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Carlo Scarpa. Il Memoriale Brion al FAI

La pace che si respira attraversando la tomba monumentale di Carlo Scarpa ha eretto in memoria di Giuseppe Brion è uno dei capolavori dell’architettura del XX secolo, per una misura classica di far convivere la nuda pesantezza del cemento con le forme essenziali che infondono serenità e preparano alla meditazione sul grande mistero del passaggio tra la Vita e la Morte. Questo autentico gioiello sarà il 70° bene gestito dal FAI.  Ada Masoero nel “Giornale dell’Arte.com” del 4 luglio ci fornisce tutti i dettagli su questa straordinaria acquisizione del Fondo Ambiente Italiano.

Un particolare del «Memoriale Brion». Foto Luca Chiaudano

“Quando nel 1969 Onorina Brion (per i milanesi, Rina Brion, per lunghi anni indomabile presidente degli Amici di Brera), rimasta prematuramente vedova di Giuseppe Brion, il fondatore di Brionvega, chiese a Carlo Scarpa di progettare una tomba nel luogo natale del marito, San Vito d’Altivole, nel Trevigiano, sapeva bene di aver scelto uno dei più grandi architetti del tempo.

La Brionvega, del resto (la cui fabbrica era stata disegnata da Marco Zanuso) era nota nel mondo per i suoi apparecchi elettronici di altissimo design, presto entrati nelle collezioni dei più importanti musei internazionali. Ciò che però Onorina Brion, allora, non poteva immaginare era che Scarpa avrebbe costruito non una semplice tomba ma una sorta di sublime «cittadella del commiato», costituita da quattro edifici inframmezzati da prati, canali e specchi d’acqua ricoperti di ninfee, che evocano i giardini giapponesi e quelli islamici, e circondata da un basso recinto, a immagine di quelli dei templi antichi, che separa, senza però isolarlo, il complesso funerario dalla campagna circostante.

Carlo Scarpa impiegò ben otto anni per costruirlo, modificandolo più e più volte, e quando nel 1978 morì (in Giappone, cadendo da una scala), il complesso non era ancora terminato. Tanto che fu il figlio Tobia a realizzare la tomba del padre, in un angolo appartato di questo luogo straordinario in cui anch’egli volle essere sepolto. Otto anni, dunque, molta pazienza da parte dei committenti, innumerevoli modifiche strada facendo (nei quasi duemila disegni tracciati dall’architetto per questo complesso, non figura l’opera finita) ma quello che ne scaturì divenne un capolavoro ineguagliato dell’architettura del XX secolo: un meraviglioso luogo dello spirito che da sempre richiama in quella piatta pianura decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo.

Un particolare del «Memoriale Brion». Foto Luca Chiaudano

Il 21 giugno scorso Ennio Brion (con la moglie Giorgia), la sorella Donatella e i figli hanno donato al FAI, che lo aprirà al pubblico l’8 luglio, quello che oggi si chiama il Memoriale Brion (il 70° bene del Fondo), provvedendo anche a una «dote» per la sua conservazione, dopo il recente, minuzioso restauro commissionato da Ennio Brion a Guido Pietropoli, l’architetto che affiancò Scarpa durante i lavori. «Ricevere in dono il Memoriale Brion ci ha profondamente inorgogliti, commenta il presidente del FAI, Marco Magnifico: si tratta di un “monumento dello spirito”, che vive in una dimensione sospesa e che parla dell’ldilà. Un luogo da visitare in silenzio e nel silenzio, dove saranno banditi i telefonini, che costituirebbero un vero oltraggio».

E poiché il MAXXI di Roma conserva l’Archivio di Carlo Scarpa («primo nucleo, con quello di Aldo Rossi, degli Archivi del MAXXI, ha ricordato la presidente Giovanna Melandri, acquisito da Margerita Guccione nel 2002 quando il museo non era nemmeno terminato»), le due istituzioni hanno stretto un sodalizio per realizzare studi ed eventi congiunti. Costruito accanto al vecchio cimitero del borgo, il Memoriale Brion, che Margherita Guccione, direttore scientifico del Grande MAXXI, definisce «un dispositivo poetico per l’elaborazione del lutto», più che un edificio è un itinerario, fitto di simbologie tratte dalle culture più diverse. Si apre con i propilei, forati da due cerchi intrecciati: uno orlato di rosso, l’altro di blu, simbolo degli anelli e dell’amore coniugale.

Di qui in poi, prende forma un universo simbolico che attinge alle più diverse culture, mentre ci s’inoltra (perché questa è «un’architettura che non si coglie in un solo sguardo ma che si deve attraversare», avverte Guccione) in un mondo architettonico fatto di cemento, acqua, luce e di relazioni numeriche, simboliche, rituali, che inducono a una riflessione universale sulla vita e sulla morte. E che, con il suono dell’acqua e il profumo della campagna circostante, coinvolgono tutti i sensi.

Il «Memoriale Brion» visto dall’esterno. Foto Luca Chiaudano

I sepolcri, massicci e convergenti, dei due sposi sono ospitati nell’arcosolio (un riferimento paleocristano), un arco ribassato rivestito internamente di tessere di vetro su fondo d’oro (e qui c’è anche Venezia) e, poco oltre, c’è il padiglione della meditazione: un luogo magico che pare galleggiare, chiuso da una porta di cristallo che si abbassa, affondando nell’acqua per poi riemergere, grondante. Poi, l’edicola che accoglie le tombe dei parenti e la cappella per le cerimonie funebri, accessibile anche dall’esterno, con il giardino dei cipressi. E, in uno spazio isolato, la tomba di Carlo Scarpa e della moglie Nini Lazzari.

Un vero «parádeisos», un giardino della beatitudine pervaso di un senso di sacralità antica e profonda, intensamente religioso ma aconfessionale: «un pezzo di Campi Elisi del XX secolo» secondo Marco Magnifico, che già immagina il percorso che, in pochi chilometri, riunirà l’ultimo capolavoro di Carlo Scarpa alla Villa Barbaro di Maser, opera di Palladio, con il ciclo di affreschi di Paolo Veronese (a nove chilometri), e alla Possagno di Canova, a non più di 18 chilometri da qui”.