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Miriam Haskell: Lo stile della semplicità

Intervista a Deanna Farneti Cera

Quali elementi definiscono i gioielli di Miriam Haskell sino a renderli riconoscibili all’istante, di immediato fascino e grandemente esclusivi, se non incomparabili, nell’àmbito del mercato del bijou?

La prima peculiarità è quella della lavorazione. Una lavorazione a ricamo con elementi montati uno dopo l’altro, piccoli piccoli, senza mai una goccia di colla, che danno come risultato un bijou elegante, raffinato, ma sempre all’interno di un concetto borghese del gioiello. Non produce mai qualcosa di eccessivo, aggressivo, ironico, se non i bijoux per il mare degli anni Trenta (…)
I particolari della lavorazione per di più, se visti più volte, non permettono alcuna incertezza: le fermezze sono di tre o quattro tipi e non di più; la base del gioiello è in metallo levitato su cui è appoggiata una rete metallica sulla quale vengono ricamati i vari componenti, il tutto realizzato con molto garbo e precisione; le perle – perle esclusive che solo lei utilizza – sono impiegate in misura maggiore rispetto alle pietre; la manipolazione e l’infilatura particolarmente elaborata, sono un tratto distintivo inconfondibile, che qualche decennio dopo sarà anche di Lyda Coppola; unica è anche la doratura all’antica, spenta e profondamente pesante.
Quindi, a differenza di quanto si possa pensare, per un esperto di bijoux è praticamente impossibile non riconoscere la produzione autentica di Miriam Haskell.

Quanta parte ha avuto nella storia, nella crescita e nell’immagine dell’azienda Haskell l’incontro di Miriam con l’elegante e raffinato Frank Hess?

(…) Il concetto, a parer mio, è molto semplice e immediato: la Haskell senza Hess non sarebbe mai riuscita ad essere la famosa Haskell, ma Hess senza la Haskell non sarebbe mai diventato il raffinato, elegante, meraviglioso, fantastico Hess.
Miriam aveva un senso della realtà molto profondo e riusciva con estrema facilità ad intuire i gusti del pubblico.  Quando Hess arrivava e le presentava la collezione a venire di 150 bijoux e diceva: “Miss Haskell, here is what I produced”, lei, con la sua capacità induttiva e non creativa, sceglieva con estrema facilità e comprendeva all’istante ciò che andava prodotto in quanto avrebbe goduto di un sicuro successo.

Perché le perle rappresentano un elemento costante nelle creazioni di Hess, e cosa egli intende quando parla di “gioiello perfetto”?

È un discorso di cultura legato alla ritrattistica femminile nobile e influente dal Cinquecento in avanti. La perla diviene pertanto parte integrante della cultura alto borghese, in quanto evoca ricchezza ed elevato stato sociale (…)
Per quanto invece concerne la definizione di “gioiello perfetto” secondo Hess, questo è comunque un gioiello semplice, con una grande luce, con un punto di attrazione centrale fra i seni, come a voler accentuare la femminilità di chi lo indossa.

I bijoux di Hess sono invariabilmente simmetrici, quasi fosse un calcolo matematico, e se presentano dei festoni sono immancabilmente in numero dispari, affinché l’elemento centrale sia sempre unico e non faccia pendant con nient’altro. A ciò si aggiunge poi l’amore sviscerato per il dettaglio, piccolo e raffinato. Prendiamo a soggetto una collana dal colore forte – per esempio il rosso simulante il rubino o il verde simulante lo smeraldo – Hess in questo caso inserisce sempre fra un elemento e l’altro un interspazio in metallo dorato o argentato all’antica, che alleggerisce la composizione rendendola meno vistosa.

Detto ciò, il “gioiello perfetto” inteso da Hess è a mio giudizio un gioiello equilibrato, donante, che dà luce, che sa essere molto formale o molto informale, secondo le circostanza in cui viene indossato. Il bijou creato per il mare ha infatti caratteristiche di semplicità che lo rendono portabile anche sulla spiaggia, differentemente dal bijou per le occasioni importanti ricco di piccoli dettagli, delicato ma estremamente prezioso, non tanto per il valore intrinseco quanto per la combinazione degli elementi sapientemente aggregati.

