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Accademia Carrara. La casa dei collezionisti

Intervista a M. Cristina Rodeschini
Direttore Accademia Carrara di Bergamo

Accademia Carrara nasce nel 1796 per desiderio di Giacomo Carrara, che vuole istituire una scuola di pittura e aprire a un pubblico di appassionati e conoscitori la sua collezione d’arte. Chi era Giacomo Carrara e qual è stata le genesi del museo?

Giacomo Carrara nasce a Bergamo nel 1714. Apparteneva a una famiglia che raggiunge il titolo di nobiltà tardi, nel Settecento. Il padre, proprietario terriero, ma anche dedito alla mercatura, desiderava che i figli Giacomo e Francesco proseguissero nella sua professione. Un padre autoritario, da quanto si evince dalla lettere che si conservano, che non lasciava libertà alle aspirazioni dei figli. Giacomo compie studi eruditi, ma al contempo matura una convinta passione per l’arte, mentre il fratello Francesco si laurea nella disciplina giuridica a Padova, per poi incamminarsi nella carriera ecclesiastica a Roma.
Solo alla morte del padre nel 1755 Giacomo compie alcuni passi decisivi per la sua formazione, che sono quelli di una solida educazione in ambito artistico – il padre disponeva di una piccola raccolta d’arte – e di un agognato viaggio in Italia che finalmente può intraprendere, occasione che gli offre la possibilità di confrontarsi con il mondo dell’arte e della cultura nazionale, ampliando le proprie conoscenze. Inizia subito a collezionare, principalmente grafica perché commisurata al suo potenziale economico, ma molto presto pittura, componendo nel corso di una quarantina d’anni  una raccolta di quasi 2.000 dipinti. Le raccolte grafiche del museo, composte da circa 3.000 disegni e 9.000 incisioni, pur nell’assenza di notizie di carattere documentario, è assai probabile traggano origine dall’attività collezionistica di Giacomo Carrara. La sua vita trascorre nella conduzione del patrimonio familiare ed è caratterizzata da una intensissima relazione con il fratello Francesco – documentata da un ricco epistolario – a Roma, città di riferimento  per la cultura italiana.
L’altra componente dell’esistenza di Giacomo Carrara, poco sottolineata, è l’unione in matrimonio con la cugina Marianna Passi, alla quale il padre Carlo si era fermamente opposto visto il grado di parentela. Marianna asseconda pienamente le passioni del marito e la loro vita si distingue nella condivisione dell’interesse per l’arte. Quando Giacomo muore nel 1796, senza eredi, lascia un progetto di grande interesse, che destina la collezione d’arte alla città tramite la fondazione di un museo e una Scuola di pittura. Marianna diventa la figura cardine che prosegue e porta a compimento questo progetto e accompagna gli sviluppi della Carrara sino alla fine della sua vita. Darà corso alle volontà del marito e assisterà alla realizzazione del progetto culturale da lui concepito, compresa l’edificazione della sede storica dell’Accademia Carrara.

Accademia Carrara si distingue per conservare un patrimonio artistico costituito unicamente da donazioni private di illuminati collezionisti e mecenati. Chi sono le personalità dopo Giacomo Carrara, che in oltre due secoli di storia fino a oggi, hanno arricchito il museo con i loro lasciti e definito le raccolte?

