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L’infinito GRAND TOUR

Nisida vista da Posillipo… È come se il passo rapido del viaggiatore, che percorre incessantemente le strade del Grand Tour, si fosse infine fermato in questo luogo di delizie, Pausilypon, incantato dello spettacolo del golfo, con le sue acque trasparenti, la cui calma non sembra disturbata dall’attività dei pescatori che ripetono instancabilmente i loro gesti secolari.

Il golfo di Napoli costituisce uno dei luoghi comuni sia della tradizione topografica napoletana, che del paesaggismo settecentesco con le sue vedute souvenirs. Lo sa bene lo svizzero Ducros (Moudon, 1748 – Losanna, 1810), abituato, da una lunga permanenza nella Penisola, alle richieste, spesso convenzionali, del mercato del Tour. Eppure in questo strepitoso omaggio alla bellezza del luogo, l’artista non rinuncia a sfoggiare la sua inventiva. Innanzitutto nella rappresentazione del sito: non una veduta panoramica della baia con sullo sfondo un Vesuvio fumante e in primo piano qualche scorcio di città con monumenti ben riconoscibili, ma l’isolotto di Nisida, con il castello Piccolomini, e la scogliera tufacea di Posillipo, monumentalizzata dalla scelta del punto di vista ribassato della cala di Trentaremi. Il tutto reso attraverso una composizione diagonale di matrice piranesiana e un effetto di profondità di campo. Il pittore – abituato al rilievo accidentato delle sue Alpi natie – è attratto da queste ruvide rocce scoscese, che appaiono, sotto il suo pennello, quasi minacciose, preannunciando il gusto romantico per il luoghi inospitali (montagne, grotte, precipizi…) e segnando un’evoluzione rispetto all’interesse illuministico verso i siti ameni della Campania Felix della generazione precedente. Bisognerà comunque attendere l’inizio dell’Ottocento e l’avvento di una nuova sensibilità perché gli artisti – quali Bidault, Turpin de Crissé o Corot – soccombano al fascino del paesaggio più aspro e selvaggio delle isole del golfo, della penisola sorrentina o della costiera amalfitana.

Quando Ducros si stabilisce, nel 1794, nella città partenopea si era ormai conclusa la luminosa stagione del vedutismo napoletano, avviata agli inizi del secolo da Gaspar van Wittel ed i cui principali esponenti erano oramai scomparsi o tornati nel loro paese, e si era praticamente esaurito il fenomeno del Grand Tour, a causa delle vicende politiche legate alla Rivoluzione Francese. Benché essenzialmente autodidatta, l’artista possedeva già una profonda conoscenza sia della tradizione paesaggistica fiamminga e olandese (acquisita principalmente nei suoi anni di formazione ginevrina), che delle diverse correnti del vedutismo europeo: dalla linea analitica di Hackert, Labruzzi e Lusieri, alle delicate e sensibili raffigurazioni geologiche di Fabris e Hoüel, passando per le pittoresche descrizioni degli artisti del Voyage pittoresque di Saint-Non e per le romantiche visioni di Towne e Cozens. Rispetto a tutto ciò, Ducros si distingue non solo per la scelta di soggetti e angolazioni originali e audaci (con l’aggiunta, a volte, di correzioni ottiche e di fantastiche combinazioni topografiche), ma anche per l’uso sapiente di una tecnica di grande ricchezza e complessità. Ben consapevole dei vantaggi offerti dall’uso del supporto cartaceo per il mercato del Grand Tour (leggerezza, trasportabilità ed economicità), il pittore sceglie questo mezzo come il più adatto a rendere la trasparenza cristallina delle acque del golfo e la luce accecante del Mezzogiorno; ciò, tuttavia, non gli impedisce di utilizzare la tela, materiale più nobile e solido, sulla quale incolla i suoi preziosi fogli giuntati. Incisore, pittore e acquarellista di formazione, e probabilmente grande ammiratore delle sperimentali e visionarie stampe acquerellate e delle acquatinte allo zucchero realizzate su carta o tela colorata da Hercules Seghers, Ducros si dimostra capace di usare al meglio le potenzialità della gouache napoletana e dell’acquerello, in voga presso gli inglesi, e dà prova di una notevole padronanza nella pittura ad olio, che conferisce brillantezza ai suoi disegni. La tecnica complessa e raffinata dell’artista gli permette di mantenere sempre elevato il livello delle sue opere e di venire incontro alle esigenze dei suoi prestigiosi clienti: non più i frettolosi grand tourists ma dei colti mecenati quali l’ambasciatore William Hamilton e il ministro Acton. Per questi ultimi Ducros non lesina né sui tempi di esecuzione, né sui pigmenti usati, nel caso della presente opera dei preziosi lapislazzuli. In effetti, la veduta di Nisida risale presumibilmente al secondo soggiorno napoletano dell’artista (dal 1794 al 1798), come risulta dal confronto con altre opere di quel periodo, quali la Grotta di Posillipo da Palazzo Donn’Anna del Museo di San Martino o la Veduta di Villa Acton presso Castellammare di una collezione privata londinese, firmata e datata 1794. Tuttavia, quando si sfoglia il cospicuo catalogo delle opere di Ducros, risulta evidente come la presente veduta si distingua dalla produzione consueta di paesaggi napoletani dalla cromia terrosa, per la sua luce cristallina e per le sue tonalità chiare e trasparenti.

