172
ABRAHAM LOUIS RUDOLPHE DUCROS
(Maudon, 1748 - Losanna, 1810)
Nisida da Posillipo
Tecnica mista su carta incollata su tela, cm 85X120
Bibliografia:
N. Spinosa, L. Di Mauro, Vedute napoletane del Settecento, Napoli 1989, n. 188, tav. 126
P. Bédarida, in All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, Napoli 1990, p. 380, fig. p. 216
R. Muzii, in Campi Flegrei. Mito, storia realtà, catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2006, pp. 192 - 193, n. 71.

Penso sia indispensabile iniziare la scheda del dipinto partendo dai suoi aspetti costruttivi. Ducros, escludendo la semplice produzione ad acquerello, concepisce opere strutturalmente complesse, dando origine a un'alchimia della 'tecnica mista' su sezioni di carta a loro volta applicate su tela, dando forma a immagini paesistiche utilizzando magistralmente diversi medium, giocando con velature a olio sovrapposte atte ad arricchire i contrasti, vivacizzare i colori, gestire il chiarore dell'aria e la sua profondità scenica. Queste considerazioni sottolineano non solo un sorprendente talento, ma rilevano la straordinaria conservazione del quadro in esame e la sua unicità. Ducros può essere criticabile da un restauratore per la sua eterogenea manualità, ma è indubitabile la chiarezza d'intenti che percepiamo osservando le sue opere e uno storico dell'arte non ha spazi per poter esprimere un solo giudizio negativo. Un altro aspetto da considerare è che la maggior parte delle sue creazione assumono tonalità terree, anche a causa dell'ossidazione delle vernici e degli oli impiegati nella stesura, è quindi sorprendete constatare nel nostro caso un tessuto pittorico dall'inusuale luminosità a discapito delle altre opere a noi note. Infine dobbiamo tener conto dell'uso del lapislazzulo per descrivere la superficie del mare, pigmento prezioso e impiegato dall'artista in prestigiose occasioni e qui necessario per descrivere al meglio la profondità dell'acqua accarezzata dall'ombra del promontorio e il suo rischiararsi verso l'orizzonte. Il panorama è di toccante bellezza, con la tufacea roccia che si affaccia sulla cala di Trentaremi e in lontananza la costa flegrea, l'isola di Nisida, mentre i primi piani sono dedicati alla descrizione dei giovani pescatori. La datazione dell'opera si colloca al secondo soggiorno napoletano tra il 1793 e il 1798, al tempo di analoghi esempi con la Grotta di Posillipo da Palazzo Donn'Anna del Museo di San Martino o la Veduta di Villa Acton presso Castellammare del 1794. Sono anni in cui il pittore ha per principali clienti sir William Hamilton e il ministro John Francis Edward Acton che acquisterà le vedute dei cantieri navali di Castellammare di Stabia e diverse marine che si distaccano rispetto al tipico vedutismo dell'epoca per l'originalità dei punti di vista. Spesso l'artista indaga i luoghi in cui la costa è più solitaria e selvaggia emanando una sensibilità preromantica attraverso una lucidità descrittiva di gusto illuminista, ma concepita con un respiro e un'amabilità ben diversa rispetto all'algido paesismo di Jacob Philip Hackert (Prenzlau, 1737 - SanPietro di Careggi, 1807).

Bibliografia di riferimento:
W. Percival Prescot, Riflessioni sulla tecnica di Ducros, in Ducros 1748 - 1810. Paesaggi d'Italia all'epoca di Goethe, catalogo della mostra a cura di Pierre Chessex, Roma 1987, pp. 48 - 49.
