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Museo Poldi Pezzoli. Attraverso l’arte si conosce la bellezza

Intervista ad Alessandra Quarto
Direttore Museo Poldi Pezzoli di Milano

Gian Giacomo Poldi Pezzoli nasce nel 1822 in un contesto familiare nobiliare, abbiente e intellettualmente vivace: da una parte le ingenti ricchezze paterne, dall’altra l’humus culturale dei Trivulzio. Quanto è stata determiante la madre Rosa Trivulzio, e quell’ambiente di artisti e intellettuali di cui si circonda, nella formazione di Poldi Pezzoli?

Direi fondamentale! La madre, Rosa Trivulzio, figlia di un intellettuale protagonista della Milano neoclassica e illuminista, il marchese Gian Giacomo Trivulzio, era cresciuta in un ambiente colto, frequentato abitualmente da letterati come Vincenzo Monti e Giuseppe Parini, il quale dedicò un’ode al suo matrimonio con Giuseppe Poldi Pezzoli, avvenuto nel 1819. Il marchese Trivulzio era anche un raffinato collezionista di libri antichi e manoscritti miniati, oggi nucleo della Biblioteca Trivulziana di Milano, di rarità, avori, oreficerie, antichità, oggetti preziosi degni di una Wunderkammer seicentesca. Naturalmente, questo ambiente così stimolante fece di Rosa Trivulzio l’ispiratrice assoluta della collezione di Gian Giacomo, lei che amava circondarsi di grandi talenti come Giuseppe Molteni, Massimo d’Azeglio e Giovanni Battista Gigola, uno dei più raffinati miniatori dell’epoca neoclassica; Rosa divenne mecenate e committente di artisti assai celebri, tra cui Lorenzo Bartolini che era all’epoca lo scultore italiano più ammirato dopo la morte di Canova. Rimasta vedova molto presto, nel 1833, improntò l’educazione del figlio alla bellezza, alla cultura e alla raffinatezza quali componenti essenziali della vita, al punto che il collezionismo per lui non sarà soltanto una consuetudine di lignaggio, ma quasi lo scopo stesso della sua vita.
Gli interessi di Gian Giacomo si indirizzarono inizialmente verso armi e armature. Non si trattava di una scelta inconsueta: nel corso dell’Ottocento, il mercato e il collezionismo di armi antiche conobbe in tutta Europa un fortissimo impulso. Tra il 1846 e il 1848 acquistò diverse centinaia tra armi e armature; gli acquisti proseguirono lungo tutto l’arco della vita, con una sempre maggiore attenzione alla qualità, tanto che entro il terzo quarto del secolo Gian Giacomo era divenuto in questo campo il collezionista più importante d’Italia.

I frequenti viaggi in Italia e all’estero, i musei e le collezioni internazionali, soprattutto francesi, quanto sono stati d’ispirazione al progetto di casa-museo di Poldi Pezzoli?

Durante l’insurrezione delle Cinque giornate del 1848, Gian Giacomo finanziò e sostenne la rivolta anti-austriaca e per questo fu costretto ad un anno di esilio e per poter rientrare a Milano pagò una multa molto ingente. La circostanza ebbe però un risvolto positivo: per oltre un anno viaggiò in Italia, Svizzera, Francia, dove peraltro era stato anni prima con la madre, e in Inghilterra, visitando gallerie e diverse esposizioni. Di sicuro fu colpito in maniera particolare dal nuovo Musée des Thermes et de l’Hotel de Cluny, creato da Alexandre du Sommerard, pioniere della museografia romantica e autore di un’opera in cinque volumi che divenne il principale veicolo di diffusione europea della conoscenza delle arti applicate medioevali. Inaugurato nel 1843, l’Hotel de Cluny aveva una collezione non costituita solo da dipinti e statue, ma da preziosi arredi e oggetti d’arte applicata antichi, scelti anche per evocare una ricercata atmosfera domestica.
Lo strepitoso successo di questa nuova interpretazione del passato e del connesso modello museografico ispirò il progetto di Gian Giacomo che, rientrato da suoi viaggi, mise a frutto gli stimoli e le suggestioni ricevute, realizzando quella che negli anni Cinquanta dell’Ottocento diventò una delle più belle case museo d’Europa, ammirata da grandi artisti e conoscitori, viaggiatori tedeschi e inglesi.
La casa-museo Poldi Pezzoli è stata da sempre modello di riferimento per le dimore europee tra cui il museo Jacquemart-André aperto a Parigi nel 1912, la Wallace Collection aperta a Londra nel 1900 e, infine, la Frick Collection di New York.
Inoltre, grazie all’amicizia con Giuseppe Molteni, ritrattista, restauratore e amico di famiglia, entrò in contatto con i più importanti critici d’arte europei. Fra loro il tedesco Otto Mündler, l’italiano Giovanni Morelli e l’inglese Charles Eastlake, direttore della National Gallery di Londra, considerati i più abili ed esperti connoisseurs del XIX secolo che lo indirizzarono nelle aste milanesi e che dibattevano su questioni attributive della sua collezione.
Inoltre, come risulta dai loro rispettivi taccuini e diari, nei loro periodici viaggi in Italia e in Europa a Milano non perdevano occasione per visitare le collezioni private per “scovare” dipinti antichi che per elevata qualità e impeccabile stato di conservazione potessero essere ‘eligible’ per la National Gallery di Londra.

