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Pietro Domenico Olivero. Sensibilità rocaille tra realtà e finzione

Pietro Domenico Olivero fu pittore per la corte sabauda dipingendo scene di genere raffigurando mercati, feste contadine e di piazza. Le sue composizioni risentono dell’influenza fiamminga di Callot e in particolare di Jan Miel (1599-1663) artefice che, dopo il soggiorno romano avvenuto tra il 1630 e il 1640, traspose nella capitale piemontese il gusto narrativo di Van Laer e dei ‘bamboccianti’.

Le tele qui presentate si possono considerare i capolavori dell’artista per esuberanza creativa, sapienza scenica e prospettica, in cui l’autore mette in scena cinque rappresentazioni allegoriche inerenti alla Pittura, all’Architettura, alla Scultura, alle arti ‘meccaniche’ e all’arte della Guerra (lotti 206 – 210, con la stima per tutti e cinque di 15.000 – 24.000 euro). Possiamo osservare come Olivero riesca a descrivere i personaggi e le loro attività con notevole raffinatezza e una stesura luminosa e grassa, altresì sostenuta dalla conservazione, amalgamando fantasia e realtà con spirito da cronista e una elegante sensibilità rocaille.

L’osservazione di queste opere, infatti, sorprende per l’infinità di dettagli, espressioni e gesti che denotano un complesso procedimento creativo, secondo una pratica progettuale altresì documentata da innumerevoli studi grafici. Detto ciò, sorprende che Olivero fu praticamente ignorato dalla critica ottocentesca e la sua riscoperta avvenne alla mostra del 1922 (cfr. N. Tarchiani, Mostra della Pittura Italiana del Sei e Settecento in Palazzo Pitti 1922, Roma 1922, p. 137), dove furono esposti due paesaggi con scene di genere eseguiti in collaborazione con Vittorio Amedeo Cignaroli.

Successivamente furono gli interventi di De Logu (cfr. G. De Logu, Pittori minori liguri, lombardi, piemontesi del Seicento e Settecento, Venezia 1931, pp. 242-244) e le mostre del 1937 e 1963 (cfr. V. Viale, Mostra del barocco piemontese, catalogo della mostra, Torino 1963, II, pp. 102-104) a evidenziare l’importanza dell’artista, tuttavia, per un’ampia rassegna delle sue opere si dovranno attendere gli studi di Arabella Cifani e Franco Monetti del 1993.