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Mecenati illuminati: Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena

di Alessandro Agresti

Il personaggio effigiato in questo bel ritratto è Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena (Vienna, 1747 – 1792) che resse le sorti del Granducato di Toscana dal 1765 al 1790, anno nel quale succedeva nel titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero non che Re d’Ungheria e Boemia nel 1790. Nono figlio e secondo erede maschio nato dall’unione tra Francesco I di Lorena (Nancy, 1708 – Innsbruck, 1765) e Maria Teresa d’Asburgo (Vienna, 1717 – 1780), fu noto ed amato dai sudditi toscani per la sua politica illuminata e per le riforme all’avanguardia che portarono il Paese sulla via della trasformazione in uno stato moderno e progressista.

Il Granduca era stato ritratto nel 1769 a Roma da Pompeo Batoni (Lucca, 1708 – Roma 1787), insieme al fratello imperatore Giuseppe II (Vienna 1741 – 1790), in una tela oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna; un altro ritratto, riferibile a Marcello Baciarelli (Roma, 1731 – Varsavia, 1818) e databile intorno al 1760-1765, è ora nella collezione della Cassa di Risparmio di Firenze.

Anche la nostra tela andrà datata, a mio avviso, nello stesso arco di tempo, in quanto il futuro imperatore mostra strette affinità fisionomiche con le effigi citate; ed è plausibile collocarla cronologicamente intorno al 1769, quando l’Asburgo venne a Roma per seguire da vicino il conclave che porterà all’elezione di Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli (Santarcangelo di Romagna, 1705 – Roma, 1774) col nome di Clemente XIV. Il ritratto mostra infatti caratteri di compostezza e compita eleganza che lo collocano in ambito romano e denuncia una spiccata ispirazione alla ritrattistica di Pompeo Batoni, pur risultando meno aulica e più accostante nei risultati: da uno sfondo scuro, quasi indistinto, una luce avvolgente fa emergere la figura, che con garbo si volge allo spettatore. Pur essendo vestito dei suoi abiti di rappresentanza, Pietro Leopoldo qui si fa ritrarre in modo quasi non ufficiale: dall’immagine spira un’atmosfera intima, raccolta, tanto da suggerire l’ipotesi, per l’opera, di una destinazione privata.

Tra gli artisti operanti nella Capitale, il nome più plausibile al quale si possa riferire questa effige mi pare sia quello di Laurent Pècheux (Lione, 1729 – Torino, 1821), che dopo un tirocinio romano e le prestigiose commissioni per la famiglia Borghese, era destinato a diventare pittore di corte a Torino.  Fu un abile ritrattista, come dimostrano le raffigurazioni dei principi di Parma: ma, più che con queste opere, è con le molte tele a soggetto profano realizzate a Roma che il nostro dipinto trova corrispondenze. Si guardi al modo sottile di modulare la linea di contorno, alle proporzioni allungate della figura, all’ovale idealizzato del volto, non che alla perizia quasi calligrafica con la quale sono resi i ricami delle vesti. Certamente una pulitura dell’opera potrà dare maggiore fondatezza a questa proposta d’attribuzione.