Affascinato dalla bellezza dei luoghi e dall’atmosfera della serena mattinata estiva, il pittore rinuncia alle consuete manipolazioni del dato reale e alle interpretazioni fantastiche, per restituire fedelmente ciò che si presenta davanti ai propri occhi. La micrografia esasperata e insistita (Spinosa) con la quale descrive rocce e vegetazione – che lo avvicina sia al prussiano Hackert, che al francese Péquignot – viene qui temperata dalla resa degli effetti atmosferici: la luce abbagliante e la foschia di una calda giornata.
Il periodo napoletano di Ducros costituisce probabilmente, per la qualità delle opere e l’originalità delle soluzioni formali adottate, la fase più interessante e feconda della carriera del pittore. Ciò sia perché si colloca quasi al termine del suo iter artistico, sia perché si inserisce alla fine di una delle più ricche e variegate stagioni pittoriche, quella del vedutismo napoletano. Una stagione che aveva visto protagonisti i più grandi rappresentanti del paesaggismo europeo, da Van Wittel a Lusieri passando per Vernet, Joli, Wilson, Fabris, Hubert Robert, Thomas Jones, Hackert, Cozens e Wright of Derby, tutti egualmente attratti dall’incanto dei luoghi: dal Vesuvio ai Campi Flegrei, dai monumenti di Napoli alle verdi colline disposte ad anfiteatro sul golfo. Così Gaspar van Wittel (1651 ca-1736) farà di Napoli una delle capitali del vedutismo italiano – insieme a Roma e Venezia – rompendo con la tradizione del paesaggio classico di matrice poussiniana e importando la tradizione topografica del nord Europa. Antonio Joli (1700 ca – 1777), dal canto suo, darà della veduta un’interpretazione più aulica, diventando lo scenografo e il reporter di tutti gli eventi della vita della capitale. La lucidità analitica si imporrà, da Van Wittel in poi, come la caratteristica richiesta a tutti i paesaggisti di corte: Van Wittel, sotto il duca di Medinaceli, Joli, durante il regno di Carlo III, e infine Jacob Philipp Hackert (1737-1807), che all’epoca di Ferdinando IV adatterà il genere alle nuove esigenze del gusto neoclassico. Un’altra vena, più pittoresca e narrativa, ed attenta al dato emozionale, sarà invece proposta dagli artisti francesi: dal caposcuola Joseph Vernet (1714-1789) all’allievo Pierre Jacques Volaire (1729-1799), passando per i diversi collaboratori (diretti o indiretti) del Voyage pittoresque dell’abate di Saint-Non (Châtelet, Desprez o Hoüel). Gli inglesi Richard Wilson (1714-1782), Thomas Jones (1742-1803), Joseph Wright of Derby (1734-1797) e John Robert Cozens (1752-1797), benché dotati di personalità artistiche molto diverse tra loro, contribuiranno a far evolvere il genere verso il romanticismo, introducendo delle innovazioni nella tecnica (l’acquerello, successivamente tanto apprezzato dai paesaggisti ottocenteschi), nella scelta delle angolazioni, dei tagli compositivi e dei soggetti (a volte anodini, a volte sublimi).

In definitiva, il contributo di Ducros alla scuola paesaggistica napoletana consiste, come messo in rilievo da Pierre Chessex, da un lato nell’introduzione di scenografie fantastiche e singolari, a testimonianza di una personalità inquieta e di una precisa volontà di andare incontro al nuovo gusto per l’irrazionale del romanticismo nero dei suoi clienti inglesi. Dall’altro, nella realizzazione di composizioni più sagge e apparentemente convenzionali, che cercano di rivaleggiare, sia nel formato che nell’intensità cromatica, con i grandi esempi della pittura ad olio: le limpide marine di Vernet, le vedute precise e rifinite di Hackert, o le sublimi eruzioni di Volaire e di Wright of Derby. La veduta di Nisida da Posilippo costituisce, a questo titolo, la dimostrazione di come l’uso sofisticato dell’acquerello da parte di Ducros sia capace, tanto quanto la pittura ad olio, di restituire insieme la materialità degli oggetti e l’inconsistenza poetica degli effetti atmosferici.