L’elegante e sobrio Palazzo Beccadelli, a Palermo, con i suoi tre piani fuori terra prospicenti l’omonima piazza, sembra rappresentare meglio la volontà di una moderna committenza borghese che non quella dell’aristocratica famiglia che lo volle, i Beccadelli di Bologna Principi di Camporeale.
Fu Paolo Beccadelli (1852-1918), figlio di Domenico e della nobildonna Laura Acton, a volerlo dopo il suo ritorno dall’Inghilterra dove aveva studiato per affrontare la carriera diplomatica sotto la tutela di Marco Minghetti all’epoca Primo Ministro del Regno e secondo marito della Acton.
La gestione delle importanti proprietà terriere in Sicilia, ereditate dal padre morto prematuramente, lo distrassero dalla carriera diplomatica ma non dagli affari della politica locale. Nel 1900 fu infatti eletto Sindaco di Palermo dopo aver già ricoperto la carica di Presidente dell’Esposizione Universale (1891) e di Senatore (1892).
Il fatto che il principe Paolo abbia scelto la zona dell’Olivuzza per costruire la sua domus magna non stupisce; la salubrità di quel territorio, infatti, già da molti decenni aveva spinto altre famiglie a sceglierlo per abitarvi stabilmente. Ai tre principali insediamenti aristocratici del XVII secolo, Serradifalco, Butera e Aragona, nell’Ottocento se ne aggiunsero molti altri che, di fatto, determinarono, il frazionamento degli originari parchi primigeni in numerosi giardini. Attraverso la ricerca documentaria scopriamo che nel 1879 Paolo Beccadelli acquistò una casina con giardino limitrofa ad alcune modeste proprietà che sin dal 1815 appartenevano alla sua famiglia.
Possiamo ipotizzare che dal quel momento il principe decida di costruire la propria casa in quella zona e la richiesta di una concessione da parte del Municipio per “due piccoli tratti di terreno avanti le case segnate ai n.ri civici 21 e 22 nella Piazza Olivuzza” nel 1881 ce lo conferma.
Del 1882 è invece l’atto di acquisto di una casa con giardino confinante da inglobare nella proprietà, mentre al 25 novembre del 1884 risale l’approvazione del progetto di costruzione del “villino” presentato da un anonimo ingegnere.
La costruzione, che nello specifico sorge, appunto, in una porzione dell’antico giardino della settecentesca villa del duca di Serradifalco, non viene posta al centro dello spazio verde bensì all’estremità nel lato minore dell’ampio rettangolo che confina con la piazza. La scelta di porre la dimora sul fronte stradale dimostra la volontà di proseguire la cortina di edifici che si era sviluppata sin dalla prima metà del XIX secolo quando alle due proprietà Serradifalco e Butera iniziarono ad aggiungersi altre dimore dell’alta borghesia. Tutto ebbe inizio quando il nucleo principale della villa Wilding Butera, passando nel 1864 al marchese Airoldi e pochi anni dopo ai Florio, inizio a estendersi divenendo un aggregato di case tutte prospicienti il fronte stradale.
Palazzo Beccadelli è tutt’oggi una pregevole testimonianza del tanto amato insediamento fuori porta detto dell’Olivuzza, studiando il quale, la sua pianta e la sua decorazione interna, possiamo affermare che si tratti di una delle più significative dimore ottocentesche palermitane, non stravolta da interventi successivi di trasformazione, bensì in perfetto stato di conservazione, ideale per una agevole lettura storico artistico del monumento. Molte di queste dimore, infatti, sono spesso state frazionate in più unità abitative perdendo gran parte degli originari spazi destinati alla rappresentanza.
L’edificio è concepito per svilupparsi su due esposizioni, una verso la piazza e l’altra verso il “giardino segreto” ricolmo di piante esotiche provenienti da tutte le parti del mondo. La posizione dell’ingresso principale, posto lateralmente, ci conferma la volontà del progettista di una spiccata sobrietà, probabilmente richiesta dal committente. Nessuna apertura monumentale, nessuna scalinata scenografica posta simmetricamente sulla facciata principale, ma un rigoroso portone d’ingresso sul fianco, sormontato da una pensilina di ghisa che si erge su due esili colonne.