Se lo stile di Hess è leggero, elegante e aereo, quello di Clark è all’opposto vistoso, opulente e soprattutto molto costruito. Quanto influisce sulle creazioni di Clark la sua formazione di scultore, l’anima cosmopolita, l’amore per l’Oriente e in particolare per l’India, e la visione di un mondo che va oltre il quotidiano?

Nel ’63, andato Hess in pensione, subentra il suo delfino Robert Clark, da lui personalmente assunto dopo la forzata rimozione di Miriam Haskell dai vertici dell’azienda. È il momento in cui il bijou Haskell cambia da un punto di vista strutturale, poiché i tempi lo impongono e Clark avverte e comprende questo desiderio di innovazione. Così alla collana semplice col centro come punto d’attrazione, sostituisce una collana pettorale o a grandi festoni, diversa nella struttura rispetto alle semplici soluzioni adottate da Hess.

Certamente l’aver vissuto qualche anno in Francia e l’aver lavorato per la haute couture francese; l’essere scultore; la sua attenzione nel campo del costume e dell’arte a livello internazionale; la frequentazione di noti artisti che gli consente di ricevere stimoli continui che tramuta in oggetti più vicini all’arte che alla decorazione, hanno influenzato il suo gusto e hanno dato una svolta allo stile Haskell.

(…) Clark capisce che è venuto il momento di seguire il nascente trend della moda, e pur realizzando anche lui un tipo di bijou appariscente, le sue creazioni non sono mai ordinarie, bensì accattivanti, eleganti e molto spesso di notevole bellezza.
Non c’è stilista che resti immune a questo cambiamento di gusto: Cardin propone bijoux in metallo lunghissimi; Lyda Coppola costruisce gioielli molto importanti; Patou crea fiori in pasta di vetro di dimensioni smodate; Courreges, addirittura, si inventa l’abito gioiello.

Pertanto le creazioni di Clark sono frutto del loro tempo, ma ricche del suo stile particolare, di persona cólta, intelligente, che ama viaggiare, sempre curiosa di conoscere nuove realtà, piena di interessi, che comprende le tendenze e le interpreta secondo una sua sensibilità estremamente raffinata. È lui l’artefice della vera svolta e del vero cambiamento dell’azienda Haskell.

Qual è stato per la ditta Haskell il suo momento di maggior creatività?

A mio giudizio il momento più alto è stato l’inizio, quasi agli esordi dell’azienda, con bijoux veramente alternativi, davvero diversi rispetto a quanto la moda aveva sino allora proposto.

Erano i bijoux degli anni Trenta, non ancora firmati, ideati da Miriam e creati da Hess per la ricca clientela che frequentava i luoghi di vacanza più esclusivi. Bijoux in legno piuttosto che in conchiglie, adattissimi alle vacanze e alle signore dell’alta borghesia, che nelle serate spensierate indossavano con piacere e divertito anticonformismo, imponendo così un nuovo look riservato a una ristretta élite.

L’altro momento interessante è stato negli anni Sessanta, coincidente con i primi quattro o cinque anni della gestione Clark. Arrivato con il desiderio di affermarsi, ha sempre dato prova di eccellente creatività, preparazione e intelligenza, ideando oggetti a volte assolutamente straordinari, di un incanto da togliere il respiro: la collana a pettorale, del 1963, ora in collezione privata americana, costituita da più di 9 mila elementi, ciascuno collegato all’altro in un mosaico di precisione a formare un succedersi di bianchi e neri, luce e ombra, colore e trasparenze, è un esempio di gioiello da cui si evince la tendenza di Clark a creare oggetti incredibili, dove la bellezza si coniuga all’ordine e al rigore. Un gioiello che se osservato dal vero fa letteralmente impazzire dallo splendore.