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L’Opera del Duomo di Firenze. Teatro di sculture

di Timothy Verdon

Sin dall’inaugurazione il 29 ottobre 2015, il Nuovo Museo dell’Opera del Duomo di Firenze è riconosciuto come uno tra i più innovativi allestimenti museali del XXI secolo, passando dalla media annuale del vecchio museo, di 60,000 visitatori, all’attuale media di 70,000 al mese. (https://duomo.firenze.it/it/scopri/museo-dell-opera-del-duomo)
Dall’apertura al pubblico nel 1891, il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze è stato in continua espansione, con ampliamenti, ristrutturazioni e nuovi allestimenti negli anni 1931-1937, 1948-1950, 1954, 1965-1967 e 1998-2000. L’ultima e più ambiziosa di queste trasformazioni risale al 2010-2015, quando i preesistenti spazi sono stati più che raddoppiati con la reintegrazione di una vasta proprietà per secoli appartenente all’Opera ma alienata nel tardo Settecento. Il ripristino dell’unità originaria del complesso ha permesso di adeguare il percorso espositivo alle opere monumentali che il Museo custodisce, tra cui grandi arredi in marmo e bronzo provenienti dalla Cattedrale di Santa Maria del Fiore, dal Campanile di Giotto e dal Battistero di San Giovanni.
Il nuovo museo si sviluppa nell’insieme di edifici e cortili dove nel 1432 Filippo Brunelleschi, all’epoca impegnato nella costruzione della cupola del Duomo, rimaneggiò un casolare medievale per disporvi la sede dei magistrati dell’Opera, nonché alcuni laboratori per i «magistri scharpelli». E fu qui che, dopo lo smantellamento dell’incompiuta facciata trecentesca del Duomo nel 1587,
l’Opera depositò le statue e i decori marmorei rimossi dal fronte della cattedrale, trasformando l’area un tempo lavorativa in un «Arsenale di marmi», come lo chiama padre Giuseppe Richa nella sua storia delle chiese fiorentine pubblicata nel 1757.
Il nuovo museo ha quindi il merito di riportare le statue realizzate per i monumenti al luogo preciso in cui erano state scolpite e poi conservate! Tra i capolavori prodotti qui erano anche il Davide e il San Matteo di Michelangelo Buonarroti, ambedue originalmente intesi per la Cattedrale. Il primo fu invece ridestinato, ancora in corso d’esecuzione, al Palazzo della Signoria, donde passò nel 1874 all’Accademia di Belle Arti, mentre il secondo fu prestato dall’Opera del Duomo all’Accademia già nel 1832.
Il San Matteo venne trasferito all’Accademia, come già tre anni prima altri trentasette capolavori appartenenti all’Opera erano stati trasferiti agli Uffizi, perché nel frattempo lo spazio a disposizione dell’Opera del Duomo era stato dimezzato con la vendita nel 1778 del cortile più a nord, diventato Teatro degli Intrepidi detto anche della Pallacorda o Teatro Nuovo. Così l’antica “bottega dei marmisti” scomparve dietro gli stucchi dorati di un’elegante sala ovale con cinque ordini di palchi. Le statue e i rilievi un tempo conservati in questi spazi erano finiti nel rimanente cortile e nell’edificio più a sud (corrispondente al casolare ristrutturato dal Brunelleschi), dove, ammassati alla rinfusa, rimasero difficilmente visibili: ecco la ragione dell’affidamento di tante opere ai musei statali d’allora. Infatti, i primi decenni dell’Ottocento videro a Firenze, come altrove in Europa, i primi tentativi di riorganizzare il patrimonio artistico al fine di renderlo fruibile a un’emergente classe media avida d’informazioni culturali; non a caso il nuovo Regno d’Italia metterà i musei sia storici che di recente istituzione sotto l’autorità del Ministero della Pubblica Istruzione.
Tra i musei fondati a Firenze nel secondo Ottocento si annovera quello ‘vecchio’ dell’Opera del Duomo, aperto al pubblico nel 1891. Lo sviluppo del progetto è dovuto alla convinzione dei dirigenti della Fabbriceria, e in primo luogo dell’archivista Cesare Guasti, dell’unicità dell’insieme di opere provenienti dalla cattedrale, dal battistero e dal campanile, nonché del loro complessivo carattere sacro.
Le tre sale espositive inaugurate nel 1891 crebbero nel corso del Novecento fino a raggiungere un numero di venti, quasi tutte piccole però e poco adatte alle dimensioni delle opere, molte delle quali create come monumentali arredi esterni da vedere a distanza. Dagli anni Novanta del secolo in poi, si fece urgente la necessità di musealizzare ancora altre opere monumentali per motivi di conservazione, sostituendole in situ con copie: fu il caso delle tre porte bronzee del Battistero e dei gruppi statuari cinquecenteschi che le sovrastavano. Così la proprietà acquistata di nuovo dall’Opera nel 1997, che aggiunge 3000 metri quadrati ai 2500 del vecchio museo, ha risolto sia il problema oggettivo dello spazio sia quello interpretativo, che richiedeva allestimenti adeguati al carattere storico delle opere. Essa si compone dei volumi della cavea e del vano del palcoscenico del Teatro degli Intrepidi, già spogliati dei decori settecenteschi nel primo XX secolo per diventare magazzino industriale e poi autorimessa. Il nuovo museo evoca l’episodio scenico di questo secondo cortile dell’Opera nell’immensa Sala del Paradiso che, con le sue sovrapposte gallerie prospicienti la ricostruita facciata medievale del Duomo, si presenta come “teatro delle statue”.
L’essenziale chiave di lettura del nuovo museo è infatti lo spettacolo del bello al servizio del sacro. E là dove gli spazi ridotti e la crescita disorganica del vecchio rendevano impossibile un racconto ordinato delle opere, l’attuale riproposta mira a narrarne la storia in modo intelligibile e commovente, anche mediante l’evocazione dei contesti materiali e spirituali che diedero senso ai capolavori. Proprio questa volontà, del resto, aveva portato nel 1891 a ricostruire le cantorie di Luca della Robbia e Donatello al fine di comunicare la funzione e l’assetto originari dei bambini musicanti e danzanti raffigurati nei celebri rilievi.
All’inizio del XXI secolo il messaggio è quello di una dimenticata unità culturale, in cui il sacro esprimeva le aspirazioni della comunità civile e il bello la dignità dell’uomo. Fu infatti da questo connubio, e nello specifico dai capolavori conservati nel Museo dell’Opera del Duomo, che mosse i primi passi il Rinascimento delle arti.