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Barocco tra estro e misura

Classicismo e naturalismo sono i grandi filoni della pittura italiana ed europea del Seicento, un secolo segnato da grandi rivolgimenti politici, sociali e culturali tanto da definirlo il primo dell’era contemporanea. Tre esempi paradigmatici del barocco come lingua comune che interpreta Shakespeare, Milton e Molière; Galileo, Cartesio e Spinoza; Monteverdi, Vivaldi e Bach, spiccheranno nel catalogo dei Dipinti antichi.

La Conversione di Saulo di Francesco Solimena è un esempio di un naturalismo barocco maturo nello stile migliore dell’artista. Questo imponente ‘modelletto’ (cm 124 x 99) per affresco, è una delle principali creazioni dell’autore quando il suo estro creativo e la sua pennellata evocano straordinarie macchine sceniche, ricche di colore e vitalità narrativa. La tela offre l’opportunità di cogliere il procedimento creativo dell’artista e di comprendere quanto sia ancora efficace in lui la lezione giordanesca, ma pronunciata con un vigore e una modernità che travalica la sensibilità barocca preannunciando l’evoluzione in chiave settecentesca della grande decorazione. La composizione con sapienza onnivora ingloba in se il migliore magistero della teatralità e un cromatico tenebrismo che solo la cultura partenopea era in grado d’esprimere in così alto grado.

Di Gian Domenico Lombardi, artista di spicco del primo Settecento lucchese, è l’olio su tela della Giovane coppia con vecchia che conta danaro. Le sue creazioni presentano la peculiare capacità d’esprimersi attraverso i linguaggi del tardo barocco, del classicismo capitolino e della coeva eloquenza toscana, riuscendo altresì a pronunciare diversi registri narrativi, intervallando il genere “basso” e bambocciante con la pittura di storia e il ritratto. Il tema è l’avarizia nelle tre età dell’uomo e i sottili sottintesi erotici carnevaleschi con una precisa dinamica gestuale che trascende il semplice ammonimento morale. La vecchia che conta i soldi, da raffigurazione dell’avarizia diviene mezzana, e la pipa del giovane è un’allusione sessuale rivolta alla figura femminile che di soppiatto ruba alcune monete, attivando ulteriori livelli di lettura iconologica dell’immagine.

Infine, lo stile dell’Allegoria della Pace e della Giustizia di Stefano Pozzi palesa una datazione settecentesca e l’ottimo stato di conservazione concede una ideale lettura degli aspetti cromatici e disegnativi. L’opera trova una precisa corrispondenza illustrativa con la tela conservata presso il Palazzo Reale di Caserta che Stefano Pozzi eseguì attorno alla metà del settimo decennio quale modello pittorico per uno degli arazzi destinati alla camera da letto di Ferdinando IV nel Palazzo Reale a Napoli. Appare chiaro allora che la nostra tela è il ‘modelletto’ dell’imponente pala casertana, che abbinata al disegno preparatorio (oggi conservato al Museo di Baltimora), esprime la complessa procedura creativa dell’artista.