Il gusto eclettico della casa e i diversi stili che la contraddistinguono sono distintivi delle tendenze estetiche dell’Ottocento. Ma per Gian Giacomo Poldi Pezzoli la casa non rappresenta solo l’espressione di uno status o di un trend artisitico, ma principalmente di un pensiero che sottintende alla funzione dell’arte, vista poi la scelta di Poldi Pezzoli di costituire una Fondazione. Qual è il fil rouge che unisce tutto?

Di pari passo con la collezione, Gian Giacomo si occupò dell’allestimento del suo appartamento, affidato ai più acclamati artisti-decoratori del momento tra cui: Giuseppe Bertini, Luigi Scrosati e Giuseppe Speluzzi. Il risultato fu una sequenza di ambienti ispirati a diversi stili del passato: lo scalone e la camera da letto in stile barocco, l’anticamera in stile rocaille francese, la Sala Nera nello stile del Rinascimento del nord, e il Gabinetto di Studio in stile del Trecento italiano. L’eclettismo, il revival degli stili e delle tecniche artistiche del passato, era in quel momento la moda d’avanguardia tanto che le sale della sua casa diverranno preziosi “contenitori” per antichi quadri, sculture, arredi e arti applicate.
La scelta di costituire una fondazione artistica “ad uso e beneficio pubblico in perpetuo” veniva certamente dalle aspirazioni che sottendevano il collezionismo ottocentesco, intriso di idealismo, che predicava l’educazione dell’umanità attraverso l’arte. Gian Giacomo era un mecenate e intendeva affidare alle proprie collezioni una missione formativa per tutti, non soltanto studenti e artisti, ma anche per le persone comuni. E’ questa la visone che oggi la direzione del museo porta avanti: aprire sempre di più il museo a pubblici nuovi e diversi e far avvicinare all’arte tutte le persone offrendo strumenti che consentano ai visitatori di entrare in dialogo con le straordinarie collezioni, promuovendo il museo come strumento di crescita culturale della città.

L’allestimento della casa fonde arredi originali acquistati sul mercato antiquariale ad opere di artisti e decoratori di metà Ottocento, tutto sotto il coordinamento di Giuseppe Bertini. Quanto queste imprese artistiche hanno contribuito alla promozione dell’alto artigianato italiano dell’epoca?

Certamente moltissimo. Non dimentichiamo che il giovane pittore e vetratista Giuseppe Bertini aveva ottenuto un notevole successo nella prima esposizione universale organizzata a Londra nel 1851 (l’evento dove era stato progettato e costruito il Crystal Palace di Joseph Paxton) esponendo una vetrata dantesca che poi replicò per lo Studiolo dantesco, trionfo delle arti medievali che combinava suggestioni romaniche, moresche, gotiche. Bertini e Scrosati avevano realizzato una vera e propria opera di oreficeria, uno scrigno destinato a promuovere l’artigianato milanese in tutta l’Europa.
In questo modo Gian Giacomo sostenne e salvaguardò per più di due decenni l’artigianato artistico civico. Dagli anni Cinquanta, infatti, la casa divenne il cantiere in cui le arti decorative contemporanee milanesi divennero un modello di eccellenza in Europa, distinguendosi per lo studio attento e profondo basato sull’osservazione delle tecniche del passato, attraverso le opere di cui l’appartamento andava progressivamente arricchendosi.
Non solo, con l’apertura della casa museo nel 1881, fu stabilito che il biglietto fosse gratuito per “gli artigiani addetti alle industrie affini” per proteggere e sviluppare le arti minori che lui stesso aveva promosso con grande fervore. Nel discorso di apertura del museo, il conte Francesco Sebregondi – segretario dell’Accademia di Brera – sottolineò la funzione di “aiuto alla classe operaia ad educarsi”. Il progetto della fondazione artistica mirava a sostenere anche gli artisti contemporanei che vistando il museo avrebbero potuto ammirare i capolavori del passato e trarne ispirazione per le proprie opere.
Il museo ancora oggi ha un forte legame con l’artigianato e il design e, infatti, durante la design week ospita esposizioni che celebrano il dialogo tra prodotti iconici delle grandi aziende e la collezione di arti applicate del museo.

