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Classico moderno rampante

di Alberto Serra

Una sorta di memoria storica percorre ciclicamente l’arte, pura o decorativa, come la si voglia intendere. L’individuazione di una “classicità” come esempio da cui attingere arriva ai giorni nostri con una fioritura di arredi che s’ispirano alle linee tipiche del boom economico del dopoguerra, quasi a suggerirci una serenità che sempre meno percepiamo all’esterno.
Da sempre la pratica artistica usa un repertorio di figure e schemi, soprattutto con un periodico ritorno d’interesse verso l’arte cosiddetta classica e le sue successive rielaborazioni, generando un lessico perpetuo e universale di formule e gesti.
Il recupero di un linguaggio artistico, il revival o il rimando, il riuso stilistico, non sempre denunciano una mancanza di indirizzo, anzi, e spesso diventano temi che legittimano una determinata stagione storica.
Per ovvie ragioni storico-artistiche, la seduzione del classico in Italia riveste un ruolo chiave. Negli anni tra le due guerre assistiamo sia a una visione del classico inteso come “autenticità”, come forza rigenerante a cui guardare, sia alla sua rielaborazione in chiave moderna che, filtrata dalle esperienze precedenti delle avanguardie del futurismo e della metafisica, attraversa tutte le arti visive e “applicate”.
Nel corso degli anni ’30 il mobile italiano si trova diviso in due principali correnti: una razionalista, di matrice nordeuropea e di ambito universale, e un’altra di ispirazione classica, declinata in forme a volte assai diverse e di destinazione principalmente borghese e di rappresentanza.
Quello che è abitualmente definito stile Novecento, è identificato da strutture semplici o semplificate, a volte rigorose e monumentali, quando non massicce e pesanti soprattutto nelle declinazioni più ordinarie. La caratterizzazione è più affidata alle superfici, alle decorazioni aggiunte, agli elementi prettamente architettonici.
L’uso delle radiche e della pergamena, l’intarsio, l’intaglio, i metalli ed i nuovi materiali partecipano attivamente nel rivestire ed arricchire la struttura.

In ogni caso quanto più alta la committenza o la destinazione tanto più vi è la ricerca di una personalizzazione, di una specificità, di un particolare uso della decorazione.
Nonostante le indipendenti, ma non slegate, creazioni di Gio Ponti, del Gruppo del Labirinto e di pochi altri, dove il classico è spesso mediato da un occhio più attento alla linea grafica e alla lezione francese, lo stile Novecento ha fondamentalmente permeato il gusto dell’arredamento di quegli anni.
In quest’ambito si colloca il mobile da sala, commissionato dalla famiglia Baracca negli anni Quaranta del secolo scorso.
L’esponente più celebre della famiglia, Francesco Baracca, è stato il più importante asso dell’aviazione italiana della I guerra mondiale. Il padre Enrico era uomo d’affari e proprietario terriero, mentre la madre era la contessa Paolina de Biancoli.
Baracca, celebre e osannato già in vita, con la scomparsa assurge nel Pantheon degli eroi nazionali. Alla sua morte, avvenuta durante un’azione di mitragliamento sul Montello nel giugno del 1918, seguiranno esequie con elogio funebre pronunciato da Gabriele D’Annunzio.
A Lugo di Romagna, sua città natale, fu inaugurato nel 1936 quello che viene definito il più metafisico monumento d’Italia.
Lo scultore faentino Domenico Rambelli realizza una statua in bronzo issata su un basamento, che riporta le date e le località delle vittorie dell’aviatore; accanto, un’ala rivestita di travertino reca scolpiti i simboli dei reparti cui Baracca appartenne in Cavalleria e Aeronautica: l’ippogrifo ed il cavallino rampante.
Nel 1923 Enzo Ferrari, vincitore di un Gran Premio proprio in Romagna, ha l’occasione di incontrare la contessa Paolina, che gli propone di utilizzare il Cavallino Rampante sulle sue macchine, sostenendo che avrebbe portato fortuna. Sarà l’inizio della storia di uno dei marchi più conosciuti al mondo.

