ARTURO MARTINI. I CAPOLAVORI
ARTURO MARTINI. I CAPOLAVORI
Mostra a cura di Fabrizio Malachin e Nico Stringa
COMUNICATO STAMPA
A 60 anni dall’ultima grande mostra trevigiana e a 75 dalla prima, il Bailo, con la curatela di Fabrizio Malachin e Nico Stringa, propone una nuova retrospettiva su Arturo Martini, dal titolo “Arturo Marini. I capolavori”: una mostra mai tentata prima che raduna quelle opere, per dirla con le parole di martini che “pesano tonnellate e sembrano leggere come una piuma”.
Per il pubblico sarà una imperdibile occasione per percorrere tutte le fasi della produzione artistica dello scultore trevigiano e per gli studiosi per formulare il nuovo punto sugli studi martiniani, evidenziando il ruolo e la modernità di Martini nella scultura europea del Novecento.
Martini è stabilmente protagonista al Bailo, grazie all’ampia collezione di sue opere patrimonio del Museo, che datano dalla produzione giovanile agli anni della maturità dell’artista.
Un’opera di Martini, l’Adamo ed Eva dalle dimensioni monumentali, funge da biglietto da visita del Bailo, grazie ad una parete finestrata che la lascia intravvedere, anche ai più distratti passanti sulla pubblica via.
È un capolavoro che Treviso si è conquistata grazie ad una pubblica sottoscrizione indetta nel 1993, giusto trent’anni fa.
Cinque le sezioni in cui si articola questa grandiosa esposizione.
Il percorso prende il via dalla sezione permanente che il Bailo riserva allo scultore. Qui ad essere ripercorsi sono gli anni dell’apprendistato, segnati dall’influsso di maestri come Giorgio Martini (padre del già celebre Alberto) e Antonio Carlini. Di lì a poco giungono le prime mostre a Treviso e a Venezia e i primi riconoscimenti. Poi la lunga permanenza a Monaco e l’influenza di Parigi. Alle sculture, con opere in gesso e in cemento come Maternità e Allegoria del mare e Allegoria della terra si affianca l’importante esperienza grafica e quella ceramica, per la quale appunto collabora con la fornace Gregorj.
Il proseguo della grande mostra è pensato per focus allo scopo di esaltare Martini attraverso i suoi grandi capolavori (seconda sezione).
Come nella mostra del 1967, saranno collocate in apertura il Leone di Monterosso – Chimera, e quel Figlio prodigo che fu scelto come manifesto della mostra. La conformazione fisica del museo consente di riservare ciascuna sala ad un preciso focus intorno ad un singolo capolavoro. Valga come esempio, la sala riservata alla Donna che nuota sott’acqua, di cui sarà dedicato un focus speciale. Per la prima volta sarà presentato, accanto al marmo, anche il bronzo ‘preparatorio’ mentre le tecnologie multimediali restituiranno l’illusione di entrare sott’acqua. Una sala coinvolgente e inattesa sarà dedicata al confronto tra La Pisana e Donna al sole. Due nudi di donna che sono una melodia armonica, il giorno e la notte, avvicinate per la prima volta in un allestimento. Due opera che sono una sublime espressione di quel vortice di sensualità e grazia, sfrontatezza e fascino, che tanto avevano conquistato e ammaliato Martini. E ancora Tobiolo, opera che ottenne per la prima volta unanimi consensi a Milano, Venezia, Parigi. Pubblicato sulla prima pagina del “Corriere della Sera” del 17 maggio 1935, segna una sorta di consacrazione nella carriera di Martini. Al Tobiolo che stringe nelle mani un pesce sarà accostato il più tardo Tobiolo “Gianquinto” che presenta una impostazione iconografica innovativa, in linea con gli esiti della Tuffatrice e il Pugile in riposo.
E ancora, la monumentale Sposa felice del 1930, presentata per la prima volta alla Quadriennale di Roma e da oltre 30 più esposta: un gesto di spontanea esultanza in un tripudio di forme, ornamenti, rigonfiamenti a sottolineare letizia e gaudio.
