I Giardini Botanici Hanbury, situati nella frazione della Mortola, nella provincia di Ventimiglia, sono la storia di una trasformazione, che oltre un secolo e mezzo di vicende familiari ha reso tra i più famosi del mondo. Una dinastia che nel corso del tempo ha plasmato questo incantevole palazzo già degli Orengo in un lussureggiante paradiso terrestre. Con il cuore e la mente, tra ecclettismo botanico e aneddoti familiari, cosa rappresentano per lei questi Giardini?
Significano molto per me: anche dopo 60 anni di proprietà dello Stato, c’è un certo spirito familiare nel Giardino e nell’amore che è stato profuso per oltre 100 anni. Quando sono venuta a vivere nei giardini per la prima volta nel 1995 ero piuttosto intimidita dall’enormità del progetto e mi sembrava di perdere la mia identità. Ero sopraffatta dalla storia degli Hanbury. Poi mio marito si ammalò di cancro nel 1996 e morì nel 1997; in seguito, trovai terapeutico cercare di realizzare tutto ciò che lui aveva sognato di fare nella nostra casa e promuovere i giardini che amava così tanto, e assunsi con piacere il mantello della famiglia Hanbury, salvo il fatto che mio marito era il giardiniere e io non ho il pollice verde, il che può essere imbarazzante quando si ha un nome famoso! Mi piace intrattenere, raccontare la storia della famiglia e incontrare molte persone diverse.
I quaccheri credono che un giardino debba rispettare un ordine divino in cui scienza, bellezza e religione interagiscono. Trovo che questo sia ancora presente oggi, ed è merito dell’Università che non ha tentato di trasformarlo in un parco o di usare espedienti per guadagnare denaro, bensì l’ha lasciato il più vicino possibile alla natura, in modo che mantenga uno spirito di quiete e atemporalità.
Mi fa sorridere che Thomas, pur essendo un padre meraviglioso che amava la sua famiglia, essendo anche un astuto uomo d’affari, una volta disse che i figli sono un investimento incerto rispetto alle piante!
Ha creato un giardino storico con una ricca collezione botanica e una forte tradizione orticola. Ha lasciato uno spirito filantropico e ha portato prosperità alla zona. Questo permane ancora oggi.
La storia dei Giardini prende avvio il 2 maggio 1867 quando Thomas Hanbury acquistò per 50.000 franchi Il Palazzo e una parte del giardino dalle famiglie Orengo e Grandis. Un personaggio dalla vita avventurosa e di successo erede di una facoltosa famiglia inglese. Chi era Thomas e quale era il suo background?
Nessun giardino è completo senza la storia della famiglia che lo ha creato. Sir Thomas era nato nel 1832, quarto di sette figli, a Clapham, un piccolo paese vicino a Londra. La sua famiglia aveva un’azienda farmaceutica chiamata Allen & Hanbury. Nel 1853 suo padre gli prestò 6.000 sterline per un investimento nella nuova ditta d’importazione per avviare un’attività di commercio a Shanghai. Thomas imparò la lingua mandarina e fu il primo straniero ad essere eletto nel Consiglio Comunale adoperandosi che anche i Cinesi che abitavano nei territori riservati agli stranieri avessero il diritto di essere eletti. La sua fede quacchera di carità, onestà e duro lavoro fece si che i cinesi avevano fiducia in lui e amavano fare business con lui con la seta, il cotone e l’immobiliare. Possedeva 1500 proprietà quando a 34 anni lasciò Shangai nel 1867, nessun straniero aveva mai posseduto così tanto in Cina. Era molto ricco. La sua asma, dopo il soggiorno in Cina era peggiorata, e suo fratello Daniel, che dirigeva la casa farmaceutica, ed era la persona più vicina al suo cuore, lo convinse a partire per il Sud della Francia. Vi arrivarono da Londra con una nave da Mentone al Capo Mortola nel marzo 1867. Dalle famiglie Orengo e Grandis acquistarono il palazzo e il giardino di 18 ettari e con il fratello Daniel che era un bravissimo botanico, pensavano di piantare piante esotiche da tutto il mondo sub tropicale.
All’inizio della storia dei Giardini fondamentale è stato l’apporto dell’agronomo e architetto del paesaggio Ludwig Winter. Come si presentava il microclima del territorio all’inizio di questa avventura paesaggistica?