Il patrimonio di Accademia Carrara è costituito per il 98% da lasciti privati. Dalla sua fondazione i donatori sono stati più di 260, con un’ammirevole adesione al progetto di Giacomo Carrara che prosegue da più di duecento anni, e che ha portato all’identificazione della Carrara con il “museo del collezionismo”.
Tra le figure di riferimento dopo il suo fondatore vi è Guglielmo Lochis, uomo della Restaurazione che ebbe un ruolo nella politica della città – divenendone il Podestà dal 1842 al 1848 – e negli organismi di gestione del museo. Costituì una collezione d’arte tanto numerosa e importante da edificare a Mozzo, ai confini di Bergamo, una villa per poterla adeguatamente conservare e mostrare. Lochis giunse a comporre una raccolta di 500 dipinti di grande valore. Con lui, dopo Giacomo Carrara, si va sempre più delineando la qualità delle collezioni del museo, risultato della competenza di chi sceglie le opere. Tale era l’importanza della sua raccolta d’arte, che il Regno Unito mandò Charles Eastlake, primo direttore della National Gallery di Londra, a visitarla con l’intento di acquisire alcuni dei suoi capolavori. Ma Lochis rifiutò la proposta volendo conservare integra la propria collezione. Alla sua scomparsa dispose che l’intero patrimonio d’arte andasse alla città di Bergamo, affinché tutti potessero condividere la passione che aveva nutrito per l’arte. Si tratta di un messaggio chiaro in continuità con quello di Giacomo Carrara, che ebbe la capacità di propagarsi costantemente nel tempo. Alla raccolta Lochis appartengono il San Sebastiano di Raffaello, opere di Giovanni Bellini, Crivelli, Carpaccio, Tiziano, Lotto, i vedutisti veneti, Fra’ Galgario.
Tra i grandi donatori, dopo Guglielmo Lochis spicca un’altra figura di rilievo, Giovanni Morelli, laureato in medicina, fine conoscitore d’arte, uomo del Risorgimento, senatore del Regno d’Italia. Da storico dell’arte iniziò acquistando opere che lo interessavano come studioso, ma nel corso degli anni, grazie alle sue competenze e alle sue entrature, la collezione si amplia. Ad aiutarlo il cugino Giovanni Melli, per il quale acquistò tra l’altro opere di Botticelli: alla morte di Melli i dipinti giunsero a lui per via ereditaria e infine alla Carrara. Morelli ebbe anche un ruolo importante in un preciso momento della storia del museo, quando, dopo la morte di Guglielmo Lochis nel 1859, la città di Bergamo ereditò la sua importante collezione allestita alle Crocette di Mozzo. La Municipalità, non volendo sostenere il peso economico di un secondo museo oltre alla Carrara, si accordò con gli eredi affinché almeno una parte di essa confluisse nel museo cittadino. Dopo una lunga trattativa nel 1866 le parti si accordarono perché 240 dei 550 dipinti della collezione venissero destinati alla Carrara. Camozzi Vertova, primo sindaco di Bergamo, chiamò allora Giovanni Morelli che aveva conosciuto durante l’epopea risorgimentale, affinché da grande conoscitore ed esperto selezionasse il meglio della collezione; il resto rimase nella disponibilità degli eredi e solo recentemente uno studio ne ha ricostruito la dispersione.
Tra i mecenati della Carrara nell’Ottocento è da ricordare anche la figura di Carlo Marenzi, che donò un ristretto numero di dipinti al museo, tra cui brilla la Madonna col Bambino di Andrea Mantegna, capolavoro della maturità del maestro padovano, dipinta a tempera su una sottilissima tela di lino, rimasta intatta senza verniciature. Intere collezioni strutturate, ma anche singole meravigliose donazioni che mantengono alta la qualità della proposta del museo, che ancor oggi continua a essere elemento distintivo della Carrara.
Un’altra personalità interessante è quella di Gustavo Frizzoni, nel cui palazzo donato dalla famiglia alla città di Bergamo oggi ha sede il Comune. Frizzoni, storico dell’arte e collezionista, amico e allievo di Giovanni Morelli di cui ordina il lascito, a partire dagli anni Dieci del Novecento iniziava a disperdere la sua raccolta d’arte in parte approdata negli Stati Uniti, attraverso Bernard Berenson.
Significativo alla fine del secolo scorso è stato il lascito di Federico Zeri, fine conoscitore e anch’egli collezionista, che ha donato alla Carrara la sua raccolta di scultura, aprendo così un nuovo motivo d’interesse culturale per il museo bergamasco.
Mario Scaglia è l’ultimo dei grandi donatori della Carrara, che nel 2022 ha lasciato al museo la sua importante raccolta di medaglie e placchette rinascimentali e barocche. Una donazione che arricchisce le collezioni di una tipologia nuova di opere, di altissima qualità, peraltro vocata a dialoghi artistici con i dipinti e le sculture del museo. Oltre a questa raccolta, tra le più importanti a livello mondiale, Scaglia ha fatto dono di un dipinto: il Ragazzo con canestra di pane e dolciumi di Evaristo Baschenis, opera di figura che integra la serie delle nature morte di soggetto musicale di cui la Carrara   dispone. L’idea di Scaglia che le donazioni possano completare una determinata collezione del museo, enfatizzandone le caratteristiche precipue, mi pare non solo lodevole, ma anche capace di individuare un criterio da condividere pienamente. 