ESTIMATE € 70.000 - 80.000
23
ADRIAEN BROUWER (Attr. a)
(1605 - 1638)
Contadino che danza
Olio su tavola, cm 38,3X29
Adriaen Brouwer nacque a Oudenaarde all'inizio del XVII secolo e si trasferì in giovane età a Haarlem dove divenne allievo di Frans Hals (1581/85-1666) insieme a Adriaen van Ostade (1610-1685). Nel 1626 è iscritto alla scuola di retorica e cinque anni più tardi è registrato nella corporazione dei pittori di Anversa, mostrandosi subito figura di straordinario talento. Esercitò altresì una forte influenza sui pittori contemporanei, primo fra tutti David Teniers il Giovane (1610-1690), le cui scene contadine sono inimmaginabili senza la sua influenza e anche sui seguaci come David Rijckaert (1612-1661) e Joos van Craesbeeck (1605/06-1660), con il quale le sue opere sono spesso confuse. Il dipinto in esame è stato solo di recente scoperto e rivela il carattere naturo del maestro, rispecchiando gli aspetti più tipici della sua arte.
ESTIMATE € 6.000 - 8.000
86
ANDREA DE LIONE
(Napoli, 1596 - 1685)
Viaggio di Giacobbe con guerriero, pastori e armenti
Olio su tela, cm 59,7X75,9
Bibliografia:N.Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli 2010, p. 216, n. 99
L'opera qui presentata è stata riconosciuta al catalogo di Andrea De Lione da Nicola Spinosa. Allievo di Belisario Corenzio e poi di Aniello Falcone insieme a Salvator Rosa e Micco Spadaro, l'artista si pone tra le principali figure del Barocco napoletano. Altrettanto fondamentale per la sua evoluzione stilistica fu la collaborazione con il genovese Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, documentato a Napoli nel 1635 e con il quale l'artista instaurerà un proficuo sodalizio e, in certi casi, una vera e propria simbiosi pittorica. Forse è grazie alla fusione tra queste esperienze che nasce la nostra composizione, nel quale il tema sacro diviene pretesto per rappresentare una complessa natura morta e al contempo una narrazione biblica espressa con la sensibilità cromatica neoveneta e pussiniana d'ascendenza romana alla stregua di un episodio bellico. Al genovese va ricondotta l'atmosfera preziosa e delicata in cui sono campiti e messi insieme i colori, inseguendo un gusto raffinato e vivace, mentre a Poussin si deve l'impostazione classica e severamente di profilo dei volti, oltre all'impaginazione e al paesaggio idealizzato del fondo. Sul tema del viaggio di Giacobbe, il De Lione si cimenta più volte, a partire dal celebre dipinto conservato al Kunsthistoriches di Vienna, a lungo ritenuto del Castiglione fino a quando il Longhi non scoprì la sigla ADL su di una giara posta al centro della composizione. Queste coordinate di stile ci consentono di collocare cronologicamente la tela tra il 1635 e il 1640, in analogia con la 'Battaglia' del Louvre, 'Gli elefanti al Circo' del Prado, il 'Baccanale' già Matthiessen e il dipinto pubblicato da Brejon de Lavergnée nel 1984 raffigurante i 'Pirati' conservato al Maurithsuis Museum all'Aja.
Bibliografia di riferimento: A. Brejon de Lavergnée, Nouvelles toiles d'Andrea di Lione. Essai de catalogue, in Scritti di Storia dell'arte in onore di Federico Zeri, Milano 1984, II, p. 667, fig. 651
ESTIMATE € 17.000 - 20.000
159
ANDREA MICHELI detto IL VICENTINO
(Vicenza, 1539 circa - Venezia, 1617 circa)
Deposizione di Cristo
Olio su tela, cm 75X60
Nel 1981 Rodolfo Pallucchini puntualizzava che il Vicentino era ancora un artista poco noto, anche la delineazione critica a distanza di trent'anni non si discosta dalle asserzioni dello studioso, che a sua volta procede sulle indicazioni fornite dalle 'sette maniere' del Boschini in cui il nostro maestro è affiancato al Palma il Giovane e Leonardo Corona sulla scia degli esempi tardo tizianeschi del Tintoretto e Paolo Veronese. Formatosi a Vicenza con Giovanni Antonio Fasolo (1530 - 1572 e Giambattista Zelotti (1526 - 1578) il Ridolfi nel 1648 ne elogiava le qualità di colorista, ammettendo: 'che se fosse stato più regolato nel disegno...avrebbe potuto pretendere luogo tra i migliori pittori del suo tempo'. Detto ciò, verso la metà dell'ottavo decennio lo vediamo documentato a Venezia mentre si afferma quale pittore di storia specializzandosi in opere dal carattere celebrativo e documentario. La nostra tela sembra appartenere alla maturità, distaccandosi dalla maniera ancora cinquecentesca percepibile a esempio nel compianto della collezione Weitzner di New York, tuttavia la si vede nostalgica dei modelli Veronesiani rammodernati dal tenebrismo ante litteram del Palma.