Bruno Paolini, Mobile contenitore, Pannelli in legno di acero intagliati con essenze diverse; cristallo specchiato blu inciso a getto di sabbia. Esecuzione di Giuseppe Anzani nel 1943 Stima € 8.000 – 10.000

Costruito con un impianto puramente architettonico, senza sostegni e senza variazioni di linee, gioca essenzialmente sui volumi.
Rilevato da una cornice in vetro specchiato ed inciso a motivi floreali, il corpo centrale rivestito in radica è rigorosamente suddiviso da pannelli intarsiati che mimetizzano gli sportelli di diverse altezze.  Bocchette e cerniere, elementi “meccanici”, sono essenziali e non partecipano volutamente ad un impianto pulito e razionale.
Un’impostazione così architettonica, nel pieno spirito del tempo, declina quindi la sua specificità nel rivestimento e nella decorazione.
Il vetro, materiale principe del periodo, assurto a materiale nobile nell’uso domestico, in questo caso è cornice che valorizza ed illumina il contenitore vero e proprio. La decorazione incisa a ruota ed a getto di sabbia con un delicato motivo di fiori, stelle e nubi crea una sorta di giardino notturno grazie al colore scuro di fondo ed all’abile gioco di sfumature di notevole perizia artistica, di probabile esecuzione della più importante e celebre ditta del periodo, Fontana Arte.
Il fronte di ogni sportello, rivestito in radica chiara a macchia aperta, è impreziosito da intarsi rappresentanti vedute ed allegorie. Di chiara ispirazione agli intarsi degli arredi lignei dell’Italia centro settentrionale rinascimentale, sono qui ripresi in chiave moderna.
I quattro pannelli centrali presentano vedute architettoniche di monumenti e luoghi simbolo della città di Lugo. I fabbricati sono artificiosamente ricomposti in un collage di rigide prospettive, scorci dal taglio fotografico, alzate ed appiattimenti prospettici. Vi si riconoscono i principali monumenti di Lugo: le chiese, la Rocca Estense, il Pavaglione, la sede della moderna Cassa di Risparmio ed il monumento a Francesco Baracca. Simboli della storia, dell’arte, ma anche dell’ardimento e dell’operosità.
Gli altri quattro pannelli riproducono invece le allegorie di Letteratura, Musica, Architettura e Pittura. In uno di essi sono riportate la data, il 1943, e le firme degli artefici: l’architetto Bruno Parolini e l’intarsiatore Giuseppe Anzani.
Poco si conosce di Bruno Parolini. Partecipa al concorso per la sistemazione della nuova via Roma a Bologna del 1936 ed opererà in particolare nell’ambito del restauro, guadagnandosi il plauso dell’allora sovrintendente Alfredo Barbacci, e della ricostruzione dei centri minori nel ravennate e nel ferrarese con Giuseppe Vaccaro.
Giuseppe Anzani apre la propria bottega di intaglio a Mariano Comense già nel 1898. Passato all’intarsio, pare dopo aver visto il coro di Capoferri nella chiesa di S. Maria Maggiore Bergamo, si dedica inizialmente alle copie dei mobili intarsiati settecenteschi tipicamente lombardi. Con lo sviluppo dell’interesse alla decorazione ed alla personalizzazione dell’arredo di stile Novecento, nel corso del ventennio che va dagli anni Trenta ai Cinquanta, collabora attivamente con architetti ed artisti per la produzione di pannelli intarsiati da montare su arredi realizzati su commissione.
Paolo Buffa, Giovanni Gariboldi, Ottavio Cabiati, Antonio Cassi Ramelli, Osvaldo Borsani, sono solo alcuni dei molti artisti ed architetti che a lui si rivolgono, e numerosi documenti attestano le partecipazioni a esposizioni nazionali e internazionali. Ancora nei primi anni Cinquanta parteciperà alla realizzazione di pannelli decorativi per la nave Andrea Doria.