La facciata principale, divisa in due ordini ideali, uno con le aperture del piano rialzato e l’altro con quelle del primo e del secondo piano, presenta, soltanto una decorazione a intonaco bugnato che accoglie le grandi finestre.
Attraverso la ricerca documentaria, svolta presso il ricco fondo archivistico degli eredi, pur non trovando traccia del nome del progettista del palazzo, scopriamo che fra gli artisti impegnati nella decorazione pittorica interna vi è il noto Rocco Lentini, artista molto ambito dall’aristocrazia palermitana del tempo, autore di gran parte degli affreschi del Teatro Massimo.
Scopriamo anche che molti arredi arrivano direttamente da Parigi, alcuni serramenti da Milano e i mattoni per i pavimenti da Reggio Calabria. Sappiamo che la ditta impegnata nella costruzione è la Rutelli (la stessa che in quegli anni realizzava il Teatro Massimo) e che i marmi provengono dai Sartori, noti marmorari del tempo.
Quanto all’architetto, pur non potendo ancora conoscer la sua identità certa, molti indizi ci portano a ipotizzare che si tratti di un professionista britannico. Le caratteristiche dell’architettura anglosassone ottocentesca sono infatti svariate: dalla posizione del caseggiato sul fronte stradale, all’assenza di balconi; dall’ingresso defilato, alla doppia esposizione concettuale della dimora con particolare riguardo al concetto tutto inglese di privacies (verso il giardino gli ambienti della vita privata verso la piazza quelli per ricevere).
Entrando nella ampia sala d’ingresso si rimane subito colpiti dalla maestosità dello scalone posto a destra che si sviluppa in assetto semicircolare con una struttura aerea ottenuta dal susseguirsi dei gradini a mensola totalmente liberi nello spazio. La balaustra di ferro battuto a mano completa questo capolavoro di architettura e di ingegneria statica conferendo ulteriore leggerezza al vano scala illuminato da una grande finestra. Il soffitto del vano d’ingresso presenta una ricca cassettonatura a stucco mentre quello della scala è attualmente bianco. La presenza di Rocco Lentini impegnato nel cantiere decorativo dell’edificio per ben 18 mesi (dal mese di aprile del 1887 a quello di settembre del 1888) ci suggerisce l’ipotesi che al di sotto dello strato di pittura murale si trovi un affresco.
Quanto alla decorazione degli altri soffitti è alquanto singolare che rimanga oggi soltanto l’affresco del vano di snodo tra l’ingresso la sala da pranzo e il resto del piano rialzato. Questo piccolo ambiente è coperto da una cupola ottagonale lievemente allungata longitudinalmente che presenta una finta architettura con al centro lo stemma di famiglia. L’attribuzione al noto pittore che proprio in quei mesi ritornava a Palermo avendo ottenuto la cattedra di pittura presso l’educandato Maria Adelaide è certa grazie ai documenti. Tuttavia è impossibile che l’artista abbia
impiegato 18 mesi per un lavoro cosi circoscritto, come è poco probabile che il committente non abbia incaricato un decoratore per i soffitti dei saloni. Secondo la moda del tempo, infatti, la sala da pranzo veniva arricchita spesso da un soffitto ligneo, coerente con il resto della decorazione dell’ambiente, mentre i soffitti dei salotti erano riccamente affrescati. I dati reperiti nei documenti
dell’archivio di famiglia, i pagamenti agli artisti, gli acquisti di molti pezzi di mobilio e le ricevute per i traslochi di arredi dalla dimora di Roma, ci suggeriscono che in occasione dell’Esposizione Nazionale del 1891 la dimora doveva essere pronta per accogliere gli ospiti forestieri accorsi in città per l’importante evento.
La dimora a quel tempo doveva apparire nel suo massimo splendore, essendo appena terminati i lavori e la decorazione interna dell’edificio, con ricchi affreschi nei soffitti, broccati alle pareti e rutilanti arredi di gusto eclettico dal marcato stile.