Cosa porta la dispersione del 1835?

Tra i primi implicati in questa dispersione vi è anche Guglielmo Lochis, che approva con  il consiglio della Carrara, di cui è parte, la vendita di diverse opere della collezione, una pagina nera della storia della Carrara: il gusto dell’epoca pesò sulla scelta delle opere da alienare, orientato a valutare positivamente l’arte del Rinascimento e meno interessanti gli autori del Seicento e del Settecento.
Vi è un quadro nella vicenda che racconta una storia alla rovescia, molto interessante: il Ritratto di Francesco Maria Bruntino di Fra’ Galgario. Bruntino era un antiquario che viveva all’epoca del Carrara e dal quale il collezionista acquistava. Con grande sensibilità artistica egli aveva commissionato la propria immagine a Fra’ Galgario, il miglior ritrattista del tempo. Quando Bruntino morì, Giacomo Carrara acquistò il ritratto, e come a voler sottolineare questa finezza e questo gusto per l’arte che li aveva uniti scriveva: “Bruntino era un uomo senza lettere, ma oltremodo meraviglioso”. All’asta il ritratto venne acquistato da Guglielmo Lochis, insieme ad altre opere appartenute a Carrara, entrando a far parte della sua raccolta. Lochis lascerà la sua collezione alla città di Bergamo e dunque il dipinto ritornerà a far parte delle opere in custodia della Carrara.

Quali sono i passaggi fondamentali nella storia della Carrara tra Otto e Novecento?

Dopo queste prestigiose donazioni che nell’Ottocento hanno arricchito la Carrara, il museo aveva bisogno di un’importante riorganizzazione. Con l’inizio del nuovo secolo si assiste all’ingresso di alcuni uomini di cultura che hanno responsabilità anche nelle istituzioni statali. Con Corrado Ricci, ad esempio, si comincia a realizzare un riallestimento delle sale del museo secondo uno svolgimento cronologico e per scuole pittoriche regionali e non più per nuclei collezionistici. Questo criterio è quello a cui ancora oggi ci atteniamo, sebbene sia sembrato giusto creare all’ingresso del museo un ambiente narrativo che raccontasse la storia della Carrara come insieme di collezioni, da identificare come importante carattere identitario dell’istituzione. Oggi, l’attraversamento delle sale, per chiunque visiti il museo, è certamente più chiaro e logico, secondo una disposizione delle opere in ordine cronologico e per aree geografiche.

La Carrara conserva 1793 dipinti, dei quali oltre 300 in esposizione permanente, che raccontano l’arte dal Rinascimento all’Ottocento, e in maniera significativa quella lombarda e veneta, ma non solo. Attraverso quali artisti, nuclei di opere e capolavori si distingue la Pinacoteca?