Bibliografia di riferimento:
R. Pallucchini, La Pittura veneziana del Seicento, Milano 1993, I, pp. 37 - 41.
ESTIMATE € 3.000 - 4.000
72
ANDREA VACCARO
(Napoli, 1604 - 1670)
San Sebastiano
Olio su tela, cm 81,5X65
Bibliografia:Giovanna Festa, in Il Seicento Sacro, catalogo della mostra a cura di Gianni Citro, Policastro 2012, pp. 44 - 45.
Opera che coniuga il caravaggismo partenopeo con la cultura emiliana e in modo particolare con gli aulici esempi reniani che l'artista acquisisce ed elabora attorno al quinto decennio, in sintonia con Massimo Stanzione e Bernardo Cavallino. Il dipinto raffigura il santo secondo la consueta tradizione iconografica, ma offre una mitigata rappresentazione del martirio eludendone gli aspetti drammatici. Il giovane, colto in primo piano, risalta sul fondale scuro grazie a una regia luministica che ne evidenzia la bellezza apollinea, le tonalità sono fredde, dal sapore porcellanato ma atte a modellare l'anatomia costruita con marcati passaggi d'ombra, creando un costrasto con la languidità scenica della posa. A confronto possiamo citare i dipinti di medesimo soggetto appartenenti alla Collezione Salomon di Milano e di collezione privata genovese, entrambi pubblicati da Nicola Spinosa nel catalogo della mostra 'Civiltà del Seicento a Napoli' (Napoli, 1984, vol. I, pag. 180 e vol. I, n. 2.268) che, databili allo scadere del quarto decennio, offrono un adeguato paramentro cronologico per collocare la tela in esame a un momento di poco succesivo.
ESTIMATE € 11.000 - 13.000
135
ANGELO MARIA ROSSI
(Attivo in Lombardia verso la metà del XVII secolo)
Natura morta con pere mandorla e susine
Natura morta con funghi corbezzoli e fichi d'india
Olio su tela, cm 27X37 (2)
La critica ha solo recentemente identificato la realtà anagrafica del cosiddetto 'Pittore di Carlo Torre', noto sotto il nome di Pseudo Fardella (Cfr. L. Salerno, La natura morta italiana, Roma 1984, pp. 280- 281). La scoperta da parte di Alberto Crispo di un monogramma (A. M. R) su una tela ha permesso di identificare l'artista in Angelo Maria Rossi, documentato in Lombardia attorno alla metà del XVII Secolo (Cfr. G. Cirillo, Angelo Maria Rossi alias 'Pittore di Carlo Torre', in 'Parma per l'arte', 2003, pp. 77 - 80). Al Rossi va dunque attribuita questa elegante serie di nature morte in cui l'ambientazione crepuscolare, la luminosità che si accende accentuando le cromie dalle profonde tonalità, appartengono al fare pittorico peculiare dell'artista, che par gareggiare con i migliori esempi di natura in posa caravaggesca d'area meridionale. Lo stile trova altresì strette affinità con la tela pubblicata da Giuseppe Cirillo ed esposta alla mostra dedicata alla Natura morta nell'Italia settentrionale (pp. 156-157, n. 47), in cui si riscontrano i medesimi contrasti luminosi di retaggio caravaggesco, uniti a una stesura morbida, fibrosa e densa di pasta pittorica (fig.1), caratteristiche suggerenti una datazione attorno alla metà del secolo indicando un punto fermo conologico per le tele qui presentate.

