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Biennale delle meraviglie

Dal 24 settembre al 2 ottobre 2022 sarà aperta al pubblico dei collezionisti e appassionati  la 32a edizione della Biennale dell’Antiquariato di Firenze a Palazzo Corsini – splendida residenza seicentesca affacciata sull’Arno – dove potranno ammirare le opere d’arte di 84 gallerie antiquarie italiane e internazionali.

Era il 1959 quando Mario e Giuseppe Bellini dettero vita alla più importante manifestazione antiquaria italiana e una delle più significative al mondo, che vide coinvolti non solo operatori italiani, ma anche quell’élite di stranieri che percepivano in Firenze il senso e l’immagine della cultura umanista, intesa come colta e appassionata ripresa dei valori etici, estetici e spirituali, di quella classicità greca e soprattutto romana che è misura ed equilibrio del bello. Un processo che prese il suo abbrivio già alla fine dell’Ottocento con personaggi quali Luis Carrand, John Temple Leader, Frederick Stibbert, Herbert Percy Horne, Bernard Berenson, e tanti altri ancora, che designarono Firenze come luogo d’elezione e dimora imprescindibile al loro arricchimento intellettuale. Ma furono principalmente Stefano Bardini e Elia Volpi fra fine Otto e primo Novecento a diffondere nel mondo il gusto “fiorentino”.

Fu solo con gli anni Cinquanta, coincidenti con quello sviluppo economico e creativo che portò alla nascita di uno stile e di una riconoscibilità italiana nel mondo, che si definì a tutto tondo la figura dell’antiquario, tramite tra l’unicità dell’opera ed il piacere emotivo ed estetico del collezionista. Ma è a Luigi Bellini, padre dei fondatori della Mostra Mercato dell’Antiquariato di Firenze, che in nuce si deve, nel 1953, il primo tentativo di raccogliere, in quella che universalmente è riconosciuta come la culla del Rinascimento, il meglio dell’antiquariato italiano.
Presidente del Comitato esecutivo della prima edizione della Mostra del 1959, ereditata dai figli Mario e Giuseppe Bellini, fu Giacomo Devoto, glottologo, filologo e critico letterario, che sottolineò il duplice aspetto che l’esposizione avrebbe dovuto evidenziare: quello di diffusione e conoscenza dell’arte antica italiana, intesa non solo come pittura e scultura, ma anche come mobili e arredi, ovvero un coacervo di stimoli estetici che diviene gusto e stile di vita; e quello prettamente commerciale, che vede il segmento dell’antiquariato come parte integrante dello sviluppo economico del Paese fra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Il Comitato esecutivo comprendeva l’amato Piero Bargellini, l’uomo che nei giorni più disastrosi dell’alluvione di Firenze del 1966 si mostrò ai cittadini come figura di altissimo profilo etico e morale, oltre ai più autorevoli e raffinati esponenti del mercato antiquariale italiano, ma soprattutto straniero.

Sede della Mostra fu lo storico Palazzo Strozzi, dimora di una delle più antiche e illustri casate fiorentine, iniziato dalla famiglia per volontà di Filippo nel luglio 1489 da Benedetto da Maiano, architetto preferito da Lorenzo il Magnifico, proseguito da Giuliano da Sangallo e concretamente realizzato e ultimato da Simone Pollaiolo detto il Cronaca, nel 1504, per Lorenzo Strozzi, secondogenito di Filippo, e la sua sposa Lucrezia Rucellai. Un edificio carico di storia, noto in tutto il mondo, ed esempio eccelso del Rinascimento italiano, che divenne icona e riverbero internazionale della stessa manifestazione. Il successo fu immediato e travolgente, tanto che occorse l’intervento delle forze dell’ordine per disciplinare la curiosa folla, che in quel mese di apertura al pubblico prese d’assalto la Mostra. Visitatore d’eccezione, giunto a Firenze in veste privata il giorno antecedente la chiusura della manifestazione, fu il Presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi. Un successo d’immagine strepitoso che la presenza di Gronchi sancì anche nella sua sostanza culturale e mondana, che i fratelli Bellini, coadiuvati dai membri dell’Associazione Antiquari d’Italia nata nell’occasione, avevano curato con elegante rigore in ogni minimo dettaglio. Tutto questo quando ancora l’Autostrada del Sole era di là da venire, i trasporti di opere d’arte non esistevano, ma si appoggiavano a semplici ditte di traslochi, e il concetto stesso di comunicazione era affidato a raffinati articoli ospitati nelle leggendarie ‘terze pagine’ culturali dei maggiori quotidiani, nonché al passa parola di una élite sofisticata e cosmopolita.