Si trattava di un clima tipicamente mediterraneo, piuttosto arido e roccioso, con pochi terrazzamenti e poca profondità del suolo. Quando nel 1868 Ludwig Winter divenne responsabile il problema insieme a Thomas e Daniel Hanbury dovettero risolvere il problema del dilavamento del terreno a causa delle piogge autunnali con importanti interventi di modellamento del terreno; dovettero anche predisporre sistemi di irrigazione che permettessero di fronteggiare le siccità estive. Gli interventi riguardarono la rielaborazione dei percorsi, la ristrutturazione di Palazzo Orengo e degli altri edifici presenti nella proprietà, l’ornamento architettonico dei giardini.
Le prime piante di rose vennero portate nell’autunno 1867 e provenivano dal giardino paterno a Clapham Common; contemporaneamente vennero comperate dai vivai Huber a Hyeres, Nabonnand a Golfe-Juan e dal giardino Thuret a Cap d’Antibes. Nel 1868 le piante furono fatte arrivare da Parigi, da Montpellier, da Kew, anche grazie ai rapporti con scienziati, direttori di giardini botanici e commercianti di piante. Già dai primi anni le collezioni di piante sudafricane, australiane e americane attirarono l’attenzione del mondo scientifico a livello internazionale. Le piante dei giardini non venivano solo considerate nel loro aspetto vivaistico ed esotico, ma erano anche oggetto di ricerche farmacologiche e studiate per la loro importanza economica.
La proprietà presentava una enorme ricchezza di microclimi derivati da diversità di esposizione alla luce e ai venti, dalla differente acclività e condizioni di umidità. I due fratelli e il loro prezioso collaboratore li seppero sfruttare al meglio, riconoscendo le condizioni più favorevoli alla crescita delle piante che desideravano coltivare. Così tra il mare e l’antica strada romana, oltre al vecchio oliveto, collocarono l’agrumeto, l’orto e il roseto, riparati dalla salsedine da un muro di cinta rinnovato. La foresta australiana fu collocata sul dolce pendio soprastante la strada romana, mentre sotto la villa furono ancora coltivati agrumi. Ancora più in alto venne mantenuto l’oliveto mentre a ovest ed est furono curate le specie della macchia mediterranea. Lungo il rio Sorba, vennero collocate specie di ambienti umidi. Fu Winter poi a organizzare la manutenzione dei vivai, la raccolta dei semi e a formare il personale locale che doveva lavorare nei giardini.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del secolo scorso furono chiamati a Villa Hanbury i rinomati botanici tedeschi Gustav Cronemayer, Kurt Dinter e Alwin Berger. Quale impronta dettero all’ulteriore evoluzione dei Giardini?
Gustave Cronemayer, curarore della Mortola dal 1889 al 1897 potenziò l’aspetto scientifico del giardino, si occupò della corrispondenza con gli altri orti botanici, e iniziò a redigere il primo catalogo alfabetico delle piante cresciute all’ aria aperta, che ancora oggi viene costantemente aggiornata. Ordinò nuove specie e diede un tocco più professionale ai giardini, che divennero sempre più importanti. Insieme a Thomas Hanbury iniziò l’Hortus Mortolensis, un catalogo di tutte le piante che crescevano all’aperto nel giardino. Questo catalogo viene pubblicato ancora oggi. Cercarono di coltivare caffè, lici e zucchero, ma purtroppo erano piante tropicali.
Kurt Dinter continuò il catalogo con l’elenco delle piante, in continua crescita. Alwin Berger, un vero botanico dell’Orto Botanico di Dresda, si occupò dell’erbario e della biblioteca ed era un esperto di aloe. Tra le altre cose, pubblicò la Florula Mortolensis, che elencava le specie autoctone della zona. A cavallo tra Otto e Novecento il giardino era curato da 40 giardinieri.
I semi provenivano da tutto il mondo, a Capodanno c’erano 233 specie fiorite e 5,000 specie nel giardino e venivano invitate 400 persone per celebrare la conta delle piante fiorite, e tutti gli anni il “Times” di Londra e il “Garden Chronicle” pubblicavano ampi ed entusiastici resoconti a riguardo.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, Cecil Hanbury con la moglie Dorothy si occuparono di ristrutturare, riorganizzare e allestire il patrimonio dei Giardini dal punto di vista vivaistico, scientifico, storico e artistico. Quale è stato il loro contributo allo sviluppo moderno del parco?
