Il dipinto in esame, la cui attribuzione si deve a Francesco Gonzales e Francesco Frangi, è da considerare tra le migliori e impegnative opere di Pietro Antonio Magatti, non solo per le imponenti dimensioni, ma anche per la qualità pittorica che, avvalorata dalla bella conservazione, è ancora in “prima tela”.
Si deve inoltre rimarcare che in questo caso l’autore esibisce una ricercatezza formale all’altezza delle migliori istanze del rococò internazionale, attestando l’importanza dell’alunnato bolognese nella bottega di Gian Gioseffo Dal Sole, le cui manifeste suggestioni suggeriscono una data d’esecuzione precoce che, secondo l’intuizione di Filippo Maria Ferro, cadrebbe al terzo decennio per l’esasperata tensione narrativa e la solida plasticità delle figure di derivazione felsinea.
Questa dialettica compositiva la possiamo altresì riscontrare nelle quattro tavolette ovali raffiguranti le Storie dell’Eneidedipinte nel 1724 per il canonico varesino Comolli, offrendoci un più preciso ordine cronologico e che riscontriamo ancora in una Gloria della Vergine appartenente allo Städel Museum di Francoforte riconosciuta al Magatti dal Frangi.
È quindi evidente come l’artista riesca a coniugare in maniera somma il tenore classicista emiliano con il tenebrismo di tradizione lombarda in virtù dei sapienti tagli in controluce e un contrappunto cromatico atto a sottolineare la drammaticità scenica.
A questo proposito spicca la dinamica figura di Davide nel momento in cui interviene con forza per salvare la vita di Saul e la medesima vitalità la ritroviamo nel dipinto di analogo formato ma sviluppato in orizzontale con Eraclio costringe Siroe ad abbandonare la Croce (olio su tela, cm 235×350) custodito nella Quadreria del Duomo di Milano (cfr. La pittura lombarda del Settecento, a cura di M. Bona Castellotti, Milano 1986, fig. 434).