Due anni dopo, nel 1961, la Mostra fu inaugurata dall’allora sindaco Giorgio La Pira, e si caratterizzò per la vivace e spontanea partecipazione del Presidente del Consiglio dei Ministri Amintore Fanfani. La presidenza del Comitato esecutivo passò al Principe Giovanni Ginori Conti e annoverava ministri, militari, il Presidente del Consiglio Superiore delle Belle Arti Mario Salmi, e un florilegio di fanciulle e dame della migliore aristocrazia fiorentina. Un’edizione che fu anche vetrina del vagheggiato mondo dello spettacolo e del cinema, con presenze quali la spumeggiante Josephine Baker, la ‘divina’ Greta Garbo, l’esplosiva Sofia Loren, il regista e attore americano John Huston, l’altera Silvano Mangano accompagnata da Mauro Bolognini, la garbata Paulette Goddard con Erich Maria Remarque testimoni di quel mondo raffinato del jet-set non ancora contaminato nella sua inaccessibile aurea.
Ma il dato più significativo della Mostra dell’Antiquariato di Firenze fu che mutò sostanzialmente la percezione dell’antiquario, da mero scopritore di anticaglie a raffinato conoscitore delle forme e dei colori che l’arte, attraverso il tempo, si è data, e quindi paritetico alle fasce più alte della società economica e culturale.
Il gusto imperante in quegli anni era prettamente orientato al tardo rinascimento, al Settecento veneziano e agli arredi francesi del XVIII secolo. I mobili dovevano essenzialmente rispondere al principio di decoro della casa, principio a cui erano assoggettate anche la pittura, la scultura e le arti decorative. Grande apprezzamento era riservato dai collezionisti internazionali ai fondi oro, alla scultura quattro-cinquecentesca, alle porcellane, agli argenti e a quella serie di oggetti decorati a découpage e definiti ‘arte povera’. Erano anche quegli gli anni in cui una giovane generazione di storici dell’arte iniziava uno studio sistematico e capillare intorno ai vari comparti dell’antiquariato, togliendoli da un limbo di genericità e attribuendo loro il giusto valore storico e documentale.

Nel corso delle successive edizioni la Mostra si accrebbe in fama e prestigio internazionale e il numero dei visitatori si ampliò a dismisura accogliendo personaggi eterogenei, dal il Re di Svezia e la Principessa Irene di Grecia, ai vari Presidenti della Repubblica, fino al Pictor optimus Giorgio De Chirico, unico artista contemporaneo capace di paragonarsi agli antichi.
L’immediato successo della manifestazione si allargò a tutto il tessuto cittadino, con rievocazioni storiche che richiamavano un grande numero di curiosi, ed eventi mondani dal carattere fastoso. L’esposizione col trascorrere degli anni divenne un must, non più rivolta a una ristretta cerchia di esperti e collezionisti, ma anche a una nascente e florida borghesia che si era affermata col boom economico.
La funesta alluvione del 4 novembre1966 fu per gli antiquari fiorentini una catastrofe senza pari, ma nonostante ciò l’anno seguente la Mostra aprì regolarmente, grazie anche allo sforzo e al lavoro dell’intera città sotto la guida del sindaco Piero Bargellini. La forza e il prestigio della manifestazione, che neppure il rovinoso e tragico cataclisma aveva fermato, costrinse mostre come quella di Parigi a trasferirsi dalla periferia al grandioso Grand Palais nel cuore della città.
L’esposizione proseguì  nel suo cammino di fama e successo fino al 1977 quando, per l’inagibilità di Palazzo Strozzi, fu costretta a trasferirsi a Palazzo Giuntini, l’attuale Grand Hotel. In quel lasso di tempo, nel 1986, Guido Bartolozzi subentrò nella Segreteria Generale ai fratelli Bellini e la mostra prese definitivamente il nome di Mostra Biennale Internazionale dell’Antiquariato. Uomo di grande equilibrio e saggezza tenne unita l’Associazione Antiquari d’Italia e promosse con entusiasmo la Gazzetta, la prestigiosa rivista associativa fondata nel 1959.

Ma i travagli per una definitiva sede espositiva che desse sicurezza alla Mostra continuarono ancora per diversi anni, passando nel 1995 al Palazzo degli Affari, progettato da Pierluigi Spadolini, luogo per quanto noto ma di impianto congressuale, quindi non adatto alla fama internazionale della manifestazione.
L’occasione giunse finalmente nel 1997 con Palazzo Corsini sull’Arno, di impianto ancora cinquecentesco, istituito per volontà di Bartolomeo Corsini nel 1650, e concepito inizialmente dall’architetto Alfonso Parigi il Giovane, al quale subentrò nel decennio successivo Ferdinando Tacca fino al 1671. Alla morte di Bartolomeo nel 1685, il figlio Filippo proseguì con convincimento nei lavori di ristrutturazione, commissionando ad Antonio Maria Ferri, scenografo, progettista e ingegnere, la prosecuzione dei lavori. A lui dobbiamo infatti la disposizione definitiva del Palazzo in tre corpi articolati attorno a una corte centrale, lo splendido scalone del 1694 che conduce al piano nobile, l’imponente Salone del Trono, la Galleria Aurora, la Sala da Ballo e l’incantevole Ninfeo. È proprio in questa splendida cornice di Sale, uniche per invenzioni e caratteristiche architettoniche in Firenze, che viene ospitata ogni due anni la Mostra Biennale Internazionale dell’Antiquariato.