DOROTHEA LANGE. RACCONTI DI VITA E LAVORO

dal 19 luglio al 8 ottobre 2023

Dorothea Lange, Migrant Mother, Nipomo, California, 1936

COMUNICATO STAMPA

La mostra Dorothea Lange. Racconti di vita e lavoro, che si compone di 200 immagini ed è curata dal direttore artistico di CAMERA Walter Guadagnini e dalla curatrice Monica Poggi, presenta la carriera di Dorothea Lange (Hoboken, New Jersey, 1895 – San Francisco, 1965), autrice che è stata, come scrisse John Szarkowski, “per scelta un’osservatrice sociale e per istinto un’artista”.
Il percorso di mostra, visitabile dal 19 luglio all’8 ottobre, si concentra in particolare sugli anni Trenta e Quaranta, picco assoluto della sua attività, periodo nel quale documenta gli eventi epocali che hanno modificato l’assetto economico e sociale degli Stati Uniti. Fra il 1931 e il 1939, il Sud degli Stati Uniti viene infatti colpito da una grave siccità e da continue tempeste di sabbia, che mettono in ginocchio l’agricoltura dell’area, costringendo migliaia di persone a migrare. Dorothea Lange fa parte del gruppo di fotografi chiamati dalla Farm Security Administration (agenzia governativa incaricata di promuovere le politiche del New Deal) a documentare l’esodo dei lavoratori agricoli in cerca di un’occupazione nelle grandi piantagioni della Central Valley: Lange realizza migliaia di scatti, raccogliendo storie e racconti, riportati poi nelle dettagliate didascalie che completano le immagini.
È in questo contesto che realizza il ritratto, passato alla storia, di una giovane madre disperata e stremata dalla povertà (Migrant Mother), che vive insieme ai sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse.
La crisi climatica, le migrazioni, le discriminazioni: nonostante ci separino diversi decenni da queste immagini, i temi trattati da Dorothea Lange sono di assoluta attualità e forniscono spunti di riflessione e occasioni di dibattito sul presente, oltre a evidenziare una tappa imprescindibile della storia della fotografia del Novecento.

Dopo Camera la mostra sarà esposta al Museo Civico di Bassano del Grappa dal 21 Ottobre 2023 al 4 Febbraio 2024.

DOROTHEA LANGE. CENNI BIOGRAFICI
Dorothea Lange (Hoboken, New Jersey, 1895 – San Francisco, 1965), si avvicina alla fotografia nel 1915, imparandone la tecnica grazie ai corsi di Clarence H. White alla Columbia University. Nel 1919 apre il proprio studio di ritrattistica a San Francisco, attività che abbandona negli anni Trenta per dedicarsi a una ricerca di impronta sociale e a documentare gli effetti della Grande Depressione. Fra il 1931 e il 1933 compie diversi viaggi nello Utah, in Nevada e in Arizona. Nel 1936 si unisce alla Farm Security Administration (FSA). All’interno di questo progetto epocale realizza alcuni dei suoi reportage più famosi, nonostante alcuni contrasti con Roy Stryker (a capo della divisione di informazione della FSA) in merito alle proprie scelte stilistiche. Nel 1940 ottiene un Guggenheim Fellowship (un importante riconoscimento concesso ogni anno, dal 1925, dalla statunitense John Simon Guggenheim Memorial Foundation a chi ha dimostrato capacità eccezionali nella produzione culturale o eccezionali capacità creative nelle arti.). All’inizio degli anni Cinquanta si unisce alla redazione di Life e si dedica all’insegnamento presso l’Art Institute di San Francisco. Muore nel 1965, a pochi mesi dall’importante mostra che stava preparando al Museum of Modern Art di New York. Fra le esposizioni più recenti si ricordano Politics of Seeing al Jeu de Paume di Parigi nel 2018 e Words & Pictures al MoMA nel 2020.

LA MOSTRA

RACCONTI DI VITA E LAVORO
La mostra racconta, attraverso 200 fotografie, i dieci anni fondamentali di attività di una delle più grandi fotografe del XX secolo, l’americana Dorothea Lange. A partire dal 1935 la fotografa documenta insieme al marito, l’economista Paul S. Taylor, le drammatiche condizioni di vita dei contadini migranti di un’ampia parte del territorio degli Stati Uniti, in particolare dello stato della California. Questo lavoro – che Lange compie assieme ad altri fotografi all’interno di un programma governativo di documentazione denominato Farm Security Administration – permette a Lange di toccare con mano e di raccontare al proprio paese e al resto del mondo i luoghi e i volti di una vera e propria tragedia della povertà, che si condensa nella famosissima immagine della Migrant Mother. Questo lavoro termina sostanzialmente con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nella quale gli Stati Uniti entrano nel 1941, dopo il bombardamento giapponese di Pearl Harbor.
Proprio sulla popolazione americana di origine giapponese è incentrato il secondo grande ciclo di immagini esposto in questa occasione: in seguito alla dichiarazione di guerra, infatti, il governo americano decide di internare in campi di prigionia i rappresentanti della comunità nativa giapponese negli Stati Uniti. Si tratta di un capitolo poco noto e poco edificante della storia americana, che Lange documenta con oggettività, lasciando apparire la sua vicinanza a questi altri vinti, ridotti in povertà e addirittura in prigionia dalle vicende della storia.
Tutte le immagini in mostra provengono dagli archivi della Library of Congress di Washington e dalla Public Library di New York, dove sono conservati i materiali di queste ormai leggendarie campagne fotografiche.