Bibliografia di riferimento:
G. Cirillo, G. Godi, Le Nature morte del 'pittore di Carlo Torre' (Pseudo Fardella) nella Lombardia del secondo Seicento, Parma, 1996
G. Cirillo, in La Natura morta nell'Italia settentrionale dal XVI al XVII secolo, catalogo della mostra a cura di Giovanni Godi, Milano 2000, pp. 156 - 161
Ringraziamo Alberto Cottino per l'attribuzione
ESTIMATE € 2.000 - 3.000
136
ANGELO MARIA ROSSI
(Attivo in Lombardia verso la metà del XVII secolo)
Natura morta con zucche e uva
Natura morta con funghi, fichi, susine e mela
Olio su tela, cm 27X37 (2)
Questa seconda coppia di tele esprime la medesima qualità estetica delle precedenti e la corposità delle zucche permette di cogliere lo straordinario talento del pittore nel costruire i volumi attraverso la luce, i contrapposti cromatici e dense ombre che evocano la spazialità scenica. A queste proposito dobbiamo un accenno anche alle ragguardevoli condizioni di conservazione, riscontrabili osservando il tessuto pittorico con i suoi spessori, le lumeggiature a biacca e le seriche velature che permettono una ragguardevole godibilità estetica.

Bibliografia di riferimento:
G. Cirillo, G. Godi, Le Nature morte del 'pittore di Carlo Torre' (Pseudo Fardella) nella Lombardia del secondo Seicento, Parma, 1996
G. cirillo, in La Natura morta nell'Italia settentrionale dal XVI al XVII secolo, catalogo della mostra a cura di Giovanni Godi, Milano 2000, pp. 156 - 161.

Ringraziamo Alberto Cottino per l'attribuzione.
ESTIMATE € 2.000 - 3.000
163
ANIELLO FALCONE
(Napoli, 1607 - 1656)
ANDREA DA LIONE
(Napoli, 1596 - 1675)
Battaglia tra cavallerie turche e cristiane
Battaglia in campo aperto
Olio su tela, cm 45X75 (2)
'Cominciò a poco a poco ad operare nella propria casa ed a dipingere varie cose a' particolari, così di sante Immagini, come di battaglie in piccolo...' con queste parole il De' Dominici introduce la biografia di Aniello Falcone nella Vita de' pittori, scultori ed architetti napoletani (1742 - 45), rimarcandone la precoce propensione a dipingere scene belliche. La fortuna commerciale dell'artista dopo l'apprendistato con Giuseppe Ribera inizia con la committenza di Filippo IV di Spagna, per il quale eseguì la straordinaria serie raffiguranti storie romane oggi conservate al Museo del Prado, mentre si deve al Saxl la magistrale lettura critica sull'importante rinnovamento in chiave barocca di questo specifico genere pittorico svolto dal pittore. Al Falcone dobbiamo il merito di aver emancipato il 'quadro di battaglia' dai presupposti celebrativi di gusto cinquecentesco, creando eleganti complementi d'arredo. Il naturalismo delle scene è altresì modulato dal raffinato pittoricismo che caratterizza l'arte partenopea durante il quarto decennio, che impreziosisce la tavolozza schiarendo con una luminosità diffusa e argentea la superficie. La ponderata costruzione delle immagini e la loro eleganza costituiscono un modello imprescindibile per la generazione successiva e in modo particolare per gli allievi e i collaboratori del maestro, tra i quali spiccano Andrea di Lione, Carlo Coppola e Marzio Masturzio, ma fu indubbiamente il primo a esprimere una similitudine stilistica difficile da dirimere dal punto di vista attributivo, in modo particolare quando l'opera è frutto di una collaborazione, in cui il distinguo tra maestro e allievo si smarrisce tra le pieghe di una qualità ineccepibile. Tuttavia, come riscontriamo nelle opere qui presentate, è sempre possibile scindere le due mani a discapito delle simmetrie stilistiche, che in Andrea De Lione assumono morbidezze disegnative e di stesura che attestano la contiguità con il classicismo romano, che il nostro assimila precocemente per il tramite di Nicolas Poussin.