Qual è stato il contributo degli studiosi e dei critici d’arte alla costituzione delle sue collezioni, e chi erano le figure di riferimento, anche nel dibattitio artistico intorno all’attribuzione delle opere?

Gian Giacomo acquistava presso una decina di antiquari e aveva intorno a sé un entourage di esperti illustrissimi: Giuseppe Baslini, uno dei più rinomati antiquari di Milano, Giuseppe Bertini, direttore della Pinacoteca di Brera, Giuseppe Molteni, ritrattista di casa Trivulzio restauratore e consulente di istituzioni come il Louvre e il British Museum. L’armaiolo e antiquario Carlo Maria Colombo, cui si affiancò lo scenografo scaligero Alessandro Sanquirico. Fu probabilmente quest’ultimo a suggerirgli di creare una scenografia in stile gotico per la Sala d’armi, affidata a un allievo di Sanquirico, Filippo Peroni che fu scenografo del Teatro alla Scala.
Inizialmente fu Giuseppe Molteni a mettere in contatto Gian Giacomo con l’ambiente accademico e quello dei conoscitori-collezionisti. Tra il 1853 e il 1855, Bernardino Biondelli, direttore del Gabinetto numismatico di Milano, fu suo consulente per gli acquisti archeologici e medioevali. E ancora, il critico Giovanni Morelli, con cui entrò in relazione dal 1861, che fu una personalità molto influente sulla scena italiana ed europea tra Otto e Novecento grazie al suo metodo attributivo basato sull’osservazione dei cosiddetti segni particolari. Fu lui a sostenere le scelte di Gian Giacomo per la costituzione della raccolta italiana. Non dimentichiamo che lo sviluppo del collezionismo privato e della connoisseurship, il di­latarsi del mercato antiquario, il fiorire della figura del travelling agent, le ricognizioni attributive e i lavori di grandi studiosi tra cui lo stesso Giovanni Morelli, sono fenomeni che caratterizzarono il formarsi della collezione di Gian Giacomo.

Quali opportunità presentava il mercato antiquariale nella seconda metà dell’Ottocento a chi avesse gusto e disponibilità economiche?

Di spaziare in ogni settore, dalla pittura alle porcellane, dai vetri alle sculture, dalle oreficerie, agli arredi, dagli orologi ai tessuti, con quello spirito enciclopedico che caratterizzava il collezionismo ottocentesco. Inoltre, non va dimenticato che il clima era di grande fermento culturale, alimentato dalle esposizioni Universali e dal flusso sul mercato antiquario di opere d’arte provenienti dalla dispersione delle antiche collezioni principesche e dalle soppressioni di chiese e conventi, che mettevano a disposizione dei collezionisti una enorme quantità di sculture, dipinti e arredi. Infatti, le propizie circostanze sociopolitiche combinate con le diposizioni legislative – l’abolizione nel 1865 del vincolo del fedecommesso, che obbligava a mantenere l’unità della raccolta familiare, e la mancanza fino al 1902 di leggi unitarie per la tutela dei beni culturali – crearono una fortunata stagione del commercio artistico e del collezionismo, richiamando collezionisti di altissimo livello.
Sul piano economico l’Europa stava attraversando un periodo di forte crescita, ma anche di grande volatilità dei mercati. L’Italia era in ritardo sotto molti aspetti, e il processo di unificazione fu turbolento e fiscalmente costoso. Gian Giacomo conobbe l’esilio e gli furono confiscati i beni dagli austriaci. È naturale pensare che il suo collezionismo sia in qualche modo influenzato da questo scenario.
Vendere, acquistare, collezionare: azioni senza tempo, azioni e che si ripetono attraverso la storia dell’uomo, azioni alle quali dobbiamo la formazione e, grazie ad essa, la salvaguardia di immensi patrimoni di opere d’arte e di manufatti provenienti dal passato.
La casa-museo è una vera e propria testimonianza di amore per il bello, per lo stravagante e il misterioso: racconti di epoche, di mode, di sensibilità differenti che alla fine sono narrazioni delle nostre radici, e come tali indispensabili per capire dove vogliamo andare, e come vogliamo vivere il nostro presente.

Tra le collezioni del museo quali sono le più rappresentative e quali le opere di maggior pregio che conserva?

