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HOLBEIN ALLA CORTE DEI TUDOR

La Royal Collection conserva un corpus di opere di Hans Holbein tra i più importanti al mondo, costituito da ottanta disegni e sette dipinti, oltre a quattro miniature. Sono lavori realizzati dall’artista tedesco nei lunghi anni trascorsi in Inghilterra: dal 1526 al 1528 e dal 1532 fino alla morte, forse dovuta alla peste, nel 1543. Un’ampia selezione di queste opere sono ora riunite nella mostra: Holbein at the Tudor Court, in corso alla Queen’s Gallery, un’occasione per ammirare i disegni dell’artista raramente accessibili per ragioni di conservazione.
Sulla scorta del corpus di opere di Holbein nella Royal Collection la mostra segue le vicende dell’artista legate alla famiglia reale e alla società dei Tudor, allargando la visione all’ambiente trovato al suo arrivo a corte: interessanti alcune miniature, un arazzo tessuto a Bruxelles, e su tutti il Busto di fanciullo in terracotta policroma dello scultore modenese Guido Mazzoni (forse commissionato da Enrico VII), e l’armatura di Enrico VIII realizzata da Erasmus Kyrkenar, proveniente dal castello di Windsor.
Il cuore di questo corpus sono i disegni, probabilmente in gran parte acquisiti da Enrico VIII dopo la morte di Holbein, e raccolti in un album, conosciuto come “Great Book”, di cui abbiamo testimonianza scritta a partire dal 1590; i dipinti e le miniature sono invece entrati in Collezione nei secoli successivi. Dopo la scomparsa del sovrano, nel 1547, l’album è documentato a Whitehall Palace nella collezione del giovanissimo erede al trono Edoardo VI. Tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento i disegni sono passati attraverso diverse proprietà, tra cui quella del sovrano Carlo I e del grande collezionista d’arte Thomas Howard, conte di Arundel, per tornare infine alla Corona inglese con Carlo II dopo il 1660. Nei primi decenni del Settecento fu Carolina, regina consorte di Giorgio II, a disperdere l’unità del “Grande Libro” per esporre i disegni tra i palazzi di Richmond e Kensington.
Hans Holbein il Giovane (Augusta 1497 – Londra 1543) era giunto per la prima volta in Inghilterra nel 1526 da Basilea (dove da ragazzo si era trasferito con il fratello per apprendere il mestiere di pittore), dopo aver viaggiato attraverso la Svizzera, la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, introdotto da Erasmo da Rotterdam presso l’umanista e politico inglese Sir Thomas More. Dopo un soggiorno di due anni, nel 1528 era tornato a Basilea, per poi stabilirsi definitivamente a Londra nel 1532. Le ragioni che lo portarono in Inghilterra erano tra l’altro dipese dalla prospettiva di nuove committenze, considerata anche la scarsa domanda di opere sacre dovuta ai venti turbolenti della Riforma, contraria alla raffigurazione di immagini religiose.
“Pittore del Re” Holbein ha creato di Enrico VIII il suo ritratto più iconico, “così realistico da scioccare chi lo guardava”. Il dipinto originale, del 1537, affrescava la parete della camera privata di Enrico a Whitehall Palace e lo raffigura a grandezza naturale insieme ai genitori e alla moglie Jane Seymour. Commissionato a Holbein per celebrare la dinastia dei Tudor, l’affresco è andato distrutto nell’incendio di Whitehall nel 1698. Dal suo ritratto sono derivate numerose copie più o meno prossime al modello originale, per la maggior eseguite da autori anonimi. Holbein ha creato dei Tudor l’immagine imperitura, rimasta insuperata dagli “artisti di corte” vissuti nel suo mito, e che dopo di lui continuarono a rappresentare gli ultimi sovrani della dinastia (Edoardo VI 1537-1553, Maria I 1516-1558 ed Elisabetta I 1533-1603). L’umanista Nicholas Bourbon, grande estimatore di Holbein, parlava di lui come “l’Apelle del nostro tempo” e scriveva: “(…) se tu desideri vedere figure che sembrano vive, guarda quelle che la mano di Holbein ha creato”.
