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Giuseppe Orlandi collezionista poliedrico

Per Giuseppe ‘Pino’ Orlandi la Sicilia era “L’Isola d’Oro”, come ebbe a definirla in un delizioso quanto poetico componimento, pubblicato nel 1952 sulla rivista turistico-culturale “Italia – Svizzera”. In due colonne, elegantemente impaginate, cultura, arte e attività sportive sono intimamente legate, così come la passione che egli vi dedicava, e alle quali attribuiva un valore di formazione della coscienza individuale, proprio per il loro essere educative e condivisibili, e comunque di rispetto alle regole attraverso le passioni primarie. Così come, in quel breve scritto, evoca il leggendario Nuvolari e la Targa Florio, che con determinazione Orlandi aveva riportato agli antichi fasti: «Oggi i moderni Nuvolari non sono che degli atleti: degli atleti formidabili, ma solo degli atleti perché l’isola si è ormai avvicinata – e come spazio e come attività – alla laguna che ha cullato i nostri sogni infantili in quell’ambiente di fiaba che sa di Monreale di Pergusa di Taormina». Un innamoramento per la feconda Trinacria nato durante la Seconda Guerra Mondiale (precisamente nel 1943, poco prima dello sbarco degli alleati a Gela il 10 luglio), quando da giovane ufficiale dell’aeronautica ‘veneto’ (era nato a Este, in provincia di Padova, il 20 febbraio 1920), venne assegnato proprio all’aeroporto di quella città fondamentale alle sorti del conflitto. Un sentimento che si fortificherà in sessant’anni di presenza nell’isola, dove il carattere aperto ed estroverso del giovane Orlandi, esponente di spicco di una Democrazia Cristiana formativa e solidale ad un reale sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno, lo porta e ricoprire incarichi sempre più di prestigio, a partire dal 1945, quando dette il suo contributo alle storiche sedute della Consulta per l’elaborazione dello Statuto, e successivamente legati alla cultura, allo spettacolo e all’arte in Sicilia. A partire dal 1949, come direttore dell’Assessorato al Turismo, ebbe modo di conoscere i personaggi più interessanti della scena letteraria ed artistica dei decenni successivi, che collaborarono in vario modo ad iniziative da lui promosse. Fiore all’occhiello del suo progetto di rilancio della cultura nell’isola la nascita nel 1953 della “Sicilia”, rivista che partita come contributo di promozione turistica, come ebbe modo di dire magistralmente Leonardo Sciascia nel 1966, in occasione del cinquantesimo numero: «(…) grazie alla impostazione grafica, al felice assortimento di un antico e raro materiale iconografico siciliano con le espressioni più moderne delle arti figurative, alla funzionalità e alla qualità delle fotografie, “Sicilia” ha assunto un notevole ruolo culturale e resta, in questo senso, come una delle cose più valide intraprese dalla editoria siciliana». Pino Orlandi fu anche collezionista poliedrico e curioso, logica conseguenza di un’indole che lo portava ad essere informato con passione, di ogni aspetto che riguardasse la creatività.
Con gli artisti ebbe contatti assidui e proficui, sia a livello di amicizia personale che di un effettivo contributo creativo. Da ricordare fra i più importanti, Giorgio De Chirico, Ottone Rosai, Renato Guttuso, Domenico Cantatore, Orfeo Tamburi, Giovanni Omiccioli e Corrado Cagli.

Nella prossima asta del 12 giugno, dove sarà esitata (a seguito della sua scomparsa avvenuta tre anni orsono) una parte della collezione moderna di Giuseppe Orlandi, ci piace segnalare una splendida Piazza d’Italia di Giorgio De Chirico del 1957, silente nelle sue architetture vitruviane, con la ciminiera che si staglia vigorosa sull’orizzonte nitido e affiancata da un tempio-stazione, dove al centro del timpano si scorge un orologio che misura le ore delle ‘idee perdute’. Ancora del ‘Pictor Optimus’ una Venezia, Palazzo Ducale, del 1956, esempio paradigmatico del periodo ‘barocco’ dell’artista, e successivo di un anno un Cavaliere fuggente, che nell’artificio della posa sembra evocare prototipi rubensiani. Una coeva matita su cartoncino, dal suggestivo titolo di Trinacria, ci riporta infine al clima della Sicilia dei miti classici e cavallereschi dei pupi. Spicca infine di Renato Guttuso, uno Stromboli del 1953, dove il suo appassionato e vitale colorismo, si esalta con la scintillante bellezza e struggente poesia della sua terra, la Sicilia, che aveva ammaliato il giovane Pino Orlandi agli inizi degli anni Quaranta.