Altri ambienti saranno riservati ad altri capolavori monumentali, come Il bevitore, Ragazzo seduto (alcune delle grandi terracotta di Martini, di rara potenza espressiva), La veglia eccetera.
Non mancheranno le novità, opere mai viste, come il mastodontico Sacro Cuore (3,20 m di altezza), la prima scultura su tema sacro eseguita dallo scultore. Il gesso, modellato nel 1929 quando si trovava a Monza per la chiesa di Vado Ligure, fu rifiutato perché ritenuto incongruo rispetto ai tradizionali canoni dell’arte sacra: gelosamente conservato dall’artista nella sua casa-museo sarà esposto in una mostra per la prima volta.
Altro gesso assicurato in mostra dalle grandi proporzioni (2,5 metri di altezza) ed esposta nella lontana mostra del 1967 è La Sposa Felice. Comparve per la prima volta alla I Quadriennale di Roma, quella vinta da Martini, è un tripudio di ornamenti, pizzi, rigonfiamento di tessuti. Celebre perché lo scultore stesso (ecco il genio e la pazzia assieme) scalpellò via il volto.
Quasi per celebrare l’ultima grande monografica, quella del 1967, ecco il celebre Tito Livio – il marmo è nell’atrio del Liviano a Padova – sarà in mostra grazie al calco realizzato per quella mostra trevigiana: il gesso recuperato e restaurato sarà affiancato per la prima volta dal suo bozzetto preparatorio.
Molti altri capolavori completeranno questa ampia sezione che occuperà tutto il piano terra del museo, un itinerario fisico sviluppato sugli spazi attorno ai due recuperati antichi chiostri rinascimentali.
La terza sezione sarà interamente riservata alle maioliche, sculture di piccolo formato che documentano la grandezza e la creatività di Martini. Opere minori solo in apparenza: esse esprimono tutta la tenacia e la curiosità con cui l’artista ha sperimentato ogni materiale possibile e fungono da laboratorio per rielaborazioni successive. Una sezione nella sezione sarà dedicata ai pezzi unici modellati e maiolicati presso l’ILCA di Nervi ed esposti nella personale di Monza. È l’affermazione dello scultore-ceramista che realizza opere a sé, staccandosi dalla ‘dipendenza’ delle logiche industriali. ‘Piccoli’ capolavori dove non manca invenzione, armonia e anche ironia. Tra questi: Donna sdraiata, La fuga degli amanti, L’esploratore, Visita al prigioniero, Briganti, fino alla serie di animali dove spiccano poche pennellate di contrasto.
Accanto alle commissioni monumentali Martini si applica, quasi per contrasto, alla creatività in opere di più piccolo formato. La riflessione sull’antico, dopo la visita a Napoli, lo portò a Blevio sul lago di Como a creare in poche settimane una serie di capolavori in gesso dove lo studio sulla costruzione e il movimento della figura portano a soluzioni antitetiche rispetto a quelle monumentali. Ricerche e sperimentazioni, in opere come Centomestrista, Morte di Saffo, Salomone, Laocoonte, Ratto delle Sabine, Susanna, Amazzoni spaventate eccetera, che nella terza sezione consentono di raccontare l’artista in costante ricerca, capace di ispirarsi continuamente e rielaborare in modo del tutto personale.
A Martini pittore è dedicata la quarta sezione. Ad evidenziare come disegno, grafica e pittura siano tracce di una ricerca parallela e complementare alla scultura, evidente nelle cheramografie (termine da lui inventato per stampe da matrici di “sfoglia” d’argilla) degli anni di Ca’ Pesaro e nella grafica “neomedievale” di soggetto religioso, a cui è dedicata anche una sezione della permanente, per l’occasione integrata da opere mai prima presentate in una mostra che riveleranno un aspetto inedito di Martini.