La Pinacoteca presenta “un’anima veneta” molto forte, in quanto per oltre tre secoli, fino al 1797, Bergamo e i suoi territori hanno fatto parte della Repubblica veneziana. Quest’attitudine del luogo a vivere e respirare quella cultura è sicuramente un suo tratto distintivo. Il patrimonio rinascimentale è il frutto dell’interesse dei collezionisti mecenati del museo, capaci di intercettare opere importantissime sia di artisti veneziani – ad esempio di Giovanni Bellini -, sia dell’Italia centrale grazie alla formidabile competenza di Giovanni Morelli, che con il suo lascito ha arricchito la Carrara di ben tre opere di Botticelli.
L’attuale assetto del museo, inaugurato a inizio del 2023 nell’anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura, ben esprime il cuore rinascimentale della collezione, esaltando al contempo l’attenzione per la cultura dell’Italia settentrionale, lombarda e veneta. A Bergamo risiedeva un raffinato collezionismo d’arte sin dal Cinquecento. Marcantonio Michiel, che la frequentava negli anni Venti del secolo, testimonia questa caratteristica della città, capace di ospitare anche grandi autori: Lorenzo Lotto vive qui per tredici anni, costellando la città e la provincia di opere d’arte; e ancora, Evaristo Baschenis con le sue originali nature morte di soggetto musicale, e il grande ritrattista Fra’ Galgario; entrambi i pittori erano dei religiosi.
Un aspetto interessante è rappresentato dalla Scuola di pittura istituita da Giacomo Carrara alla fine del Settecento, che nel secolo successivo cominciava a dare ottimi risultati. Proprio in quest’ottica il percorso espositivo attuale nelle tre sale dedicate all’Ottocento dà conto dell’attività formativa della Scuola, che dispone di maestri come Giuseppe Diotti e Cesare Tallone, e di allievi come Giovanni Carnovali detto il Piccio, Giacomo Trécourt e Francesco Coghetti che porteranno avanti in modo originale gli insegnamenti dei maestri.
Il percorso si chiude con un colpo di teatro: il dipinto Ricordo di un dolore, capolavoro di Giuseppe Pellizza da Volpedo del 1889, che qui prende lezioni dal poco più che trentenne Cesare Tallone, alla guida della Scuola di pittura dopo la quarantennale docenza di Enrico Scuri. Il giovane e intemperante Pellizza, che senza trovare pace vaga per le scuole di mezza Italia – dall’Accademia di Brera di Milano a quella di Roma, poi a Firenze dove insegna Giovanni Fattori -, approda finalmente a Bergamo. Qui si ferma, per due anni, lasciando come testimonianza della sua permanenza l’intenso e straordinariamente moderno dipinto donato dallo stesso autore alla Scuola.

Ai dipinti, che costituiscono la parte più significativa delle collezioni conservate nel museo, si uniscono altre pregevoli raccolte, quali quelle di scultura, di disegni e stampe, e di arti decorative. Quali sono le opere più rappresentative?