Siamo quindi davanti ad un esempio di arredo in cui le caratteristiche dei materiali, l’attenzione ai volumi ed alla raffinatezza formale, l’interpretazione dell’arredo rispetto al contesto, la tradizione unita all’esperienza ed al mestiere, rappresentano al meglio gli elementi che identificano il miglior disegno italiano del mobile di quel periodo.
Questo fatto, unitamente alle proporzioni inusuali – alto 294 cm e profondo solamente 34 -, indicano che il mobile è stato probabilmente concepito come elemento inserito in un preciso ambito architettonico e spaziale di arredamento, con una destinazione di oggetto emblematico e carico di forza rappresentativa.
Pur situandosi in un periodo storico ed artistico oggettivamente difficile, ormai prossimo ad un forte rinnovamento , non vi si trovano le tipiche cadute ed i manierismi che preludono alla decadenza. Il richiamo agli stilemi classici ricomposti in volumi puri, la sintesi e semplificazione geometrica, dimostrano l’assimilazione degli esempi di Giovanni Muzio, Piero Portaluppi, Giuseppe de Finetti.
Le tarsie architettoniche, di straordinaria qualità esecutiva e perizia tecnica, devono molto alla figura significativa e centrale di Sironi nell’arte del periodo tra le due guerre, in un ideale dialogo continuo con i capolavori degli intarsi rinascimentali. Infine, le Allegorie delle Arti, in perfetta sintonia con le nature morte a trompe l’oeil di Gregorio Sciltian.
La sua caratteristica di “fuori serie” è data dalla perfetta sintesi di un percorso nato due decenni prima.
A partire dagli anni Venti è fortissima in Italia la spinta a coniugare arte ed artigianato. In pochi anni assistiamo, ad opera del curatore del Museo del Castello Sforzesco di Milano  Guido Marangoni, alla nascita del “Consorzio Milano-Monza-Umanitaria per le Università delle arti decorative” (1921), ed alla inaugurazione nel 1923 della “Prima mostra biennale internazionale delle arti decorative”, che, alternandosi con la Biennale d’Arte di Venezia,  rivendicava l’utilità dell’arte decorativa e l’applicazione delle tecniche industriali moderne alle arti tradizionali. Nel consiglio direttivo troviamo Carrà e Sironi, Gio Ponti e Margherita Sarfatti.
Lo stesso Marangoni sarà il fondatore e primo direttore della rivista “La Casa bella” nel 1928, lo stesso anno della nascita di “Domus” diretta da Gio Ponti, formidabili vettori di conoscenza, di esempi ed anche di confronti con quanto avveniva all’estero.
Nel 1925 viene inoltre costituito l’organismo governativo “Ente Nazionale dell’Artigianato e delle Piccole Industrie” (ENAPI) col preciso compito di far collaborare artisti ed architetti con le medie e piccole imprese artigianali italiane nella realizzazione di manufatti “moderni”.
Allo scopo di far conoscere e promuovere le tradizioni locali, si istituì una rete finalizzata al supporto delle piccole aziende italiane in tutti gli ambiti operativi: dalla consulenza tecnica, economica, artistica e commerciale agli aiuti di tipo finanziario. Gli uffici ENAPI sono presenti in ogni capoluogo di Regione per poter agire più a contatto con le aziende associate. Presente alle Biennali e Triennali di Monza e Milano sin dal 1927, organizza o partecipa a fiere in Italia e all’estero, finanzia e crea eventi, indice concorsi che vanno dall’arredamento di una casa di campagna ai mobili in alluminio e leghe leggere. Grazie ad esso si completerà il circolo virtuoso che permette di mettere in contatto architetti come Franco Albini, Luigi Figini, Adalberto Libera, Agnolodomenico Pica e Paolo Buffa ed artisti come Giovanni Guerrini, Napoleone Martinuzzi o Bice Lazzari con artigiani preparati e motivati ed inseriti pienamente nella realtà artistica del tempo. Nonostante si possa vedere in tale metodo la separazione della figura dell’ideatore dall’esecutore senza la predisposizione di una produzione in serie, innegabilmente si è trattato di un percorso che ha saldato un definitivo incontro degli artigiani con gli artisti, portando un linguaggio “alto” verso l’artigiano proto industriale e gli architetti verso un rapporto diverso nei confronti della realizzazione dei loro disegni. Questo mobile straordinario rappresenta uno degli ultimi esempi di un modo di intendere l’arredo tra le due guerre che tuttavia non si esaurirà immediatamente con la ricostruzione, e gli arredi di Borsani e di Scremin ne sono un chiaro esempio. Da ora in poi fattori economici e sociali indirizzeranno la richiesta sempre più verso il mobile “di serie” ma, comunque lo si voglia vedere, il sentimento della qualità e l’abitudine al dialogo tra progettista e realizzatore  saranno basi fondamentali all’avvio di un’epoca felice per il design italiano.