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Appunti dal BRAFA 2023

Eterogenea nell’offerta e rinnovata nell’allestimento la 68a edizione del BRAFA di Bruxelles è aperta fino al 5 febbraio 2023 in due accoglienti sale di Brussels Expo, immenso complesso espositivo Art Deco inaugurato in occasione dell’Esposizione Universale del 1935.
Elemento di assoluta novità rispetto alle precedenti edizioni è la presenza rilevante dell’arte moderna e contemporanea tra le 15.000 opere presenti in mostra, una scelta che viene incontro a una mutazione del gusto del collezionismo internazionale. Ma questo non esclude fantastiche eccezioni.
Da Klaas Muller di Bruxelles, il superbo dipinto con lo Studio di un Evangelista di Jocob Jordaens, dove il terzo grande maestro del barocco fiammingo insieme Rubens e Van Dyck dà sfoggio di una sensibilità plastica e coloristica di caravaggesca memoria.
Da Dalton Somaré di Milano, un gruppo di opere tribali misteriose quanto modernissime nella loro essenzialità.
Da Gallery Desmet di Bruxelles, il busto in bronzo dell’imperatore Caracalla di Luigi Valadier, dalla tecnica così prodigiosa che pare opera di uno scultore antico. La famiglia Valadier è stata fondamentale per lo sviluppo dell’arte orafa e decorativa del XVIII secolo, in quella Città Eterna dove convivevano l’esuberanza rococò e il nascente rigore neoclassico. Le opere di Luigi (Roma 1726 – 1785) sono preziose e stravaganti sia nei materiali che nell’ideazione, un tratto di originalità della bottega che prosegue con il fratello minore Giovanni e il figlio Giuseppe, ricercate dai colti e raffinati viaggiatori aristocratici che vedevano nella Roma imperiale una tappa fondamentale del Grand Tour.
Da Repetto Gallery con sedi a Lugano e Londra, spicca incorporea e spirituale la grande opera di Fausto Melotti Contrappunto Piano del 1973, prova emblematica e leggerissima del suo concetto di scultura aperta all’estrema sintesi e stilizzazione, fatta di metalli duttili come l’ottone. Alla solida materia del marmo e del bronzo Melotti preferisce sottili strutture lamellari che danno forma a spazio e luce.
Da Fabio Massimo Apolloni di Roma, una serie di ceramiche smaltate degli anni Cinquanta modellate con vitale e primigenio ardore da Leoncillo Leonardi, che come totem di materia viva cristallizzano l’essenza dell’espressione, insieme a una selezione di disegni e dipinti di Renzo Vespignani dove emerge, in tutto il suo talento, la capacità di rendere tangibile la caducità del tempo attraverso l’intensità sentimentale del ricordo.
Da Robertaebasta con gallerie a Milano e Londra, come vere sculture di luce, una coppia di lampade a parete a “finestra” in metallo laccato bianco e ottone di Gio Ponti, realizzate per Arredoluce nel 1957/1958. L’unicità di Ponti è fatta di capacità e stile in grado di percorrere trasversalmente l’utile e il dilettevole, sempre pronto a mettersi in gioco e coniugare il disegno con la realizzazione pratica affidandosi alle migliori realtà produttive, mani esecutrici delle sue idee. A cavallo tra realtà, progetto e nuove soluzioni ed espressioni, Ponti capisce e fa capire a disegnatori, artigiani e industrie l’importanza della qualità e di un rinnovamento formale, facendosi catalizzatore fin dagl’anni Venti di incontri al vertice della creatività e della qualità. Ponti è italiano e universale, semplice e sobrio, puro ed essenziale, unico e riproducibile, perché convinto che il “disegno per l’industria è un beneficio per le facoltà stesse della nostra mente e della nostra mano, nel dare una linea ad una produzione, perché la costringe ad una severità, ad un rigore, che mancano, ahimè, invece nella così detta produzione artistica.”
Da Studio 2000 Art Gallery di Blaricum nei Paesi Bassi, la modernità senza tempo del design è scossa dalla sobria eleganza che regna nel piccolo olio di Sir Lawrence Alma Tadema del 1890, dall’emblematico titolo An Eloquent Silence. Il mondo classico per l’artista olandese, ma londinese di carattere, grande protagonista della pittura vittoriana insieme a John Singer Sargent e James Tissot, è un trionfo poetico e incantevole di sensazioni estetiche stravaganti, dove la dura realtà della rivoluzione industriale e delle campagne coloniali che caratterizzano l’ascesa e il trionfo dell’Impero Britannico nel XIX secolo è negata, e si nasconde dietro l’equilibrio magniloquente ed ancestrale della civitas pompeiana, abitata da conturbanti figure muliebri e dai corpi sensualmente angelicati. Il tardo impero romano è un luogo decadente e antieroico pervaso di romantico languore, dove donne e uomini si abbandonano a un edonismo ozioso e struggente, e dove il piacere è l’unico e incontrastato monarca.