Le collezioni di scultura sono state cospicuamente arricchite dalla donazione di Federico Zeri nel 1998, che sin da giovane frequentava la Carrara come un luogo di studio e di esercizio attributivo, interessato a opere pittoriche di cui non si conosceva l’autore, ma di straordinaria qualità. Zeri ha attribuito dipinti anonimi a precise personalità, giungendo a scoperte interessantissime. A metà degli anni Ottanta del Novecento, in occasione della realizzazione del catalogo dedicato alla raccolta di Giovanni Morelli, si è rinsaldata nello studioso l’attenzione verso la grande storia della Carrara, e attraverso una sorta di identificazione con l’illustre conoscitore, Zeri, a conclusione della sua vita, ha donato al museo la propria collezione di scultura. Si tratta di quarantasei esemplari, tra questi opere di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo – una riscoperta recente della scultura tra Cinque e Seicento, di cui abbiamo due esempi molto importanti -, ma anche di una significativa rappresentanza degli scultori del Seicento romano, tra gli altri Domenico Guidi. Come Zeri teneva a sottolineare, una raccolta fatta di opere che lo incuriosivano, non una collezione costruita secondo dei criteri stabiliti a priori.
Tra queste spicca una curiosa, e magnifica, erma in biscuit di porcellana di Giovanni Volpato, abile incisore veneto del Settecento, nonché plastificatore e collezionista, che trascorre la vita a Roma. Volpato partecipa come finanziatore alla grande stagione delle scoperte e degli scavi archeologici e fonda un’importante manifattura, mettendo a sistema produttivo piccoli modelli di sculture antiche che produce in serie in occasione del Grand Tour. L’originalissima erma in esemplare unico, riproduce due teste unite in corrispondenza della nuca, con i ritratti di Anton Raphael Mengs e del suo amico e protettore Josè Nicolàs de Azara, ambasciatore spagnolo a Roma. Azara sostenne tutta la produzione letteraria di Mengs di cui finanziò l’edizione. Un’invenzione straordinaria che traduce le affinità elettive dei due ritrattati, passando attraverso l’antico, restituendoci un’immagine contemporanea.
Per quel che riguarda la grafica conserviamo 3.000 disegni e 9.000 incisioni. Tra i disegni abbiamo esempi straordinari, con opere di Pontormo, di artisti del Cinquecento lombardo, alcuni ancora da identificare, come l’autore di una serie di ritratti di grande fascino, probabilmente di area leonardesca, considerati da sempre tra i pezzi più pregevoli. Sempre tra i disegni, troviamo un nucleo di fogli del Seicento ancora da  studiare – il disegno è un’area difficile che molto spesso non ha non ha riferimenti precisi. A questo nucleo antico si aggiungono gli elaborati degli insegnanti e degli allievi della Scuola di pittura come il Piccio, Giacomo Trécourt, Francesco Coghetti. Interessantissimo il gruppo di disegni di architettura di Giacomo Quarenghi recentemente studiati e pubblicati. Anche tra le stampe conserviamo opere di artisti molto celebri, come Mantegna, Dürer, Canaletto, altri vedutisti veneziani, e Piranesi.
Le raccolte della Carrara sono ricche di dipinti, sculture, grafica, ma anche di mobili, arredi e oggetti d’arte, con esemplari eccezionali, come le due Rotelle da parata in legno del Cinquecento – simili se ne trovano al Louvre e negli Stati Uniti – dipinte sul recto e sul verso alla maniera di Giulio Romano. Le abbiamo recentemente estratte dal deposito ed esposte per la prima volta, suscitando grande interesse nel pubblico e tra gli specialisti. A breve saranno oggetto di restauro da parte di un importante istituto di ricerca.
Tra le curiosità anche i ventagli della raccolta Sottocasa, donati alla Carrara negli anni Ottanta. Non semplici ventagli ma piccole opere d’arte, in sessanta esemplari, alcuni dei quali dotati di raffinate custodie, realizzati tra fine Settecento e inizio Novecento da manifatture europee, soprattutto inglesi e francesi, e manifatture orientali, in particolare quella cantonese.
Questi oggetti speciali e curiosi di cui la Carrara è dotata, accendono l’attenzione del pubblico e verranno esposti a rotazione nel primo piano del museo riservato anche alla valorizzazione della collezione, oltre a ospitare progetti espositivi temporanei.

L’Accademia Carrara ha riaperto a gennaio 2023 dopo un breve periodo di chiusura e un’importante ridefinizione generale del museo, sia esterna con l’apertura dei giardini, sia interna della Pinacoteca e del percorso espositivo. Come si presenta la nuova Carrara e quali aspetti sono prevalsi nel ripensamento museale?