Secondo gli studiosi tutti i disegni, più o meno compiuti, devono ritenersi studi preparatori, anche quelli di cui non sono noti i dipinti: questo li porta a concludere che siano andati perduti. La mostra comprende solo opere della Royal Collection, ma in due casi il confronto tra disegno preparatorio e opera finita è possibile: sono i ritratti di William Reskimer e di Sir Henry Guildford (oltre alla miniatura di Lady Audley), che ci permettono di intuire il processo creativo di Holbein e i dettagli su cui concentrava lo studio dei suoi modelli in vista dell’esecuzione finale. Il disegno è sempre l’espressione più diretta e sincera di un artista; anche in Holbein il raffronto indica questo: nel ritratto ufficiale Guildford appare più formale nella postura e Reskimer più lusinghiero nei lineamenti.
I disegni selezionati per la mostra (quarantadue fogli) rappresentano per la quasi totalità figure storiche legate alla corte di Enrico VIII, ma di alcuni ritratti resta ignota l’identità. Holbein andava oltre la fedeltà fisiognomica per trovare la verità del personaggio, cercando di cogliere la sintesi fra il suo aspetto e il suo ruolo sociale. Elaborava la figura a stadi diversi di esecuzione e tutta la sua attenzione era dedicata allo studio della testa (i lineamenti del viso, il taglio degli occhi, lo sguardo, i capelli e la barba negli uomini, l’incarnato), quasi abbozzando l’abito e la postura del corpo. Fa eccezione nella Collezione il ritratto di Sir John Godsalve, portato molto avanti nella realizzazione per essere solo un disegno preparatorio, rimasto incompiuto e, come la maggior parte dei disegni della Collezione, ancora nello studio dell’artista alla sua morte.
Holbein disegnava con gessetti colorati e rifiniva ad acquarello e inchiostro i particolari. Talvolta a margine del foglio annotava dettagli secondari allo studio della figura, ma importanti per l’esecuzione del dipinto, come la sfumatura gialla da accentuare nell’iride di Sir Richard Southwell (il quadro è conservato alla Galleria degli Uffizi). Anche elementi identificativi dello status del personaggio, come i gioielli, erano elaborati separatamente sul medesimo foglio.
Nel suo primo soggiorno in Inghilterra Holbein non ebbe contatti diretti con la corte, ma con uomini molto vicini a Enrico VIII, le cui committenze giovarono alla sua carriera: tra questi Sir Thomas More (che probabilmente lo ospitò al suo arrivo nel 1526), l’arcivescovo di Canterbury William Warham e Sir Henry Guildford, tra gli amici più intimi del re. Thomas More, uomo fidatissimo di Enrico prima di cadere sotto la sua scure, fu il suo primo importante mecenate a Londra. Sono del 1527 i due ritratti commissionati a Holbein: quello oggi nella Frick Collection, e quello che lo raffigurava con la sua numerosa famiglia. Di questo ritratto di gruppo, distrutto nel 1752 in un incendio dopo diversi passaggi di proprietà, si conserva al Kunstmuseum di Basilea lo schizzo a penna (forse un dono di Holbein a Erasmo al suo rientro da Londra). Di ogni componente della famiglia l’artista aveva realizzato lo studio nella posa che avrebbe avuto nel dipinto. Sette sono i disegni sopravvissuti: quello relativo a Thomas More, pur eseguito sullo stesso tipo di carta, è più grande in scala degli altri sei, e potrebbe appartenere a un fase diversa della lavorazione; l’iscrizione in alto al centro lascia supporre una storia delle provenienze separata dal gruppo di fogli della Collezione. Molto vicino per dimensioni e affinità stilistiche a questo studio è il disegno preparatorio, anche questo a Windsor, per il ritratto di More della Frick Collection.
Tornato definitivamente in Inghilterra nel 1532 la sua fama di grande ritrattista ebbe un’eco immediata e fiorirono i committenti, una élite molto eterogenea di personaggi della società dei Tudor: nobili, politici, riformatori, religiosi, intellettuali, mercanti, proprietari terrieri. Vivere nel regno dei Tudor  non era impresa facile, di certo Holbein fu molto accorto nel manifestare il proprio pensiero politico e religioso in mezzo a continue lotte di potere, intrighi di palazzo, improvvise fortune e definitive sventure.
