L’entropia, la morte erano stati l’eterno rovello di Gino De Dominicis che nell’arte aveva identificato l’unico possibile antidoto. Artista trasversale ad ogni classificazione, capace di coniugare talento e vocazione filosofica, De Dominicis era persuaso che solo l’arte potesse essere eterna e che tale prerogativa le derivasse dalla sua immobilità. Mentre tutto ciò che è dotato di moto, sosteneva, è per sua natura impermanente, destinato a essere travolto dall’entropia, l’arte, che appartiene a una dimensione incorruttibile, fuori dal tempo e dallo spazio, è immortale.
Il gioco e l’ironia declinati fino al paradosso percorrono tutto l’universo visionario di De Dominicis traducendosi in opere spiazzanti che sono entrate nella leggenda, come il ragazzo down seduto e immobile esposto ‘scandalosamente’ alla Biennale di Venezia del 1972. L’arte stessa è una speculazione sull’idea del verosimile invisibile che attraverso l’artista diviene palese: “È il pubblico che si espone all’arte e non viceversa”. Una pittura popolata da un campionario di figure larvali e arcaiche, volti alieni ed enigmatici, corpi stilizzati su fondi oro: più che vere immagini, epifanie di un al di là che acquista consistenza attraverso la sua rappresentazione: toccare l’invisibile è l’ossessione di G.d.D (come riportava il suo enigmatico biglietto da visita), e “Prospettiva Rovesciata” del 1991 è una metafora elegante e silente di una realtà che oltre i sensi è attesa del Nulla.