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Maiolica fin de siécle. A caccia di modernità

Due portafiori raffiguranti dei cinghiali, descritti in modo naturalistico vicino a dei tronchi d’albero fruttati, possono ben essere considerati un esempio emblematico del gusto imperante in Europa, e non solo, al volgere del diciannovesimo secolo. E non solo per l’evidente simpatia per il soggetto da parte del ceramista, e per la loro straordinaria perizia tecnica: ma soprattutto per il loro inserirsi perfettamente in quel gusto tardo ottocentesco, in questo caso di stampo nordico tra Francia e Germania, tanto caratteristico. Non siamo in grado di risalire alla manifattura  dalle cui fornaci i nostri due vasi sono usciti: ma il materiale  ceramico utilizzato è facilmente riconoscibile. Si tratta di majolica, una ceramica elaborata a partire  dal 1851 circa (e nella Esposizione Internazionale di quell’anno ne venivano presentati degli esempi) nella manifattura inglese di Minton: Leon Arnoux, direttore artistico e tecnico della fabbrica, l’anno dopo ne esaltava le qualità tecniche, l’aspetto lucido e sgargiante, la duttilità quasi scultorea del modellato, e quella modernità tanto considerata nell’era della Rivoluzione Industriale. In effetti queste qualità si ritrovano nei nostri due vasi, e mantengono intatto tutto il loro fascino. Il nome majolica deriva, con una certa forzatura, dalla maiolica rinascimentale, ed all’inizio fu utilizzato insieme a quello di “Ceramica di Palissy”, certamente più appropriato per un prodotto non troppo dissimile dagli incantevoli trompe l’oeil creati dal ceramista francese cinquecentesco. Con un nome o con l’altro, il materiale conobbe comunque uno straordinario successo di pubblico, continuato  fin ben dentro il XX secolo: e venne copiato da varie manifatture più o meno note, sia europee che americane.

Una coppia di vasi portafiori in maiolica realizzata con grande gusto e perizia forse dalla manifattura francese intorno al 1880, che sarà presente nella selettiva sezione dedicata alle ceramiche dell’asta genovese del 29 e 30 marzo intitolata “Dalle Collezioni di Bartolomeo Rizzo (lotto 519, stima 600 – 800 euro).