A concludere il percorso è la sezione quinta “La maturità nei capolavori del Bailo”, con una scelta di capolavori sorprendente ed eccezionale. Le prime sale sono dedicate ai bronzi degli anni ’20, piccola plastica e rilievi degli anni ’20, disegno, grafica e pittura. È alla luce del chiostro del Museo, in uno spazio silenzioso e sospeso, che si compie uno dei più poetici capolavori di Martini, La Venere dei porti, in una dimensione che ha a che fare col senso dell’attesa, della solitudine e della noia racchiusi nel malinconico nudo di una donna che aspetta l’Amore. Acquisita dal Comune nel 1933 (90 anni fa), è una delle grandi terrecotte create nel periodo compreso tra la fine degli anni Venti e i primissimi anni Trenta e che costituisce il periodo di più alta ispirazione dell’artista e in cui fonde insieme, in un unicum rivoluzionario, le forme classiche (dall’arte etrusca e greca a quella dei maestri del Duecento e del Trecento) con nuove concezioni plastiche.
Il percorso si conclude in quel chiostro che ospita Adamo ed Eva, l’opera simbolo del Museo e della mostra.
LE RAGIONI DELLA MOSTRA
La mostra, organizzata dal Comune di Treviso e dai Musei Civici, a cura di Fabrizio Malachin e Nico Stringa, intende tributare un omaggio al grande scultore trevigiano (1889 – 1947) cui spetta il merito di aver promosso la rinascita della scultura italiana del ‘900. A 75 anni dall’improvvisa scomparsa, quando non aveva ancora compiuto cinquant’otto anni, ma indipendentemente da ricorrenze che comunque sono tappe cui non si rimane indifferenti, la Città di Treviso si impegna a ricordarlo per il contributo che Martini ha dato all’arte veneta, italiana e universale.
Il 2023 è un anno simbolo anche nella storia della valorizzazione e musealizzazione di Martini a Treviso. Ricorrono infatti i 90 dall’acquisto della grande terracotta, Venere dei porti (1933), e i 30 anni dall’acquisto del colossale gruppo in pietra di Finale, Adamo ed Eva: un acquisto quest’ultimo reso possibile attraverso la partecipazione di migliaia di trevigiani alla raccolta fondi che rese possibile quell’acquisizione, una vera e propria riappropriazione collettiva.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
La mostra si sviluppa in un percorso pensato non in senso cronologico ma per esaltare i vari capolavori, collocandoli negli spazi fisici più adatti ad ospitarli, considerate anche le grandi dimensioni. Questi vengono poi accostati, molto spesso per la prima volta, alle opere di medesimo soggetto della giovinezza o della maturità artistica, privilegiando così una esposizione per focus tematici. Così, ad esempio, il Figliuol prodigo in bronzo sarà affiancato dal gesso bidimensionale del 1913-14 e dalla terracotta della maturità, o il Tobiolo con il bozzetto che lo ispirò e dal Tobiolo della maturità.
La tematicità è quindi una delle caratteristiche del percorso, non l’unico. Una seconda interpretazione del percorso segue una ideale linea temporale nella ricerca scultorea martiniana, dalle prime sperimentazioni giovanili alle grandi opere in bronzo, dai capolavori della ‘stagione del canto’ – le terracotte – fino ai marmi e agli esiti estremi degli anni ’40. Un percorso dal classico alla sperimentazione fatta di pieni, vuoti, ombre eccetera.
La mostra è stata l’occasione per operare anche alcuni restauri. Di interventi manutentivi sono stati oggetto: Figliuol prodigo, la Sposa felice, il Ciclo di Blevio, il Sacro Cuore, solo per citare le maggiori.
