se la volontà del collezionista è quella di conservare la collezione come un unicum, essa può essere soddisfatta dalla dichiarazione di interesse della collezione, che, con la dichiarazione, diventa inscindibile. Tuttavia, lo strumento del vincolo deve essere valutato con attenzione. Innanzitutto, si deve considerare che il Ministero non è obbligato a dichiarare una collezione di interesse culturale ove non ne riscontri i requisiti: la dichiarazione non discende in automatico dall’istanza del proprietario. Inoltre, il vincolo ha una serie di importanti conseguenze dal punto di vista della gestione del bene culturale (sia singoli beni sia collezioni): essi infatti non possono essere esportati definitivamente dal territorio italiano (neppure se il proprietario si sposta a vivere all’estero) e non possono essere spostati all’interno del territorio italiano, prestati per le mostre o restaurati senza autorizzazione ministeriale; lo Stato ha poi dei poteri di sorveglianza e ispezione dei beni e delle loro condizioni, e può esercitarlo anche attraverso accessi presso il luogo in cui essi sono ubicati. Inoltre, il vincolo della collezione comporta che essa sia “congelata” nello stato di fatto in cui si trova nel momento in cui interviene la dichiarazione di interesse: perciò, se il proprietario volesse, ad esempio, cedere un bene che ne fa parte per acquistarne un altro, magari di maggior rilievo o pertinenza, non potrebbe farlo.In caso di trasferimento della proprietà, sia a titolo gratuito che oneroso, lo Stato ha il diritto di controllare il trasferimento e, in caso di cessione a titolo oneroso (ad esempio, in caso di compravendita) ha un diritto di prelazione, che comporta che lo Stato possa subentrare all’acquirente alle stesse condizioni e acquistare il bene al suo posto. Pertanto, la dichiarazione di interesse culturale appone un vincolo sulla collezione non solo per i terzi ma anche e soprattutto per il collezionista, il quale ha l’onere di valutare l’opportunità dell’avvio del procedimento di dichiarazione, principalmente nell’interesse proprio e dei suoi aventi causa, trattandosi di un procedimento che, una volta avviato, è praticamente impossibile interrompere. Un’alternativa privatistica a questa soluzione di stampo pubblicistico, è il conferimento della collezione a una fondazione o un trust. Mentre nel primo caso si pongono comunque implicazioni di carattere pratico (i beni delle fondazioni sono considerati beni culturali di diritto, alla sussistenza dei requisiti di legge) e burocratico (le fondazioni sono assoggettate al controllo dello stato o delle regioni, a seconda che siano fondazioni riconosciute a livello nazionale o regionale), il trust è uno strumento di gestione separata del patrimonio che può, pur mantenendo l’unitarietà della collezione, calibrarne la gestione a seconda delle esigenze e della volontà del disponente. Quest’ultima ipotesi rappresenta quella più economicamente dispendiosa, ma allo stesso tempo può costituire un bilanciamento di interessi vincente.Ovviamente, non esiste una formula unica che soddisfi ogni esigenza ed ogni caso specifico: è quindi opportuno che il collezionista, una volta compreso quale sia il suo interesse prevalente nella gestione della propria collezione, verifichi le alternative disponibili e individui quella più rispondente alle esigenze del caso concreto.

Partner – CBM&Partners