Dopo che nel 2015 avevamo ristrutturato il museo e dato un nuovo ordinamento alla collezione permanente, l’attività della fondazione Accademia Carrara ha preso il via con le grandi mostre, come Raffaello e l’eco del mito nel 2018. Tuttavia, nel 2020 sono accaduti i fatti tragici che tutti conosciamo e la pandemia ha messo in forte crisi anche le istituzioni culturali, innescando un processo di ripensamento del ruolo del museo e invitando a riconsiderare, a rivalutare, come sarebbe stato il dopo. Accademia Carrara, senza perdere tempo, ha creato un tavolo di discussione su questo tema, e già nell’autunno del 2020 ha avviato una ponderata riflessione che ha avuto come presupposto la domanda se il museo, così come era stato ideato nel 2015, avesse ancora le prerogative di fruizione iniziali. Se un istituto culturale come il museo non coglie immediatamente e non vive la realtà del posto in cui è nato, in cui cresce, in cui dialoga con il proprio pubblico, manca un obiettivo fondamentale, e la tragedia gravissima che ci ha colpiti, e Bergamo come tutti sanno in modo ancora più sconvolgente, è stata alla base del processo di revisione dei percorsi, della distribuzione funzionale degli spazi all’interno della sede storica. Naturalmente, ha fatto la sua parte l’esperienza maturata nei cinque anni seguiti alla ristrutturazione del 2015 fino a marzo 2020. All’inizio di quell’anno tutta l’Italia si è fermata per la pandemia e presto ci siamo interrogati su un dato imprescindibile: il pubblico usufruirà degli spazi del museo nello stesso modo? Godrà della qualità delle collezioni con la stessa modalità?
Questi temi, per un anno e mezzo, sono stati oggetto di studio da parte di una commissione scientifica internazionale preposta alla revisione del museo. Prendendo le mosse dai percorsi espositivi abbiamo dedicato il secondo piano alla collezione permanente, riservando il primo ai progetti espositivi temporanei e alla valorizzazione della collezione tramite la rotazione delle opere.
Per la collezione permanente abbiamo organizzato un percorso chiaro in sedici sale divise in due sequenze, che facesse spiccare le specificità della collezione. La prima, caratterizzata nell’allestimento dal colore rosso delle pareti graduato dallo scuro al chiaro, è stata dedicata all’arte italiana tra Gotico e Rinascimento, con un accento sul ricco patrimonio del Quattrocento padano e veneto, oltre a presentare un preziosissimo e selezionato nucleo di opere, che restano un’eccezionalità del museo, del Rinascimento toscano. La seconda sequenza delle sale, cromaticamente risolta nei toni a degradare del blu dallo scuro al chiaro, disegna, invece, un approfondimento sulla cultura lombarda, in particolare bergamasca di straordinaria qualità, e dei domini veneti di Terraferma. Le ultime tre sale, dedicate all’Ottocento, narrano, infine, dell’esperienza della Scuola di pittura che caratterizza l’identità dell’istituzione. La Scuola, fondata da Giacomo Carrara già prima del museo, è ancora oggi frequentata da un centinaio di studenti.
Queste ultime nove sale avevano però una anomalia distributiva che costringeva, arrivati alla fine del percorso espositivo con l’Ottocento e la vita della Scuola, a ritornare sui propri passi per recarsi all’uscita, ripercorrendo a ritroso le sale del museo. L’architetto Antonio Ravalli, che ha assistito i lavori della commissione scientifica sin dall’inizio e ha dato corso al progetto di rinnovamento, ha avuto l’intuizione di sfruttare la presenza di un grande giardino terrazzato e inutilizzato – il museo è incorniciato da 3.000 metri quadrati di verde -, per creare un collegamento esterno tra i piani della sede storica (di cui sono in corso i lavori) e, al tempo stesso, godere di uno spazio all’aperto.
Credo che, tenuto conto delle brutte esperienze degli ultimi anni, l’attuale disegno del museo aderisca a nuove esigenze e abbia aperto una prospettiva di duttilità degli spazi, che migliora nettamente la fruibilità del museo da parte del pubblico.

La Carrara ha inaugurato il programma espositivo del 2023 con una mostra dedicata a Cecco del Caravaggio, che si distingue per la scelta colta di un artista originale, sconosciuto al grande pubblico, che merita una piena rivalutazione. Nella filosofia del museo qual è la funzione delle mostre temporanee?

