CECCO DEL CARAVAGGIO

dal 28 gennaio al 4 giugno 2023

CECCO DEL CARAVAGGIO
Mostra a cura di Gianni Papi e Maria Cristina Rodeschini

Nell’anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura, Accademia Carrara riapre al pubblico il 26 gennaio 2023 a seguito di un importante progetto di rinnovamento  museale, con la prima mostra mai dedicata a Cecco del Caravaggio (Francesco Boneri 1585 circa – post 1620), allievo e modello del Merisi.

È Amor vincit omnia di Berlino, irriverente e giocoso;
è il sensuale San Giovanni Battista della Capitolina;
è molto probabilmente il chierichetto urlante del Martirio di San Matteo a San Luigi dei Francesi;
è l’angelo nella Conversione di San Paolo delle collezioni Odescalchi;
è David che esibisce la testa tagliata di Golia nel dipinto Borghese, e Golia è Caravaggio.
È «his boy» e «that laid with him», come racconta un viaggiatore inglese a metà del Seicento.
È il pittore che più di altri porta la lezione del maestro a delle conseguenze estreme, libere, anticonformiste.
È l’autore di composizioni che indicano la strada verso un iperrealismo ante literram.
È di certo il più misterioso degli allievi di Caravaggio.

Atipico, insofferente alle regole, destinato a suscitare contrasti e forse inimicizie, sebbene pressocché assente dalle cronache storiche e da quelle giudiziarie (a differenza della maggior parte dei suoi colleghi della cerchia caravaggesca), l’enigmatica figura di Cecco del Caravaggio appare come anticonformista, capace di clamorose novità negli impianti iconografici, virtuoso di una pittura straordinaria, implacabile nella definizione delle forme, dei contorni, nel colore, naturalista oltranzista, audace, iperrealista ante literram, prepotente e privo di timori censori, a tratti esplicito nei rimandi erotici e nei messaggi omosessuali.

Nato molto probabilmente all’interno del territorio bergamasco, viene considerato per anni fiammingo, francese o spagnolo; Roberto Longhi scrive di lui «una delle più notevoli figure del caravaggismo nordico», ora grazie all’aggiornamento degli studi, quel «nordico» deve essere inteso come del Nord d’Italia, e non più d’Europa.

Il caso Cecco del Caravaggio è relativamente recente: i nuovi studi avviati da Gianni Papi a partire dagli anni ’90, così come i traguardi raggiunti, tra questi la scoperta di alcune opere, dimostrano quanto la storia dell’arte sia materia viva e vivace, capace, se perseguita, di rinnovarsi continuamente anche contro quella sorta di damnatio memoriae che ha ben presto colpito le vicende artistiche di Boneri; una specie di trascuratezza sistematica che oggi potrebbe rientrare nell’ampio spettro della Cancel Culture.

Per Cecco non solo vige l’assenza delle fonti ma anche una serie di cattive interpretazioni: all’iniziale confusione rispetto alla sua provenienza, ora però spiegata da Gianni Papi anche grazie ai tanti punti di contatto con la pittura di Giovanni Gerolamo Savoldo (Brescia, 1480 circa – post 1548) che, tra naturalismo e classicismo, può essere considerato il secondo grande ispiratore del nostro, si aggiunge, nei decenni, una spiegazione del suo soprannome assai lontana dal più logico significato e cioè che «del Caravaggio» alluda semplicemente a una dimensione di vicinanza, quasi di appartenenza.

A favore di questa tesi, un viaggiatore inglese presente a Roma intorno al 1650 dice, rispetto al Merisi, di Cecco come «his boy», «that laid with him»; il brano svela molto anche rispetto al fatto che il modello di Amor Vincit Omnia altri non fosse che il futuro pittore Cecco, oltre a dare una conferma alla controversa questione delle inclinazioni omosessuali di Caravaggio.

Quello che è certo è che l’apprendistato nello studio di Caravaggio doveva essere molto diverso da quello delle botteghe fiorentine o romane: pressoché senza regole, gli allievi imparavano a dipingere osservando il maestro, sempre ritraendo modelli dal vero, mescolando mestiere ed esperienze di vita. L’apprendistato di Cecco ripeteva il percorso che era già stato del suo maestro e cioè quello di entrare, ragazzo, nello studio di un artista affermato e proveniente dallo stesso territorio d’origine: Peterzano per Caravaggio, lo stesso Caravaggio per Cecco.

Francesco Boneri vive così a fianco di Caravaggio, viene citato in alcune fonti come «Francesco garzone» o «il suo Caravaggino» o «Francesco detto Cecco del Caravaggio» nella «schola» di Caravaggio insieme a Ribera, Spadarino e Manfredi, a tutt’oggi considerati i quattro pittori più vicini al maestro. Cecco figura come modello per almeno sei dipinti del Merisi, tra cui San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina e David con la testa di Golia della Galleria Borghese, che saranno in mostra.

In questa nuova occasione espositiva, Accademia Carrara torna a occuparsi di inedite storie e indagini attorno a grandi maestri e allievi, come nel 2020 con Tiziano e Caravaggio in Peterzano, confermando impegno e attenzione nei confronti di autori con importanti collegamenti territoriali e culturali alla collezione bergamasca, documentati  da opere di grande qualità ma, a tutt’oggi, non ancora a pieno valorizzati.

Con oltre 40 opere, il progetto per la prima volta raccoglie 19 dipinti autografi dei circa 25 che compongono il catalogo di Cecco, conservati da importanti collezioni pubbliche e private, in Italia e nel mondo.