SEZIONE 0 – IL GIOVANE MARTINI (sezione permanente)
Una sala introduce la figura di Arturo Martini, le sue prime opere e la formazione. Questa sezione si sviluppa però più ampiamente nella sezione permanente al primo piano del Museo che rimane un momento di visita imprescindibile per conoscere la formazione e la rapida evoluzione di Martini. Le opere qui raccolte ci svelano le origini del talento di uno dei maggiori scultori del XX secolo, Arturo Martini, ripercorrendo ampiamente la sua fase giovanile fino alla prima maturità. Comincia il viaggio in un racconto a tre dimensioni, quelle della materia pulsante che prende vita tra le sue mani e da cui nascono capolavori espressione diretta e lucida del suo genio creativo. Ripercorriamo gli anni dell’apprendistato, segnati dall’influsso di maestri come Giorgio Martini (padre del già celebre Alberto) e Antonio Carlini, dal quale impara le tecniche della formatura; esempio di questa esperienza è il sorprendente Ritratto di Fanny Martini, ma anche Armonie, il Ritratto Antonio Scarpa. Entriamo così nella stagione più prolifica del grande scultore trevigiano. Di lì a poco infatti si terranno le prime mostre a Treviso e a Venezia, dove Martini ha l’occasione di proporre le sue opere e ottiene i primi riconoscimenti (Equilibrio/contrabbassista, Il poeta/Libero pensatore). E poi lo seguiamo nei suoi viaggi, uno stimolo per confrontarsi con i nuovi orizzonti e i nuovi linguaggi internazionali: la lunga permanenza a Monaco di Baviera e l’influenza di Parigi. Nuovi orizzonti che mostrano i loro frutti nella produzione degli anni a ridosso e durante la prima guerra mondiale, caratterizzati dall’impiego di ogni forma espressiva. Alle sculture, con opere in gesso e in cemento come Maternità e Allegoria del mare e Allegoria della terra (per le loro dimensioni collocate nel chiostro al piano terra), si affianca l’importante esperienza grafica e quella ceramica, per la quale appunto collabora con la fornace Gregorj. Troverà nel proprietario, Gregorio Gregory, un mecenate e un sostenitore che lo guida nella sperimentazione tecnica, segnando profondamente la sensibilità dello scultore che in quella materia trova la pienezza plastica e interpretativa che culminerà, negli anni della maturità, in opere vigorose e potenti.
SEZIONE 1 – I GRANDI CAPOLAVORI
La mostra non avrà un percorso e una narrazione strettamente cronologica, ma è pensata per focus allo scopo di esaltare Martini attraverso i suoi grandi capolavori. Per ciascuna opera è quindi programmato il migliore allestimento, in un rapporto costante con gli spazi rinnovati che li ospiteranno. Obiettivo è quindi, più che di ‘sbalordire’, emozionare. Il primo coup de théâtre si avrà entrando al museo: nell’ampio androne, caratterizzato da un’architettura moderna e da una luce zenitale naturale proveniente dai lucernai, saranno collocate opera di grandi dimensioni e simboliche, come ad esempio Il figlio prodigo: un punto fermo nella scultura del Novecento, un’opera capitale anche per il rapporto tradizione-modernità che si esalta in quel momento che precede l’abbraccio: il momento in cui padre e figlio si ritrovano dopo molto tempo, il primo si rende conto della fragilità del giovane mentre il secondo vede per la prima volta un padre anziano, debole, cieco. Un colloquio tra generazioni, tra giovinezza e vecchiaia. La riconciliazione tra padre e figlio è carico di forti valenze artistiche ed emozionali: paradigma del ritorno all’ordine, ma anche ideale ritorno dello scultore in quella città natale che non sempre l’ha capito.
Un omaggio a Carlo Scarpa sarà quindi l’ingresso al museo. Come nella mostra del 1967, saranno collocate in apertura il Leone di Monterosso – Chimera, e quel Figlio prodigo che fu scelto come manifesto della mostra. La conformazione fisica del museo consente di pensare in ogni sala un allestimento ad hoc. Ed ecco allora, ad esempio, che per un altro grande capolavoro, Donna che nuota sott’acqua, sarà dedicato un focus speciale. Per la prima volta sarà innanzitutto presentato il bronzo ‘preparatorio’ accanto al marmo, ma grazie alle tecnologie multimediali ci sarà un allestimento scenografico, restituendo l’illusione di entrare sott’acqua con le immagini storiche del film che ispirarono Martini.
