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La luce di Venezia è sempre contemporanea

CARNET DE VOYAGE di Roberta Olcese

La luce è la chiave di volta per scoprire Venezia. L’arte contemporanea nell’anno della Biennale la fa da padrona.
Un sottile filo rosso scandisce il tempo delle visite sulla mappa ingombra di eventi. Un po’ turisti, un po’ collezionisti si scende con questo spirito all’isola di San Giorgio pronti a visitare le “Stanze del Vetro” alla Fondazione Cini con la monografica dedicata alla raffinatissima raccolta di vetri realizzati tra il 1911 e il 1934 dal maestro francese Maurice Marinot, a cura di Jean-Luc Olivié curatore capo del Musée des Arts décoratifs a Parigi, e dall’esperta Cristina Beltrami. Si tratta di una collezione straordinaria con 220 pezzi unici con coppe, vasi, flaconi e tappi che raccontano la storia del vetro contemporaneo e la consacrazione a partire del 1914 di un “autentico stile francese, distante dagli esempi boemi quanto da quelli veneziani e tedeschi o dai pastiche de la Renaissance”. Spiega Beltrami citando un articolo del tempo scritto dal critico Léandre Vaillat.

In poco più di un ventennio Marinot dalla sua casa nella cittadina di Troyes – l’equivalente della residenza in via Fondazza a Bologna per Giorgio Morandi – ha prodotto oltre 2.500 vetri ma soprattutto è riuscito a cambiare almeno quattro volte stile e a diventare un riformatore della tecnica della soffiatura e un esperto della modellatura a caldo. In primis ci sono stati i vetri smaltati che strizzano l’occhio proprio allo stile rinascimentale. Il maestro poi si specializza in due tecniche di lavorazione a freddo: l’incisione all’acido e il taglio alla ruota. Il risultato sono vasi con un’estetica nuova spiega Olivié “incentrata sulla pesantezza, lo spessore e la carnosità”. Siamo all’esatto opposto della leggerezza degli acclamati vetri veneziani. Marinot gioca con il colore e le trasparenze e rende le bollicine del vetro spesso color oro non un errore ma un plus. Lo chiamano proprio il “caviale del vetro” per consolidarne la preziosità. Il maestro vetraio subito dopo la Grande Guerra affascina i collezionisti internazionali, prima il banchiere newyorkese Cecil Blumenthal, poi Margherita Sarfatti, fino a Mary Churchill figlia del grande statista, che comprò un prezioso flacone del 1929 quando i vetri francesi sbarcano a Londra. I prezzi salgono. Negli anni ’30 i rapporti di Marinot con l’Italia si intensificano, l’artista è considerato una fonte di ispirazione per designer come Ercole Barovier e gli esperimenti della colorazione a caldo senza fusione della serie Crepuscolo (1935-1936) influenzano la scuola Muranese a Venezia. La vera svolta sul mercato italiano coincide con la duplice partecipazione nel 1932 e poi nel 1934 al Padiglione Venezia della Biennale “è considerato lo spazio dove accogliere i migliori vetrai europei” precisa Beltrami. Il vero successo sarà nella seconda edizione dove sono esposti un gruppo di pezzi del 1933 realizzati con una tecnica a caldo, espressione di tutta l’opulenza della materia. In Italia il maestro d’Oltralpe è considerato troppo caro. La Biennale riuscirà a contrattare una coppa quadrata con un notevole sconto (da 5.400 a 4.500 franchi dell’epoca) per il Museo del Vetro di Murano.

Il 1934 è l’ultimo anno di produzione per il Maitre terrier di Troyes, coincide e più probabilmente dipende, dalla chiusura della vetreria di Bar-sur-Seinen.
Il viaggio a Venezia nei giorni della Biennale continua con una visita ai due musei di Francois Pinault affacciati sul Canal Grande quasi uno di fronte all’altro che espongono e ripropongono con una luce nuova fino al 6 gennaio 2020 gli artisti collezionati dal magnate francese. A Punta della Dogana è in programma l’eclettica collettiva “Luogo e segni” a cura di Mouna Mekouar e Martin Bethenod direttore di Palazzo Grassi che riunisce 36 artisti per un centinaio di opere. Da non perdere lo straordinario video “1395 days without red” dell’artista albanese Anri Sala, narratore dei temi dell’esistenza che immortala proprio uno dei giorni dell’assedio di Sarajevo.

Protagonista indiscusso a Palazzo Grassi è Luc Tuymans, pittore fiammingo classe 1958 con l’inedita mostra “La Pelle”, a cura di Caroline Bourgeois, il titolo è una citazione dal romanzo di Curzio Malaparte.
Le sale del Museo ospitano un’ottantina di quadri e un gigantesco mosaico in marmo eseguito site specific su progetto dell’artista. Il percorso è un mix temporale senza essere una monografica. Pennellate decise, colori spesso slavati che vanno dal beige al grigio per esplodere in citazioni del barocco e trovare gli sfondi intensi di Goya. I tagli sono cinematografici come in uno dei rari autoritratti. “Si ispira a immagini esistenti ma il suo approccio non è mai quello della rappresentazione perfetta” incalza Bourgeois. La luce infonde serenità alle opere di un artista complicato e profondo come Venezia, d’altronde.