Le mostre temporanee hanno un ruolo molto importante nel museo contemporaneo: producono progetti di ricerca – il museo non deve mai sospendere lo studio delle proprie collezioni –  e propongono al pubblico nuovi argomenti da esplorare, inducendo un ritorno nella sede museale che può essere dato per scontato; dinamizza il fattore educativo nei confronti delle nuove generazioni invitate a visitarci con assiduità – questa la nostra intenzione – stimolate dall’utilizzo delle nuove tecnologie che aiutano a modernizzare la narrazione dei contenuti di carattere scientifico. Gli impegni imprescindibili del museo restano quelli della conservazione – poiché per tramandare si deve innanzitutto ben conservare – e quello dello studio, perché un museo senza investigazione è un centro di ricerca senza prospettiva.
Il 2023 è per noi un anno particolare con Bergamo gemellata a Brescia per il titolo di Capitale Italiana della Cultura; un anno di svolta sia nel rinnovamento e nella funzione del museo, sia nella proposta espositiva. Abbiamo inaugurato alla fine di gennaio la mostra Cecco del Caravaggio. L’Allievo Modello, che si motiva per le origini bergamasche della famiglia Boneri alla quale appartiene Francesco detto Cecco, ma soprattuto, perché della sua originale vicenda storico artistica conoscevamo poco, ma gli approfonditi studi nel corso di trent’anni di Gianni Papi, curatore con me dell’esposizione in Carrara, hanno finalmente gettato nuova luce su questo magnifico artista con la ricostruzione del suo catalogo pittorico che oggi annovera circa 28 dipinti, di cui 19 esposti in mostra a Bergamo. Si tratta della prima esposizione al mondo dedicata al pittore, che per la novità degli studi e per la quantità di originali visibili in Carrara, sta richiamando l’attenzione di tutta Europa e non solo. Una restituzione pubblica che in qualche modo dovevamo a questo artista, noto solo in parte al mondo degli studiosi e che oggi guadagna finalmente il suo posto nella storia dell’arte europea.
La seconda mostra di questa ricca stagione espositiva sarà dedicata alla montagna: Vette di Luce, che inaugurerà alla fine di giugno per concludersi a settembre. I pittori dell’Ottocento e del Novecento hanno calcato, dipinto e molto amato il paesaggio di montagna. Una selezione di opere che documentano le Alpi Orobie introdurrà l’argomento. Una seconda sezione della mostra proseguirà con l’opera fotografica di un autore giapponese alpinista, Naoki Ishikawa, che ha condotto due campagne sulle Orobie. Abbiamo pensato che fosse interessante guardare le montagne del nostro territorio con uno sguardo nuovo. Ishikawa ha fotografato i meravigliosi e intatti scenari montani delle Alpi Orobie, ma anche delle comunità che li abitano. La mostra metterà quindi in dialogo queste immagini contemporanee con la bella pittura di tradizione, dichiarando un’attenzione rivolta al territorio bergamasco, che in queste celebrazioni della Capitale Italiana della Cultura vogliamo sia coinvolto.
Il programma espositivo si concluderà in autunno con la mostra: Tutta in voi la mia luce, un progetto dedicato al genere della pittura di storia e al melodramma che si diffonde nell’Ottocento con il Romanticismo, interessando un largo pubblico. Uno dei maggiori interpreti ed esponenti del melodramma è stato proprio Gaetano Donizzetti, nato a Bergamo. L’attenzione sarà focalizzata sul periodo storico compreso fra il 1820 e il primo Verdi, dove la musica e la letteratura saranno in dialogo con la pittura attraverso eminenti personalità, come Francesco Hayez, Michelangelo Grigoletti, Pompeo Molmenti, Francesco Coghetti, Domenico Induno e Giovanni Boldini. Esporremo i ritratti dei protagonisti e grandi dipinti con scene di storia, perché è questo un momento in cui le arti si contaminano, con i pittori che spesso anticipano i temi che poi verranno sviluppati nei libretti d’opera: un crocevia culturale che attraverso il melodramma ha fatto conoscere la cultura italiana in tutto il mondo. L’ultima sezione, montata per titoli di opere, sarà dedicata a Il diluvio universale di Donizetti, che l’esposizione illustrerà in pittura, mentre la Fondazione Teatro Donizetti includerà nel festival dedicato al musicista del 2023. È allo studio con la Biblioteca Civica Angelo Mai anche una sezione della mostra dedicata alla caricatura musicale otto-novecentesca, molto diffusa sulle riviste dell’epoca, soprattutto francesi.
Svoltata pagina, nel 2024, il primo piano della sede storica della Carrara diverrà il luogo della valorizzazione del patrimonio artistico, con interessantissimi progetti.

Quale significato riveste per la Carrara la designazione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura?

La città ha creduto molto a questa designazione, e anche il nostro museo. Rappresenta una sorta di rilancio dopo gli anni bui che abbiamo attraversato. Credo che questa esperienza condivisa con gli amici bresciani resterà e avrà significato se riuscirà ad avere una ricaduta durevole nel tempo. Il grande investimento di Accademia Carrara attraverso nuove idee, progetti studiati e poi realizzati che costituiscono una proposta articolata e di prospettiva va proprio in questa direzione.