Il percorso mette in evidenza sia autori, come Merisi e Savoldo, da cui Cecco trasse ispirazione, sia una serie di artisti che furono a lui vicini (tra i quali Valentin de Boulogne, Bartolomeo Mendozzi e Pedro Núñez del Valle), attraverso prestiti da collezioni soprattutto pubbliche: Gallerie degli Uffizi – Palazzo Pitti di Firenze, Museo del Prado di Madrid, Kunsthistorisches Museum di Vienna, National Gallery di Atene, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma, Gemäldegalerie di Berlino, Galleria Borghese e Pinacoteca Capitolina di Roma, Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, Wellington Museum di Londra, Ashmolean Museum di Oxford, per citarne alcune.

La mostra di Bergamo offre, per la prima volta, uno sguardo trasversale e pressocché completo sull’operato di Cecco, riunendo capolavori rivelatisi fondamentali nel percorso di ricostruzione del corpus dell’autore. In particolare, Cacciata dei mercanti dal tempio (1613-1615 circa), proveniente da Gemäldegalerie di Berlino, ha avuto un ruolo essenziale nel determinare il primissimo nucleo di opere da parte di Roberto Longhi e dunque nel definire l’identità del linguaggio pittorico. La tela esprime l’adesione ai grandi maestri: da una parte Caravaggio, nella composizione movimentata e nelle espressioni di terrore delle figure e, dall’altra, Savoldo, nell’atmosfera tagliente e nitida, nei colori puri, nei panneggi contorti e schiacciati. Gianni Papi ha individuato un autoritratto di Cecco nell’elegante ragazzo all’estrema sinistra che, con atteggiamento defilato e un po’ dandy, osserva la scena. Il cappello rosso che indossa il giovane è un tema ricorrente nelle prime opere e lo si può ritrovare, in mostra, anche nelle tele di Varsavia e Bratislava; così come è possibile rintracciare l’elegante foggia degli abiti dei mercanti nei dipinti di figura in prestito da Atene, Londra e Oxford.

Del pittore conosciamo bene il volto anche grazie a Ritratto di giovane con colletto a lattuga, proveniente da Gallerie degli Uffizi – Palazzo Pitti di Firenze nel protagonista dell’Amore al fonte, da collezione privata, oltre che grazie ai due dipinti di Caravaggio presenti in mostra, per i quali, come si è detto, Cecco posò come modello.

All’interno del percorso espositivo, di opera in opera, il linguaggio di Boneri si fa sempre più riconoscibile: nell’esecuzione tormentata dei panneggi, nei bianchi dall’intensità fosforescente, nella precisa definizione degli occhi e delle palpebre e nel nitido disegno delle labbra solcate da una spessa linea che le fa sembrare dischiuse, impegnate in un canto, un sospiro, un grido soffocato.

Se la vita di Cecco è ancora avvolta nel mistero, non si può dire altrettanto, anche grazie a questo progetto curato da Gianni Papi e Maria Cristina Rodeschini, delle influenze che il pittore ha ricevuto ed esercitato, queste ultime soprattutto sulla scena romana e napoletana dell’epoca (si ipotizza infatti che Boneri seguisse Caravaggio nella sua fuga a Napoli dopo l’omicidio di Ranuccio Tomassoni nel maggio 1606). Oltre a quella bergamasca, provincia in cui probabilmente nacque e forse fece ritorno a un certo punto della sua carriera.

Considerato tra i grandi protagonisti della natura morta caravaggesca, insieme a Bartolomeo Cavarozzi e Antiveduto Gramatica, Cecco dovette influenzare anche la ricerca di Evaristo Baschenis (1617 – 1677). Il prete-pittore di origini bergamasche, ampiamente rappresentato nelle collezioni di Accademia Carrara, è certamente debitore della lezione magistrale del Boneri nel realismo dei brani di natura morta e nella resa degli strumenti musicali della serie dei Fabbricanti. In mostra, il confronto tra i due autori è favorito tramite un’opera in prestito e, all’interno del percorso permanente, nella sala dedicata a Baschenis.

Cecco del Caravaggio. L’Allievo Modello, prima esposizione a occupare i nuovi spazi del museo dedicati ai progetti temporanei, oltre a fare luce su un autore importante, restituisce attenzione a quei “pittori della realtà” di origine lombarda – secondo la definizione di Roberto Longhi – ai quali si cerca di restituire il giusto ruolo nel panorama artistico europeo di quegli anni.

Cecco si distingue per una raffigurazione iperrealista e anticonformista, tagliente e inquieta, satura di una materia pittorica densa e lucente. Una cifra stilistica particolare: come lui nessuno maneggia e costruisce interrogativi figurativi (per noi, a distanza di quattro secoli, blindati e criptici), rivestendoli di un esasperato naturalismo.
Gianni Papi, curatore della mostra

La mostra di Cecco presenta un pittore che merita di entrare nell’Olimpo dei più interessanti pittori caravaggeschi italiani. La sua più che probabile origine nel territorio di Bergamo è un motivo in più per aver fatto questa scelta. Inoltre l’interesse del pittore per la magnifica pittura di Savoldo e l’influenza esercitata su Evaristo Baschenis, declina un trait d’union tra Brescia e Bergamo – città e territori che nel 2023 avranno insieme il titolo di Capitale italiana della cultura – di sicura prospettiva.
Maria Cristina Rodeschini, direttore Accademia Carrara