Raddoppiarono il numero di piante che crescevano qui, erano orticoltori e non botanici. Dorothy influì molto sul giardino, amava i colori ed era un’appassionata paesaggista; non contribuirono all’aspetto scientifico, ma aggiunsero molto al valore estetico e alla bellezza.
Fu Dorothy a volere il giardino profumato e anche i giardinetti, in memoria dei locali caduti durante la prima guerra mondiale. Dorothy nel 1919 scriveva che il giardino mancava di colore per cui spostò tutte le palme nel viale principale. Dorothy aveva 400 vasi in giardino perché amava il colore e credeva “When in doubt plant stout”, quando sei in dubbio pianta un bel gruppo di piante uguali.
Direi che il giardino tra il 1922 e il 1938 era veramente bellissimo, meta ambita dei regnati e dall’aristocrazia di tutta Europa. Penso che tra le due guerre la vita qui nei giardini doveva essere come un sontuoso set cinematografico, l’intensa vita sociale, le feste, l’abbondanza di bellezza. C’erano 38 giardinieri, uno dei quali aveva il compito di raccogliere ogni giorno i fiori per la casa! Dorothy amava ballare e intrattenere, e teneva i pomeriggi “Te’ Dansent”.
Daniel Hanbury possedeva la primissima Rolls Royce Silver Cloud con la quale si recava a La Mortola e ad Alassio con un’altra Rolls Royce al seguito per i bagagli! Era un’epoca così romantica ed emozionante.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale era determinata a restaurare i Giardini, gravemente danneggiati dal conflitto. Fece sminare il giardino e ricevette anche delle piante dal Botanisher Garten di Berlino. Purtroppo non poteva portare in Italia i capitali inglesi per cui dovette vendere una considerevole proprietà immobiliare tra Mortola e Ventimiglia per restaurare il giardino, che fu riaperto al pubblico nell’ottobre 1947. Nel 1953, nel suo rinnovato splendore i Giardini Hanbury ospitarono il principe Filippo d’Inghilterra e Winston Churchill.
Nel 1960 Dorothy si rende conto che non poteva più continuare a gestire il giardino e che la vendita allo Stato – avvenuta nel 1961 attraverso la mediazione di Giulio Andreotti – sarebbe stata la soluzione migliore. Infine nel 1986 l’Università di Genova ha preso la gestione del giardino. Dorothy morì nel 1972. Lasciò scritto: “Vorrei che la Mortola sia conosciuta come una amica intima e amorevole, piena di fiori. Non soltanto una lista di piante”.
Dalla fine del Settecento, nella cultura di un gentiluomo inglese, il viaggio in Italia rappresentava una tappa fondamentale della sua formazione, che per molti diveniva una residenza d’elezione. Cosa hanno portato del loro modello ideale di paesaggio anglosassone, e come questo si è conformato rispetto al clima e alla tradizione del territorio italiano?
Penso che abbiano acquisito un aspetto orticolo più aperto al giardinaggio, introducendo nuove piante e idee paesaggistiche; amavano molto le piante e sperimentare nel clima mediterraneo. Il segreto del giardinaggio inglese, consiste nella composizione attraverso i colori, le forme e la struttura delle piante, dalla gestione orticulturale distinta dagli studi botanici, e da un innato gusto estetico nel coniugare con armonia e varietà l’intero progetto compositivo. Coloro che visitavano la Riviera in inverno rimarcavano continuamente l’abbondanza e la varietà di fiori selvatici e coltivati.
Nei Giardini convivono il gusto collezionistico e lo studio delle piante esotiche di Thomas Hanbury, e il piacere estetico della proprietà di Cecil e Dorothy, capaci di valorizzare le specie autoctone. Passeggiando nel parco quali sono i percorsi che ama di più?
Il mio percorso preferito è la discesa al Tempietto, dove è sepolta Dorothy: mi piace la vista che si gode da lì sulle agavi, i cipressi e gli ulivi che incorniciano il Palazzo; c’è una tale varietà di verde che ti fa capire l’importanza di quel colore in un giardino.
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