Gian Giacomo compone la quadreria antica tra il 1853 e il 1879. Non dovrebbe pertanto sorprendere lo spirito ‘nazionalistico’ che alimenta le ambizioni del gentiluomo.
La raccolta, vantava pezzi di eccezionale qualità dei più noti maestri del Rinascimento, come Botticelli, Mantegna, Cosmè Tura, Carlo Crivelli, Giovanni Bellini, Piero del Pollaiolo, ma anche le opere più tarde di Canaletto e Guardi, e dipinti medioevali dai fondi in oro di Vitale da Bologna e Pietro Lorenzetti. Le opere, quasi sempre di medio formato perché destinate al collezionismo privato, in buono stato di conservazione e spesso firmate, si allineavano al gusto della nascente critica d’arte.
Oggi la raccolta conta oltre 6000 oggetti tra dipinti, sculture, ceramiche, vetri, armi, ori, orologi e tessuti. Per ciascuna collezione il museo conserva straordinari capolavori, considerati dalla letteratura critica i più importanti a livello mondiale.
Ovviamente, tra questi, il nucleo di dipinti del Rinascimento italiano e lombardo, le armature appartenute ai Gonzaga, ai Borromeo e ai Savoia. Tra le porcellane, il servizio da te e caffè realizzato dalle manifatture Meissen per la famiglia Borromeo. E ancora, la straordinaria opera di Lorenzo Bartolini, La fiducia in Dio, una scultura in marmo bianco a grandezza naturale commissionata da Rosa Trivulzio allo scultore fiorentino nel 1833, a seguito della morte del marito. E ancora, tra la collezione di tessili: il tappeto delle tigri (tessuto a Quazvin, una delle città regali della Persia centrale, tra il 1560 e il 1570) e quello di caccia (meraviglioso esemplare del nord-ovest della Persia, datato alla prima metà del sec. XVI). E’ importante segnalare della collezione di orologeria il Carro di Diana, automa principesco da wunderkammer ancora funzionante.

Il Poldi Pezzoli è un museo aperto ad acquisti e donazioni. Dalla morte di Gian Giacomo quali sono state, passate e recenti, le acquisizioni più rilevanti?

Gian Giacomo non si era limitato a consegnare ai posteri il frutto degli acquisti in vita, ma aveva provveduto alla gestione e all’accrescimento delle collezioni del museo disponendo una cospicua somma annuale che Bertini – primo direttore del museo – utilizzò per comperare nuove opere. Dal secondo dopoguerra ad oggi il museo ha ricevuto migliaia di oggetti tra cui anche intere collezioni come quelle di orologi meccanici di Bruno Falk, gli orologi solari di Piero Portaluppi e quelli da tasca di Luigi Delle Piane tra cui il magnifico orologio francese Jacques Goullons decorato con uno smalto di Jacques Vaquier, che riproduce in miniatura la battaglia di Costantino di Raffaello.
Oggi il Museo è la più importante istituzione italiana nel campo della orologeria artistica dal XVI al XIX secolo.
E poi ancora, i tessuti copti e i pizzi. Molto interessante è il lascito di ottanta porcellane europee del XVIII secolo donate dalla famiglia Zerilli Marimò con rarissimi oggetti dei primi anni di attività della manifattura di Meissen. E prima ancora, il Laooconte di Ginori.
Particolarmente ricco è stato il legato testamentario di Margherita Visconti Venosta che ha lasciato al museo opere come il tondo di Pinturicchio, una Madonna con Bambino di Bergognone, la Croce astile attribuita a Raffaello.
La storia recente del museo continua ad essere ricca di lasciti e donazioni tra cui, nel 2004, Il cavaliere in nero di Giovanni Battista Moroni, la Vergine leggente attribuita ad Antonello da Messina nel 2018. Tantissime e preziosissime sono le generose donazioni che il museo riceve dalle famiglie della sua città, che sono state celebrate ultimamente in una mostra dedicata ai suoi donatori: L’arte del dono. Da Gian Giacomo Poldi Pezzoli ad oggi (novembre 2022- febbraio 2023).

La figura di Poldi Pezzoli è profondamente legata al tessuto meneghino, sia per ascendenza materna, sia per il suo impegno politico nella causa risorgimentale e nelle insurrezioni del 1848, sia per legato testamentario della casa-museo. Quanto è significativa per la Milano di allora e di oggi la figura di Gian Giacomo Poldi Pezzoli?

La Fondazione, alla sua morte, venne dotata di un vitalizio di 8000 lire annue, destinato a coprire i costi di gestione e l’acquisto di opere d’arte ‘siano antiche che moderne‘. È questo un messaggio importante, forse una delle chiavi della collezione. Gian Giacomo è stato in grado di guardare tanto al proprio presente quanto al passato. Il museo avrebbe dovuto continuare a crescere in quello stesso spirito che aveva portato il presente e il passato a dialogare tra loro – non solo attraverso la pittura – per reciproco beneficio.
La vita e la missione del museo sono legate al pubblico, alla sua presenza e alla sua generosità: tutti i generosi collezionisti, i sostenitori privati e pubblici che non hanno mai abbandonato il progetto di Gian Giacomo e l’hanno fatto proprio, accogliendone il messaggio etico e civile, appartengono alla storia del museo.
La gratitudine è molto importante e i milanesi sentono molto questo sentimento di restituzione.