Bibliografia di riferimento:
F.Saxl, The battle scene without a hero, Aniello Falcone and his patrons, in 'Journal of the Warburg and Courtland Institutes', III, p. 70 - 87, 1939 - 40.
A.Alabisio, 'Sante immagini e battaglie in piccolo'. Tre dipinti inediti di Aniello Falcone, in Scritti di Storia dell'arte in onore di Raffaello Causa, 1988, pp. 189 - 194.
G.Sestieri, I Pittori di battaglie, Roma 1996, p. 321, figg. 28 - 29
Andrea De Lione. La pittura come racconto, catalogo della mostra a cura di Umberto Giacometti, Ivano Porcini, Giuseppe Porzio, Napoli 2008.
ESTIMATE € 25.000 - 35.000
74
ANTON MARIA VASSALLO
(Genova, 1617/18 - Milano, 1660)
Ritratto di gentiluomo della famiglia Raggi
Olio su tela, cm 180X130
Nella biografia che lo storiografo Raffaello Soprani dedicò ad Anton Maria Vassallo si legge: 'Molti, e numerosi sono li ritratti al naturale fatti dal nostro Vassallo, ne quali tutti, si portò perfettamente, havendoli espressi, & effigiati al vivo con soddisfazione universale nella qual faccenda hebbe felicità grande, e fù molto accreditato' (Soprani 1674, p. 228). A lungo confuso con quello di altri pittori, il corpus ritrattistico del Vassallo ha recentemente preso forma, a partire dalla monografia del 1999 (A. Orlando, Anton Maria Vassallo, Genova 1999; A. Orlando, Pittura fiammingo-genovese..., Torino 2012, pp. 160-167).
Come in altri casi resi noti, questo inedito che viene ad aggiungersi al novero delle prove ritrattistiche del Vassallo, mostra quanto il pittore sia fortemente debitore nei confronti dei modelli di Rubens e Van Dyck, innanzi tutto dal punto di vista dell'impostazione scenica. I due maestri fiamminghi avevano trasformato i più convenzionali e freddi ritratti cosiddetti 'internazionali' in pagine di naturalismo in cui l'effigiato si mostra nelle sue pieghe più nascoste e intime, delle espressioni e dei suoi sentimenti.
Il Vassallo sposa il credo naturalista e si afferma sulla piazza genovese come pittore ricercato dall'aristocrazia quando sia l'uno sia l'altro maestro nordico avevano lasciato la Superba. Il Vassallo, cioè, è senza dubbio tra i più accreditati ritrattisti a Genova nel secondo quarto del XVII secolo, insieme a Luciano Borzone e a Jan Roos, genovese il primo e fiammingo il secondo.
Vediamo qui un gentiluomo posare in piedi nell'atto di indicare con la sinistra qualcosa che gli sta accanto o semplicemente per attrarre l'attenzione del riguardante. Forse vuole fare notare quello scorcio di paesaggio in cui il Vassallo traccia con pennellate veloci e sommarie, come è proprio del suo stile verace, delle colline con alcuni edifici, piccole casette e casolari: forse un borgo sulle alture liguri di proprietà dell'effigiato o che ne indica l'origine. Qualcosa di analogo accade per il 'Ritratto del Cardinale Lorenzo Raggi' di collezione privata che mostra un inserto con la veduta della Lanterna di Genova con le galee della flotta pontificia (di cui si scorgono le insegne chiaramente su una delle navi): un inserto di 'genovesità' per richiamare il legame con la propria città per il cardinale residente a Roma e forse anche con il suo altolocato zio Tommaso, fratello di Ottaviano, che nel 1643 divenne commissario delle galee, cioè ammiraglio della flotta del Pontefice (cfr. A. Orlando, Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 210, pp. 192-193).