E ancora il confronto tra La Pisana e Donna al sole. Due tra le più magiche sculture dell’immaginario figurativo martiniano che hanno avuto grande fortuna critica: Due nudi di donna che sono una melodia armonica, il giorno e la notte, avvicinate per la prima volta in un allestimento che attraverso le luci promette di emozionare. Due opera che sono una sublime espressione di quel vortice di sensualità e grazia, sfrontatezza e fascino, che tanto avevano conquistato e ammaliato Martini.
E ancora Tobiolo, opera che ottenne per la prima volta unanimi consensi a Milano, Venezia, Parigi. Pubblicato sulla prima pagina del “Corriere della Sera” del 17 maggio 1935, segna una sorta di consacrazione nella carriera di Martini. Al Tobiolo che stringe nelle mani un pesce viene accostato non solo il bozzetto di Herta Wedekind Ottolonghi, ma anche il più tardo Tobiolo “Gianquinto” che presenta una impostazione iconografica innovativa, in linea con gli esiti della Tuffatrice e il Pugile in riposo.
Allo stesso modo saranno riservati ambienti dedicati agli altri capolavori monumentali, come La veglia (una riflessione spaziotemporale incredibile, con quella finestra che evoca, e rappresenta, una quarta dimensione), il Sacro Cuore e la Sposa felice (riflessioni neobarocche realizzate a Monza).
Non mancheranno le curiose novità, come ad esempio quella dedicate al celebre Tito Livio. In occasione della citata mostra del 1967 fu realizzato un calco del marmo, oggi nell’atrio del Liviano a Padova: il gesso recuperato e restaurato sarà presentato accanto al suo bozzetto preparatorio. Molti altri capolavori completeranno questa ampia sezione che occuperà tutto il piano terra del museo, un itinerario fisico sviluppato sugli spazi attorno ai due recuperati antichi chiostri rinascimentali.
SEZIONE 2 – LE MAIOLICHE
La grandezza di Martini, vertice indiscusso di ricerca e di espressione, è documentata anche attraverso le sculture in piccolo formato, come le maioliche (tra le altre, il museo espone, ad esempio, il Piccolo presepe in maiolica policroma). Solo in apparenza sono opere minori: esse esprimono tutta la tenacia e la curiosità con cui l’artista ha sperimentato ogni materiale possibile e fungono da laboratorio per rielaborazioni successive, testimoniando l’adesione al movimento di “Valori plastici” di Mario Broglio. A questa produzione sarà riservata una sezione speciale, in particolare a quei pezzi unici modellati e maiolicati presso l’ILCA di Nervi ed esposti nella personale di Monza. Queste sono una novità nella produzione martiniana: pezzi unici, appunti, rispetto alla produzione in serie che aveva caratterizzato le ideazioni precedenti per Labò e per Trucco, o Gregorj (queste ultime citate nella “sezione 0”). E’ l’affermazione dello scultore-ceramista che realizza opere a sé, staccandosi dalla ‘dipendenza’ delle logiche industriali. ‘Piccoli’ capolavori dove non manca invenzione, armonia e anche ironia. Tra questi: Donna sdraiata, La fuga degli amanti, L’esploratore, Visita al prigioniero, Briganti, fino alla serie di animali dove spiccano poche pennellate di contrasto.
SEZIONE 3 – IL CICLO DI BLEVIO
Accanto alle commissioni monumentali Martini si applica, quasi per contrasto, alla creatività in opere di più piccolo formato. La riflessione sull’antico, dopo la visita a Napoli, lo portò a Blevio sul lago di Como a creare in poche settimane una serie di capolavori in gesso dove lo studio sulla costruzione e il movimento della figura portano a soluzioni antitetiche rispetto a quelle monumentali. Ricerche e sperimentazioni, in opere come Centomestrista, Morte di Saffo, Salomone, Laocoonte, Ratto delle Sabine, Susanna, Amazzoni spaventate eccetera, che in questa sezione consentono di raccontare l’artista in costante ricerca, capace di ispirarsi continuamente e rielaborare in modo del tutto personale.
