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Ottocento. La voluttà delle emozioni

Antonio Mancini (Albano Laziale, 1852 – Roma, 1930) nel panorama della pittura italiana della seconda metà dell’Ottocento appare come una folgorante eccezione: la sua capacità di essere libero da ogni vincolo di appartenenza, di superare il verismo, la macchia, e il quadro di storia, si proietta con geniale intuito verso una modernità suggeritogli dai temi, o piuttosto dai modelli pauperistici conosciuti durante la giovinezza vissuta nella Napoli dei vicoli di San Gregorio Armeno. Allievo di Domenico Morelli insieme all’amico Vicenzo Gemito, fin da subito la sua pittura appare influenzata dal potente luminismo napoletano e olandese del Seicento ma anche dalla suntuosa monumentalità compositiva e cromatica di Édouard Manet.  Artista molto amato  già in vita, a Venezia incontra l’ammirazione da John Singer Sargent e della collezionista americana Isabella Steward Gardner, testimoni e protagonisti di una Belle Epoque dove aristocrazia e grande borghesia uniscono al privilegio sociale una grande attenzione alle arti. Nella prossima asta dei Dipinti del XIX secolo del 30 novembre sarà esitato un delicato pastello su carta raffigurante il Ritratto di nobildonna (lotto 344, stima 1.500-2.000 euro), dove si evidenzia la delicatezza del suo tocco.

Più giovane di una decina d’anni è Federico Zandomeneghi (Venezia, 1841 – Parigi, 1917), uno dei grandi protagonisti della seconda metà dell’Ottocento che si confronta e si afferma nella Parigi sfavillante di fin de siécle, presente in catalogo con il Busto di donna, fiore rosso tra i capelli (lotto 342, stima 80.000 – 90.000 euro). Nel 1859 lascia la natia Venezia per evitare di essere arruolato nell’esercito,  e si iscrive all’università di Pavia. Successivamente è a Firenze, dove rimane fino al 1866. Qui incontra Signorini e Diego Martelli, ai quali si ispira per creare uno suo. Nel 1874 è a Parigi per quello che crede un breve viaggio: vi rimarrà per tutta la vita. Frequentatore assiduo del Café de la Nouvelle-Atene e amico intimo di artisti come Sisley, Pissarro, Degas, nel 1893 espone nella galleria di Paul Durand-Ruel, che diviene il suo mercante di riferimento. Le sue delicate figure femminili, scelte tra la piccola borghesia parigina, raffigurate nell’intimità della casa o in società, o ancora a passeggio nei viali di Parigi, sono caratterizzate da una solida abilità tecnica nel disegno e da una grande capacità psicologica, caratteristiche che garantiranno il successo del pittore. In Zandomeneghi resta sempre vivo il sapiente uso del colore di radice veneziana unita all’influenza dei macchiaioli toscani.

Artista originale e dal carattere indipendente è sicuramente quello di Eugène Boudin (Honfleur, 1824 – Deauville, 1898) – che possiamo ammirare nell’olio su tavola raffigurante La Moisson (lotto 362, stima 30.000 – 35.000 euro) che quando nel 1859 viene ammesso per la prima volta al Salon a Parigi, ottiene l’ammirazione dell’esigente occhio critico di Charles Baudelaire.

Nel 1874 partecipa alla prima mostra degli impressionisti, di cui è considerato uno dei padri fondatori, tenutasi presso il fotografo Nadar. Trasferitosi a Deauville, compie numerosi viaggi in Italia e sulla Costa Azzurra, dedicandosi soprattutto alle vedute marine.  Paesaggista, amante della pittura en plein air, Boudin si differenzia però dall’espressione realista e romantica tipica degli esponenti della Scuola di Barbizon per un’attenzione ai mutevoli effetti della luce.  che gli valse da Corot il soprannome di “re dei cieli” per l’innata capacità di dipingere, sentendole,  le nuvole nelle loro infinite  e aeree sfumature di azzurro.