L'inedito assume particolare importanza collezionistica, non solo come aggiunta al corpus ritrattistico del pittore, ma per la presenza di uno stemma che si scorge sulla base della colonna di sinistra e che è riconoscibile. Si tratta dell'arma Raggi, caratterizzata da un leone coronato rampante e da una banda. La famiglia genovese è nota per avere costituito una vera e propria galleria di ritratti, di cui se ne conoscono oggi una quindicina. Hanno vario formato, tra i mezzi busti e la figura intera e vedono coinvolti diversi artisti: da Van Dyck a Bernardo Strozzi, da Luciano Borzone a Jan Roos, al Vassallo (cfr. P. Boccardo e A. Orlando in L'Età di Rubens, catalogo della mostra di Genova 2004). Questo inedito, pur non essendoci a oggi elementi per individuarne l'esatta identità, rappresenta dunque un nuovo tassello per la ricostruzione di uno degli episodi di committenza e collezionismo più interessanti per la Genova del Seicento.
ESTIMATE € 15.000 - 20.000
26
ANTONIO GIANLISI SENIOR
(Rizzolo San Giorgio, 1677 - Cremona, 1727)
Pesche e tralci d'uva e altri frutti
Olio su tela, cm 77X64
La vicenda critica di Antonio Gianlisi Senior, per la distinzione di mano dagli altri esponenti della bottega, è stata recentemente analizzata da Alberto Crispo. Lo studioso riprendendo le importanti ricerche condotte da Gianluca e Ulisse Bocchi e Alessandro Morandotti, giunge ad una ricostruzione storica di miglior precisione, dipanando la problematica attributiva che coinvolge le nature morte raffiguranti tralci di vite e frutti, a tutt'oggi alternativamente riferite sia ai Gianlisi sia a Gilardo da Lodi (Bocchi 1998, pp. 172-173, figg. 211-213). Diversa è invece la situazione per le opere in cui l'artista esibisce eleganti tappeti, sfarzosi tessuti e vivaci vasi fioriti che, per l'intrinseca esuberanza cromatica, le modalità compositive e di stesura, consentono un facile riconoscimento attributivo. Le tele in esame si riconducono di conseguenza al catalogo di Gianlisi Senior e mostrano la sua eterogenea sequenza di influenze che corrono dagli esempi bergamaschi a quelli capitolini per la sontuosa scenografia. Altresì straordinaria è la regia luministica che scorre attraverso i diversi elementi naturali, modulata per dare il maggior risalto possibile alle forme e alle sfumate tonalità dei frutti, in modo particolare agli acini d'uva, mentre le foglie con le loro cangianti cromie creano un vibrante gioco chiaroscurale. L'effetto è di straordinaria sensibilità teatrale, in analogia con le nature morte del Museo Civico di Bassano del Grappa (Bocchi 1998, p. 169, figg. 203 - 204).

Bibliografia di riferimento:
F. Arisi, 'Natura morta tra Milano e Parma in età barocca' , Piacenza 1995
A. Crispo, 'Antonio Gianlisi Junior', in 'La natura morta in Emilia Romagna', Milano 2000, pp. 187-193.
G. e U. Bocchi, 'Problematiche vincenziniane', in 'Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra il XVII e XVIII secolo', Casalmaggiore 1998, pp. 63-65
ESTIMATE € 4.000 - 5.000
25
ANTONIO GIANLISI SENIOR
(Rizzolo San Giorgio, 1677 - Cremona, 1727)
Pesche e tralci d'uva, vaso di garofani, funghi
Olio su tela, cm 77X64
ESTIMATE € 4.000 - 5.000