Da Galerie Taménaga con sedi a Parigi, Tokyo, Osaka e Kyoto, il Vaso di fiori di Odilon Redon è un’epifania di soffusi colori pastello che evocano le atmosfere di onirico splendore di uno dei maestri del simbolismo, che nella Parigi degli anni Ottanta conobbe scrittori come Huysmans e Mallarmé, e artisti come Maurice Denis e Paul Gauguin. Dal 1900 circa fino alla sua morte nel 1916, il colore si fece protagonista centrale della sua ricerca poetica, sempre filtrata da un’attenzione particolare per ambientazioni da sogno dall’ambigua e indefinita bellezza, che lo rendono un punto di riferimento per i Nabis come Pierre Bonnard e Édouard Vuillard, e poi per i maestri della fantasia surrealista come Max Ernst e Joan Mirò, per la sua capacità bizzarra e inusuale di rendere visibile l’invisibile.
Da Univers du Bronze di Parigi, un nudo maschile in bronzo superbamente modellato da Auguste Rodin (Age d’Airain, 1875-1877), dove la patina scura e lucida oltre a sottolineare i rapidi passaggi espressivi mette in evidenza la duttile sensibilità plastica del suo stile. In quest’opera, come in tutta la sua prolifica produzione, il sommo scultore dell’Ottocento francese fonde la monumentalità michelangiolesca, desunta dalla tradizione gotica e dal suo maestro Jean-Baptiste Carpeaux, ad un realismo drammatico fatto di movimento e di un chiaroscuro pittorico d’ascendenza impressionistica, che molto si avvicina all’opera di Medardo Rosso.
Da Galerie Nicolas Bourriaud di Parigi, ancora Rodin con la seconda versione del Bacio, datata 1910-1915. La genesi del soggetto nasce da una commissione dallo stato francese per la porta decorativa in bronzo di un museo parigino, dedicata ai protagonisti della Divina Commedia, e tra questi Paolo e Francesca. Tuttavia Rodin dei due amanti decise di realizzare una scultura indipendente. Con la sua composizione triangolare non finita di chiaro influsso michelangiolesco, l’artista si distacca dall’idealismo greco e dall’armoniosa bellezza rinascimentale e barocca per interpretare, con struggente trasporto, le emozioni dei soggetti attraverso i dettagli, la concretezza della carne, le superfici lavorate e  i giochi d’ombra. Di fronte al successo straordinario di questo gruppo scultoreo, la fonderia Barbedienne, nel 1898, firmò con lo scultore un contratto ventennale diffondendo molte versioni in bronzo del Bacio, una delle quali è adesso esposta nello stand di Nicolas Bourriaud .
Da Florian Kolhammer di Vienna, una bellissima raccolta di vasi secessionisti dei primi anni del XX secolo, tra i quali uno straordinario e grande esemplare soffiato in stampo e a forma libera dai colori cangianti, realizzato nel 1902 per la vetreria boema Johann Loetz Witwe da Koloman Moser, uno dei maggiori protagonisti della scena artistica viennese fra Otto e Novecento. Dell’architetto e designer Josef Hoffmann, un raro vaso a colonne realizzato nel 1899 per la ditta Phänomen Genre 413, in occasione dell’VIII mostra della Secessione viennese: decorato da Franz Hofstötter, nella sua forma architettonicamente scultorea appare esemplare nel raccontare quella ricerca di stilizzazione assoluta, che sull’esempio dell’Arts and Craft britannico porta alla realizzazione di un’opera totale capace di fondere tutte le arti.
Da Barbara Bassi di Cremona, un’originale bracciale quadrato con palline in oro bianco e giallo, del 2004, del pittore e scultore belga Pol Bury, che dopo un inizio surrealista aderisce nel 1947 al movimento dei Jeune Peinture Belge e successivamente al gruppo CO.BR.A. Le opere di arte cinetica degli anni Sessanta, che si distinguono per un costante effetto di moto rallentato, diventeranno nella fase matura la cifra del suo stile chiaro, rigoroso, ma gioiosamente irriverente.