I TEMI DELLE SALE

FARM SECURITY ADMINISTRATION (FSA)
Con il nome di Farm Security Adminstration (FSA) si indica un programma di studio e documentazione – soprattutto fotografica – di un’area degli Stati Uniti colpita, a partire dalla fine degli anni Venti, dalla crisi economica successiva al crollo di Wall Street, dalla siccità e dalle tempeste di sabbia e infine anche dalle alluvioni e dalle esondazioni del fiume Mississippi.
Per documentare la drammatica situazione dei contadini di queste terre, costretti ad emigrare, soprattutto verso la California, in cerca di lavoro, e per comunicare al resto della popolazione americana l’assoluta necessità di aiuti e solidarietà nei confronti di queste persone, il funzionario incaricato dal governo, Roy Stryker, ingaggia alcuni tra i principali fotografi del momento – Walker Evans, Dorothea Lange, Ben Shahn, Russell Lee, Carl Mydans, Willard Van Dike, Jack Delano, Marion Post Wolcott – e li invia in quei territori, dove lavorano per circa tre anni.
Il risultato è un’enorme massa di fotografie, circa 280 mila, che oggi compongono una delle più grandi documentazioni dell’intera storia degli Stati Uniti.

IN CITTÀ
La stessa Dorothea Lange racconta la nascita del suo interesse nei confronti delle fasce più povere della popolazione, ricordando sia stata la visione delle persone che fanno la fila per ottenere un po’ di cibo e del lavoro a convincerla ad abbandonare il suo avviato mestiere di ritrattista fotografica per dedicarsi interamente alla documentazione dell’attualità.
Se la parte più nota del suo lavoro è quella svolta nelle campagne, Lange riprende anche episodi di vita cittadina legati alla crisi economica che caratterizza gli anni Trenta: gli uffici di collocamento presi d’assalto, gli scioperi che si susseguono nel periodo, le manifestazioni di protesta, tutto si sviluppa sullo sfondo delle città e dei paesi degli Stati Uniti, dove anche i cartelli pubblicitari promettono e fanno sognare una vita ben diversa da quella reale.

UN ESODO AMERICANO
“La prossima volta prova il treno”, recita un cartello lungo la strada percorsa da due contadini migranti a piedi, sotto una calura che è facile immaginare, in mezzo a una terra desertica. È concentrato in questa immagine gran parte del senso degli scatti qui esposti, della loro origine e della loro destinazione: la terra inospitale tra Oklahoma, Arkansas e California, battuta dalle tempeste di vento e colpita da una siccità devastante per i raccolti; le persone che tentano di sopravvivere a costo di sacrifici immensi, cercando di non perdere la loro dignità anche di fronte a condizioni di vita umilianti, in accampamenti provvisori; la strada come luogo di vita, in uno spostamento continuo alla ricerca di un terreno da coltivare; la meccanizzazione che invece di essere una risorsa è un’altra delle ragioni della perdita del lavoro.
Tutto questo si trova nelle immagini di Dorothea Lange, nei volti delle sue madri e dei suoi padri, nei vestiti dei bambini, nelle macchine abbandonate sull’orlo delle strade, o ridotte a essere insieme mezzo di locomozione e rifugio per la notte.

GIUNGLE
Fra il 1934 e il 1939, più di 300 mila persone hanno abbandonato la propria casa e la propria terra per cercare un futuro migliore altrove. Dorothea Lange concentra il suo sguardo soprattutto sulla California, dove i migranti trovano condizioni di vita probabilmente peggiori rispetto a quelle lasciate.
Le sue fotografie degli accampamenti improvvisati che puntellano il paesaggio, chiamati in maniera dispregiativa ‘giungle’, mostrano da una distanza ravvicinata l’assenza di cibo, le tende malconce e traballanti, la mancanza di servizi igienici e di accesso all’acqua.