La riforma modernista dell’abitare che Ernesto Basile avrebbe inserito nel decennio successivo in Sicilia e che avrebbe cambiato il modo di concepire la quotidianità dell’alta società, veniva anticipata, seppur non stilisticamente, in questa dimora fortemente influenzata dalla cultura anglosassone. Il progettista, probabilmente su richiesta del committente, decideva di discostarsi dall’appartamento da parata settecentesco per concepire una casa “moderna” con la zona notte totalmente separata da quella giorno. Una casa dal taglio alto borghese con gli ambienti sul giardino al servizio della quotidianità della famiglia (una enfilade di sala da pranzo, biblioteca e gabinetto delle porcellane, dove ricevere gli amici più intimi) e i salotti su strada per ricevere il pubblico, mentre le camere da letto al primo piano.
L’immagine della città si ricostruisce per frammenti di antica memoria conquistando nuovi spazi fino ad allora esclusivamente a servizio dell’otium delle più illustri famiglie palermitane. Da Piazza Principe di Camporeale lungo il margine orientale, uno squarcio lungo la cortina fitta di edifici ottocenteschi (e di un palazzone degli anni ‘70 dello scorso secolo) mal cela la presenza di uno spazio prezioso, lussureggiante, uno scrigno di memoria viva… insomma un giardino di delizia!!
Solo immergendosi all’interno di questa spazialità aperta e vitale possiamo veramente conquistarne la conoscenza; uno spiraglio tra i fabbricati diventa l’occasione per entrare nello splendido giardino di palazzo Beccadelli.
È chiaro fin da subito che questo lembo ben composto di giardino, ha fatto parte in passato di un impianto molto più consistente e imponente, e benché ormai inesorabilmente ridimensionato, la famiglia Beccadelli vi ha trasferito un apprezzabile senso di compiutezza e integrità. Esso appartiene alla “stagione romantica” dell’arte dei giardini espressa ampiamente a Palermo, fino al XIX secolo, con il moltiplicarsi di giardini privati di delizia.
Il quadrilatero che contiene il nostro giardino è definito a Nord e Sud da due lunghi muri in conci di tufo, realizzati in occasione della divisione della originaria proprietà; i muri si presentano ormai segnati dal tempo, ricoperti da rampicanti e sormontati dalle chiome della vegetazione dei giardini adiacenti. L’estremità occidentale coincide con il fronte posteriore del palazzo dove un bel terrazzo è impreziosito da un pergolato con un antico glicine; quella orienta-le, purtroppo, è sovrastata dall’edilizia residenziale di viale Regina Margherita appena mascherata dalla chioma imponente delle alberature presenti.
L’impianto informale tipico del gusto romantico definisce sinuosi parterre irregolari che accolgono la vegetazione. Stretti sentieri li attraversano per guidare la dolce passeggiata verso una piccola radura ombrosa, e da qui, procedendo attraverso due grandi parterre, fino all’estremità settentrionale del giardino, dove un basso terrazzo da una parte accoglie un grazioso boschetto e dall’altra fa emergere una torretta dell’acqua finemente decorata. Il parco infatti, veniva alimentato da un sistema di irrigazione perfettamente efficiente; ai suoi componenti costruttivi fu dedicata la stessa manifattura, attenta e preziosa, riservata a tutti gli altri oggetti di arredo.
Dati tecnici di Palazzo Beccatelli a Palermo
- Il palazzo è identificato al catasto fabbricati del comune di Palermo
- foglio 51, p.lla 252 sub. 1 (piani T, 1′ e parte del S1) categoria A 10;
- foglio 51. p.lla 252 sub 2 (piano secondo) categoria A8:
- foglio 51, p.lla 252 sub 3 (piano S1, 5 vani) categoria A 10.
- I terreno su cui insiste, che include anche il giardino, al catasto terreni foglio 51, p.lla 253
Superfici:
- Piano cantinato: mq 325
- Piano terra: mq 315 + superficie terrazza a livello ma 45
- Piano primo: ma 315 + Piano ammezzato: ma 21,00
- Piano secondo: mq 315
- Locali del corpo di guardia (piano terra e primo): mq 44.00
- Superficie del giardino: ma 2.500
- Superficie cortile di accesso: ma 270P