SEZIONE 4 – MARTINI PITTORE
Il disegno, la grafica e la pittura sono le tracce di una ricerca parallela e complementare alla scultura, evidente nelle cheramografie (termine da lui inventato per stampe da matrici di “sfoglia” d’argilla) degli anni di Ca’ Pesaro e nella grafica “neomedievale” di soggetto religioso, a cui è dedicata anche una sezione della permanente. In questa sezione troveranno posto oltre 30 dipinti mai prima presentate in una mostra che riveleranno un aspetto piuttosto inedito di Martini.
SEZIONE 5 – LA MATURITA’ E I CAPOLAVORI DEL BAILO
Il percorso di mostra ci porterà in conclusione in un ambiente dedicato alle sperimentazioni estreme di Martini in senso cubista (allora inedite in Italia), una scelta di capolavori, come Scomposizione di toro, Cavallo allo steccato, Atmosfera di un a testa, rappresentano la fase che porterà alla crisi martiniana intorno alla “scultura lingua morta”.
Nelle sale situate a est del chiostro, in corrispondenza al rinnovato giardino: è questa la preziosa cornice architettonica in cui possiamo ammirare la sezione monografica dedicata agli anni della piena maturità di Arturo Martini, con una scelta di capolavori sorprendente ed eccezionale.
Le prime sale sono dedicate a I bronzi degli anni ’20, piccola plastica e rilievi degli anni ’20, disegno, grafica e pittura: qui possiamo ammirare opere fondamentali che testimoniano tra l’altro il fervido collezionismo trevigiano tradotto in molteplici lasciti al Museo. È alla luce del chiostro, in uno spazio silenzioso e sospeso, che si compie uno dei più poetici capolavori di Martini, La Venere dei porti, in una dimensione che ha a che fare col senso dell’attesa, della solitudine e della noia racchiusi nel malinconico nudo di una donna che aspetta “l’Amore”. Acquisita dal Comune nel 1933 (la mostra cade a 90 anni da questa acquisizione, oltre che a 30 anni da quella del gruppo di Adamo ed Eva), in occasione della mostra d’arte trevigiana, è una delle grandi terrecotte create nel periodo compreso tra la fine degli anni Venti e i primissimi anni Trenta e che costituisce il periodo di più alta ispirazione dell’artista e in cui fonde insieme, in un unicum rivoluzionario, le forme classiche (dall’arte etrusca e greca a quella dei maestri del Duecento e del Trecento) con nuove concezioni plastiche. Il percorso si conclude in quel chiostro che ospita l’opera simbolo del museo, Adamo ed Eva.
IL LEGIONARIO FERITO
Martini, dalla retorica celebrativa al Palinuro, primo monumento italiano alla Resistenza.
Esposto per la prima volta il Legionario ferito
La mostra “Arturo Martini. I capolavori” aggiunge al fitto elenco di prestigiosi prestiti una scultura mai vista prima, rimasta da più di 80 anni protetta, quasi nascosta dopo l’unica apparizione alla Quadriennale di Roma del 1939, nella casa museo di Vado Ligure.
Si tratta del marmo Legionario ferito, realizzato dallo scultore trevigiano nel 1936-37 (il gesso), al più tardi entro il 1938 il marmo. L’opera – commenta uno dei curatori, Fabrizio Malachin – s’inserisce in quel clima di entusiasmo successivo alla guerra d’Etiopia, quando la ritrovata pace era portatrice anche di attese di nuove commissioni pubbliche. Gusto ancora retorico in quel legionario raffigurato seduto, gambe divaricate e braccia sollevate, mentre si sta fasciando il braccio: potente quel gesto, tra collera e impotenza, portato in una dimensione monumentale e che richiama, nel particolare della benda tesa nello spazio, quanto aveva fatto Antonio Canova nel “Dedalo e Icaro” con il filo di ferro!
