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God save Van Dyck

La grandezza di una nazione si misura dalla forza della sua identità, una tradizione sedimentata nei secoli, dove l’etnia si amalgama alla cultura storica, politica e culturale. Il senso d’appartenenza fa si che un’opera d’arte non sia solo proprietà di un singolo, ma anche di una comunità, che vede in essa la conferma di una corrispondenza di valori che rendono ogni uomo un cittadino.

Forte di un grandioso passato imperiale, la Gran Bretagna ha estrema cura delle opere d’arte come veicolo di un sentimento di patria che vede la monarchia come il suo paradigma. Molte le campagne intraprese a favore dell’acquisizione dei musei, soprattutto inglesi, di opere dal grande valore iconico che il mercato vorrebbe lontane per sempre.

L’ultima di queste è quella lanciata da Sandy Naime, direttore della National Portrait Gallery di Londra, affinché l’ultimo e meraviglioso autoritratto di Anton Van Dyck dipinto dall’artista nel 1640-41, possa entrare definitivamente nel museo dopo essere stato in una collezione privata per quasi 400 anni.

Valutato inizialmente 12 milioni e mezzo di sterline, ora portati a dieci dal proprietario Alfred Bader, la National Portrait Gallery, il Monument Trust, l’Art Fund, e 8.000 anonimi sostenitori, hanno fin qui raccolto 3.600.000 sterline avendo come scadenza il 20 luglio 2014. Uno sforzo condiviso da tutta la nazione, che l’11 febbraio ha visto il sostegno di Sua Altezza Reale la Duchessa di Cambridge. Un auspicio regale che confidiamo porti a una fausta conclusione.