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Dipinti Antichi: delle battaglie e delle perdute virtù

La battaglia da sempre ha attraversato la storia dell’arte, per la sua capacità di essere parimenti massima espressione della narrazione di storia e repertorio di caratteri ed emozioni. Un tema che trova l’apogeo nella famosa disputa tra Leonardo e Michelangelo con i cartoni ora perduti della battaglia di Anghiari per il primo e di Cascina per il secondo, che tra il 1503 e il 1506 vennero commissionati  ai due sommi artisti da Pier Soderini, per dei futuri affreschi che dovevano decorare il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. Un genere che nel Barocco trovò enorme fortuna per la sua capacità di essere grandiosamente dinamico dal punto di vista compositivo, plastico e coloristico. Rubens e Pietro da Cortona, Borgognone (Jaques Cortouis) e Charles Le Brun sono alcuni dei grandi interpreti di un genere capace di rinnovarsi attraverso lo scorrere del tempo.

Di straordinaria valenza scenica e misure parietali, la nostra Battaglia esibisce aspetti qualitativi sorprendenti e una vitalità narrativa travolgente. D’inequivocabile gusto barocco, la tela si può datare plausibilmente attorno alla seconda metà del XVII secolo, e realizzata da un autore a conoscenza degli esempi pittorici della scuola romana, cortonesca e delle invenzioni di Jacques Courtois.  Le caratteristiche che pongono l’accento sulla concretezza fisica, sulla capacità di rendere reali gli eventi evocandone gli odori acri e la perfetta descrizione dei moti dell’animo, si possono ben cogliere in tutta l’energia dello scontro e nell’audacia dei cavalieri che sono descritti a distanza ravvicinata e di cui possiamo osservarne gli sguardi, la tensione dei corpi e la drammatica vemenza dello scontro. Tuttavia, i caratteri di stile indirizzano la ricerca attributiva verso un maestro di straordinaria eleganza e una maggiore attinenza agli aspetti disegnativi, coadiuvati da una stesura esteticamente assai ricercata e più classica rispetto al Courtois, avendo in sè un substrato culturale con maggiori attinenze alla scuola francese. Questi aspetti mostrano un’indubbia affinità con l’opera di Charles Le Brun (Parigi 1615 – 1690), che, allievo in giovane età di François Perrier e Simon Vouet, soggiornò a Roma tra il 1642 e il 1646 presso Nicolas Poussin e fu ben accolto dalla famiglia Barberini. Rientrato in patria, l’artista fu subito apprezzato da Luigi XIV, che gli commissionò diverse opere come quelle dedicate alle imprese di Alessandro Magno, che contemplano eccezionali scene belliche. Le similitudini che si riscontrano tra il pittore parigino e il dipinto sono alquanto eloquenti, e solo una dovuta prudenza induce a non spenderne il nome senza ulteriori conferme critiche, mentre la qualità sottolinea una singolare analogia.

Gaspare Traversi (Napoli, 1722 – Roma, 1770) Una bimba seduta con un gatto in grembo, e una vecchia popolana Olio su tela, cm 88,5 x 66 Stima € 40.000 – 60.000

Gaspare Traversi (Napoli, 1722 – Roma, 1770) Una bimba seduta con un gatto in grembo, e una vecchia popolana Olio su tela, cm 88,5 x 66 Stima € 40.000 – 60.000

Nella tela venata d’intenso realismo che rappresenta “Una bimba seduta con un gatto in grembo, e una vecchia popolana” del napoletano Gaspare Travesi (Napoli, 1722 – Roma, 1770) e, alcuni decenni dopo la travolgente Battaglia assai affine alla maniera di Charles Le Brun, il clima è completamente cambiato: siamo vicini al pauperismo sociale di Giacomo Ceruti, ma con una vividezza cromatica e un’accentuazione simbolica assai più intensa rispetto a quella del maestro lombardo. Alberto Lattuada con acume sottolinea come la scena sia: “a mezza strada tra la tranche de vie e l’antica allegoria morale nord-europea”, ed a proposito del soggetto afferma che “trova antecedenti iconografici in tradizioni figurative sia italiane sia nord-europee, è – come spesso accade – in parte legato alla commedia dell’arte, e in parte anche alla tendenza di lunga durata a visualizzare proverbi e motti di spirito popolari. Nella tradizione popolare olandese, la bambina con il gatto in braccio è simbolo d’imprevedibilità e di carattere infido, contrapposto a quello del ragazzo con un cane in braccio, simbolo di affidabilità e di carattere mansueto”.

Il drammatico disincanto di Gaspare Travesi – accentuato dalla luminosità dei panneggi e dallo splendore dei chiaroscuri – si rivela nell’iconografia del gatto in fasce che annuncia un futuro di perdizione della ragazza, ossia una premonizione del suo e dell’umano destino.