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Oltre a Caravaggio

di Antonio Gesino

L’influenza di Caravaggio nel Seicento è come la nascita di un grande fiume che ha origine da una fonte pura e incontaminata, e nel suo scorrere diviene sempre più grande e ramificato, accogliendo e mutando con l’approssimarsi delle nuove fasi della pittura. Il nebbioso ed atmosferico naturalismo lombardo di ascendenza nordica e leonardesca, in Caravaggio muta in sottile esercizio di fenomenologia sentimentale. Un percorso estremo e irripetibile per profondità di contenuti che a quattrocento anni dalla morte – rimane intatta nella sua travolgente forza evocativa, così violenta che lo stesso etimo di contemporaneo sembra prendere inizio con la luce che costruisce la “forma della realtà”.
Non ebbe allievi o discepoli diretti, ma artisti che per ‘coloriture emotive’ che nel corso del secolo si approssimarono a quel tragico ed ineluttabile realismo.
Mattia Preti (Taverna 1613 – Malta 1699) è un caravaggesco in ritardo, come lo apostrofava Roberto Longhi, per quel suo spirito che lo avvicina agli ultimi tanto caro al maestro lombardo, ma la sua formazione, partito dalla natia Calabria, è costellata di innumerevoli tappe – ancora tutte da confermare a parte Venezia – che lo portano secondo il suo biografo Dominici a Bologna, a Cento presso il Guercino, a Venezia, a Milano, a Genova, a Parigi, ad Anversa per conoscere Rubens e, infine, in Spagna al seguito di un misterioso monsignore, da alcuni identificato in Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente X.
Quando arriva a Roma, resta attratto dalla Manfrediana methodus. In particolare, sulla scia di Valentin de Boulogne, Nicolas Tournier e Nicolas Reigner tradusse il caravaggismo con influenze che per sensualità plastica erano decisamente emiliane ma nella sensibilità luministica risultavano decisamente nordiche per quella chiarezza ottica tipica di quella tradizione pittorica. Nello “Studio di nudo” che verrà esitato nella prossima asta di Dipinti Antichi del 29 novembre, e databile agli anni ’40, sono evidenti le influenze emiliane di Giovanni Lanfranco e napoletane di Battistello Caracciolo, ma con una schiettezza interpretativa assolutamente originale. Nei “Giocatori di bari”, attribuibile a Michiel Sweerts (Bruxelles 1618 – Goa 1664), l’artista sviluppa il tema tipico dei “Bamboccianti” fiamminghi a Roma con stile severo e raccolto, molto vicino a quella ‘forma della realtà’ che aveva animato l’opera del Caravaggio.