MADRI MIGRANTI
“Seguii l’istinto, non la ragione; entrai in quell’accampamento bagnato e fradicio e parcheggiai la mia auto come un piccione viaggiatore. Vidi e mi avvicinai a questa madre affamata e disperata, come attratta da una calamita. Non ricordo come le spiegai la mia presenza o del perché avessi una macchina fotografica, ma ricordo che non mi fece domande. Ho fatto cinque esposizioni, avvicinandomi sempre di più dalla stessa direzione. Non le chiesi il suo nome o la sua storia. Mi disse la sua età: aveva trentadue anni. Mi disse che sopravvivevano mangiando le verdure congelate dei campi circostanti e gli uccelli che i bambini uccidevano. Aveva appena venduto le gomme della sua auto per comprare del cibo.
Se ne stava seduta in quella tenda a casetta, con i suoi figli accalcati intorno a lei, e sembrava sapere che le mie foto avrebbero potuto aiutarla, e così lei ha aiutato me. C’è stata una sorta di parità.” Dorothea Lange, “Popular Photography” | Febbraio 1960
La protagonista di questo scatto, Florence Owens Thompson, è immobile di fronte all’obiettivo, mentre il figlio che tiene in braccio dorme e gli altri due si appoggiano alle sue spalle dando la schiena alla fotografa. La posa e l’inquadratura richiamano l’icona religiosa della Madonna con bambino e, anche per questo motivo, questa è una delle immagini più famose al mondo. Le madri migranti ritratte da Lange e dagli altri autori della FSA sono però moltissime. I loro volti raccontano non solo la tragedia del presente, ma anche la speranza per il futuro, custodita negli sguardi un po’ spaesati dei bambini che le circondano.

VERSO SUD
A partire dal 1937, Dorothea Lange e Paul S. Taylor viaggiano nel Sud degli Stati Uniti per mettere in luce le condizioni di vita dei braccianti che lavorano al soldo dei grandi proprietari terrieri. Le sconfinate piantagioni di cotone, tabacco e mais sono il luogo in cui si esaspera il divario sociale che in queste zone è ancora molto acuto.
Nonostante negli stessi anni il governo Roosevelt emani il primo atto per limitare la discriminazione, istituendo anche un comitato che garantisca una serie di diritti ai cittadini neri in cerca di lavoro, la maggior parte delle persone vive in condizioni di grave povertà e sfruttamento. Costretti a lavorare la terra per meno di un dollaro al giorno, gli operai agricoli hanno poche possibilità di immaginarsi un futuro migliore.

UN NUOVO INIZIO
Grazie all’imponente lavoro di documentazione realizzato dai funzionari e dai fotografi dell’FSA, il governo inizia a stanziare fondi per migliorare le condizioni di vita dei migranti agricoli. Per sostituire le baraccopoli improvvisate, formate da tende malridotte e rottami di automobili, vengono costruiti degli accampamenti con abitazioni prefabbricate. Qui sono garantiti i servizi essenziali, l’accesso a bagni pubblici, la fornitura di corrente elettrica e una piccola libreria. Per evitare lo sfruttamento e ottimizzare i guadagni, con l’aiuto dei funzionari della FSA, le famiglie di migranti si organizzano all’interno di cooperative agricole.
Nonostante siano sistemazioni lontane dall’offrire una vita confortevole, le foto di Lange mostrano uno scenario completamente diverso rispetto ai precedenti. Le persone ritratte non sembrano più patire la fame e i loro volti sono più rilassati. Le possibilità di lavoro aumentano, si gioca a baseball, i bambini corrono e la vita attorno ai prefabbricati comincia sempre di più ad assomigliare alla normalità.

SONO UN AMERICANO
A seguito dell’attacco alla base navale di Pearl Harbor da parte del Giappone, avvenuto il 7 dicembre 1941, gli Stati Uniti entrano in guerra. Il 18 marzo dell’anno successivo, il governo americano istituisce la War Relocation Autority (WRA), con lo scopo di organizzare il ricollocamento di circa 110.000 persone di discendenza giapponese all’interno di alcuni campi di detenzione allestiti in zone abbandonate semidesertiche, allontanandoli dall’area militare della costa pacifica.
Anche la WRA si dota di un dipartimento fotografico, incaricando diversi autori, fra i quali Dorothea Lange, di documentare tutte le fasi dell’operazione. Lange inizia a lavorare già da fine marzo, raccontando i momenti immediatamente successivi all’emanazione dell’ordine fino alla vita nel Manzanar Relocation Center. Dato che lei e il marito disapprovano pubblicamente questa operazione, il suo lavoro è continuamente sottoposto al controllo da parte dell’esercito: non le è consentito ritrarre il filo spinato, le torri di guardia e i militari armati, e non può conservare i negativi delle sue immagini, tant’è che queste fotografie rimangono a lungo praticamente sconosciute.
I soggetti che ritrae di più sono ragazzini e anziani. I giovani esprimono la propria identità pienamente americana: leggono fumetti americani, giocano con giochi americani, indossano abiti americani e cantano l’inno americano con trasporto e sentimento. Gli anziani, invece, sono vestiti con i propri abiti migliori e attendono con pacata rassegnazione di essere ricollocati. La pericolosità degli uni e degli altri è tutta da dimostrare.