Nel 1536 Holbein fu nominato “Pittore del Re” con uno stipendio di trenta sterline l’anno (a corte non era l’unico a ricoprire questo incarico) e come tale ritrasse i membri della famiglia. Il regno di Enrico VIII durò dal 1509 al 1547. Tra i disegni di Holbein nella Royal Collection troviamo Anna Bolena (1499-1536), seconda moglie di Enrico e madre della futura Elisabetta I: non conoscendo il dipinto, l’abito informale della regina potrebbe suggerire che lo studio fosse preparatorio per una miniatura. Quello di Anna è l’unico foglio con un verso, sul quale è riprodotto lo stemma di famiglia di Sir Thomas Wyatt, poeta e diplomatico, animatore a corte dell’autorevole circolo di intellettuali intorno alla sovrana, di cui era intimo (in Collezione il suo ritratto). Anna era anche nipote di Sir Thomas Howard, duca di Norfolk, la cui potente famiglia contendeva la corona ai Tudor. Certamente di tutte le consorti di Enrico fu la più influente e molto è stato scritto del suo ruolo nello scisma anglicano. Tra i ritratti delle sventurate regine Tudor anche Jane Seymour (1536-1537), terza moglie di Enrico e madre dell’erede al trono Edoardo VI, la sola a non essere stata né ripudiata né decapitata, ma morta poco dopo la nascita dell’unico figlio maschio del re (del Principe di Galles la Collezione conserva lo schizzo preparatorio per il dipinto della National Gallery di Washington). Seymour è raffigurata in piedi con le mani sul grembo, e sul disegno, uno dei più grandi della Collezione, sono riportate alcune piccole annotazioni del pittore sul tessuto e le decorazioni dell’abito, si suppone per il dipinto del Kunsthistorisches di Vienna; il medesimo disegno si lega anche all’affresco della famiglia reale a Whitehall. Infine, potrebbe essere Katherine Howard (1523-1542), quinta moglie di Enrico, e come Anna nipote del duca di Norfolk, la donna raffigurata da Holbein nel ritratto miniato della Royal Collection: a sostegno di questa ipotesi è il grande gioiello in pietre preziose al collo della regina, lo stesso indossato dalla Seymour nel dipinto di Vienna.
La mostra chiude con il ritratto di Derich Born a ventitrè anni, datato 1533, il cui recente restauro è ampiamente documentato in mostra. Sullo sfondo della tavola ritorna il motivo dei tralci di vite, simbolo dell’immortalità, presenti anche nei dipinti di William Reskimer e Henry Guildford. Derich Born era un giovane mercante tedesco della Lega Anseatica, i cui membri avevano stabilito i propri commerci a Londra, nella zona di Steelyard, sulla riva nord del Tamigi; molti di questi mercanti furono tra i primi importanti committenti di Holbein all’inizio del suo secondo soggiorno in Inghilterra. Sappiamo che Born fece ritorno a Colonia nel 1541, per essere stato espulso da Londra con il fratello maggiore a seguito di una forte controversia con il duca di Suffolk, ma è probabile che il dipinto sia rimasto in Inghilterra. Il suo percorso è documentato a partire dal Seicento: già nella collezione di Carlo I, e forse da lui donato a Thomas Howard, conte di Arundel, risulta nell’inventario delle opere di proprietà di Lady Arundel redatto ad Amsterdam 1655, dopo la sua morte. Acquisito da Carlo II nel 1666, da allora è di proprietà della Corona. La notorietà del dipinto è legata allo straordinario realismo del ritratto (sottolineato anche dalla frase latina incisa sulla balaustra in pietra) e alla nitidezza ottica con cui è reso ogni particolare dell’aspetto e dell’abito di Derich Born. Dal restauro è emerso come Holbein abbia lavorato a lungo sui lineamenti del giovane (le guance e gli zigomi in particolare) fino a rendere il suo volto quasi scolpito, e conferirgli l’espressione altera e penetrante che ancora ci affascina.