La presenza in mostra di quest’opera – dichiarano i curatori – consente di approfondire, decantate le passioni politiche, un decennio fondamentale dell’attività artistica di Arturo Martini, quello che intercorre tra la metà degli anni ’30 e gli anni ’40. Quello sguardo rivolto in alto, al futuro, sembra del resto anticipare una ricerca che porterà al “Palinuro”: marmo dedicato al partigiano Primo Visentin, detto “Masaccio”, caduto a Loria il 29 aprile 1945, che si trova al Palazzo del Bo di Padova. Se il “Legionario” esprime in quello sguardo sollevato l’aspirazione verso un futuro migliore, lo stesso concetto è esaltato nel “Palinuro” dove non c’è alcuna retorica, ma prevale il ‘concetto’, come di continuo si sforzava di fare Antonio Canova: il monumento celebrativo non deve essere incentrato su un’apoteosi del personaggio da commemorare, ma evidenziare, appunto, un concetto che gli fosse connesso. E qui siamo nell’ambito del raggiungimento della ‘Liberazione’ grazie alle azioni di numerosi eroi. È il primo monumento alla lotta partigiana in Italia, a quella Liberazione dal nazifascismo che Visentin non vide, visto che fu assassinato pochi giorni prima della definitiva liberazione, mentre stava intimando la resa a un gruppo di tedeschi in fuga.
“Legionario” e “Palinuro”, lontani nella sensibilità, esemplificano però quella straordinaria capacità di Arturo Martini di narrare per immagini con grande potenza: icone di periodi e momenti creativi diversi.
Nel primo si collocano importanti commissioni pubbliche. Al 1937, risale ad esempio l’altorilievo per il Palazzo di Giustizia di Milano progettato da Marcello Piacentini. Il suo rilievo sulla “Giustizia corporativa” era affiancato dalle visioni della “Giustizia biblica” e della “Giustizia romana”, illustrate da Arturo Dazzi e Romano Romanelli. Opera ricca di significati allegorici interpretati in chiave mitica, più espressiva che simbolica e perciò potente e poetica: un giudizio universale laico con la Giustizia assisa come Giudice tra scene bibliche con Adamo ed Eva e il Figliol Prodigo, vale a dire tra i grandi temi resi celebri proprio dai suoi grandi gruppi scolpiti qualche anno prima (presenti in mostra). Le fatiche fisiche richieste da questa grande opera in marmo ebbero come conseguenza una lunga convalescenza e aprirono le porte a una nuova forma espressiva, la pittura, sperimentata inizialmente a Burano, dove sentimento e poesia prevalgono in opere che vedono il Martini pittore posizionarsi tra i giovani della nuova generazione in chiave fortemente espressiva.
Ma le nuove commissioni lo riportarono a Milano, dove le sue opere vennero richieste per l’Arengario in piazza Duomo a Milano, sul tema della storia cittadina. Molto lontano dalla Giustizia Corporativa, il rilievo è appiattito con effetti d’intaglio da primitivo che gli consente di allontanarsi dalla facile retorica per forme utili al racconto. Per i sospetti dovuti alle numerose commissioni pubbliche (Athena per l’Università La Sapienza a Roma, il Tito Livio per il Liviano di Padova, il bassorilievo Pegaso per il Palazzo delle Poste a Savona, la Vittoria alle Poste di Napoli eccetera) l’artista subì un processo d’epurazione nel 1945.
“Legionario” e “Palinuro” – concludono Malachin e Stringa – sono così l’esempio di come Martini non possa essere classificato in schemi rigidi: artista che sapeva cogliere le opportunità, certo, ma senza mai rinnegare se stesso. Dallo stesso blocco di marmo nasce, ad esempio, il “Tito Livio” e (da una grande scheggia di risulta) la “Donna che nuota sott’acqua”, entrambe documentate in mostra. Più che opera monumentale in linea con quell’epoca, il “Tito Livio” è un eroe romantico con quell’atteggiamento meditativo, mentre in opere come “Donna che nuota sott’acqua” Martini raggiunge vertici assoluti: quella scultura acefala, dove esaspera il concetto di spazio, è tra le più importanti opere del Novecento e restituisce alla scultura italiana il primato in Europa.