MAX ERNST

dal 4 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023

Apre a Milano, il 4 ottobre, la prima retrospettiva in Italia dedicata a Max Ernst (1891-1976), pittore, scultore, poeta e teorico dell’arte tedesco, poi naturalizzato americano e francese.

La mostra, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura e da Palazzo Reale con Electa, in collaborazione con Madeinart, è curata da Martina Mazzotta e Jürgen Pech.

Oltre 400 sono le opere tra dipinti, sculture, disegni, collages, fotografie, gioielli e libri illustrati provenienti da musei, fondazioni e collezioni private, in Italia e all’estero. Tra questi: la GAM di Torino, la Peggy Guggenheim Collection e il Museo di Ca’ Pesaro di Venezia, la Tate Gallery di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, il Museo Cantini di Marsiglia, i Musei Statali e la Fondazione Arp di Berlino, la Fondazione Beyeler di Basilea, il Museo Nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid.

Il lungo lavoro di studio e d’indagine compiuto dai curatori ha permesso di includere tra i prestiti, che vantano la presenza di un’ottantina di dipinti, anche opere e documenti che non venivano esposti al pubblico da parecchi decenni.

L’immensa vastità di temi e sperimentazioni dell’opera di Ernst si spalma su settant’anni di storia del XX secolo, tra Europa e Stati Uniti, sfuggendo costantemente a una qualsivoglia definizione. Pictor doctus, profondo conoscitore e visionario interprete della storia dell’arte, della filosofia, della scienza e dell’alchimia, Max Ernst viene presentato in questo contesto quale umanista in senso neorinascimentale.

Se André Chastel affermava di rinvenire in Ernst una sorta di “reincarnazione di quegli autori renani di diavolerie tipo Bosch”, Marcel Duchamp vi aveva rintracciato “un inventario completo delle diverse epoche del Surrealismo”.

Al piano nobile di Palazzo Reale i visitatori potranno immergersi in un avvincente itinerario che ripercorre l’avventurosa parabola creativa dell’artista, segnata dai grandi avvenimenti storici del XX secolo e costellata di amori straordinari, nonché di amicizie illustri. Il percorso narra le vicende biografiche di Ernst raggruppandole in 4 grandi periodi, a loro volta suddivisi in 9 sale tematiche che dischiudono approcci interdisciplinari alla sua arte.

Un’ampia, ideale biblioteca, quella dell’artista, fatta di libri illustrati, manuali per lo studio, fotografie, oggetti e documenti, si snoda attraverso tutto il percorso della mostra, invitando i visitatori ad attivarsi in giochi di rimandi e corrispondenze tra le fonti d’ispirazione e le opere stesse.

All’ingresso delle sale espositive il pubblico viene subito invitato a cimentarsi con un capolavoro che compie quest’anno un secolo, Oedipus Rex (1922).

Le prime due sale, intitolate 1. La rivoluzione copernicana; 2. All’interno della visione, accompagnano la prima parte della biografia di Ernst, Germania: 1891-1921.
Vi si narrano gli anni dell’infanzia e della formazione in Germania, fonti di memoria e ispirazione per tutta la vita dell’artista; la Grande Guerra, combattuta in prima persona ed equiparata a un periodo di morte; la risurrezione, il ritorno alla vita, il matrimonio e la nascita del figlio Jimmy, l’avvento rivoluzionario di Dada e l’invenzione del collage, la prima mostra in Francia e il proto-surrealismo.

La seconda parte della biografia – Francia, 1922-1940 – accompagna le due sale successive.
Nella numero 3. La casa di Eaubonne, ripropone una ricostruzione, integrata con frammenti originali, della casa affrescata in cui Ernst visse il ménage a trois con Gala e Paul Éluard.
Il ruolo centrale dell’amore, dell’amicizia e dell’erotismo nelle sue scelte e nella sua poetica diventa poi protagonista della sala 4. Eros e metamorfosi. Tra le opere presenti nelle prime 4 sale: Crocifisso (1914), Fiat Modes Pereat Ars (1919), I Cormorani (1920), Les Malheurs des Immortels (1922, nell’unica edizione acquarellata), i frammenti della casa di Eaubonne (1923), Il bacio (1927), Gli uomini non ne sapranno nulla (1927).
La mostra prosegue raccontando gli anni trascorsi da Ernst a Parigi e in Francia, l’affermarsi del Surrealismo, il secondo matrimonio con Marie-Berte e poi l’amore con Leonora Carrington, le amicizie profonde, gli scambi e le collaborazioni con tanti protagonisti delle avanguardie, i viaggi e le sperimentazioni, l’avvento della Seconda Guerra, la prigionia da “artista degenerato” ricercato dai nazisti. L’esilio negli Stati Uniti, organizzato grazie al supporto del figlio Jimmy e soprattutto di Peggy Guggenheim, che l’artista sposerà per un breve periodo, introduce alla parte della biografia America, 1941-1952.

L’inserimento nella scena internazionale di New York, il grande amore e poi il matrimonio con Dorothea Tanning, il trasferimento a Sedona, in Arizona, nella casa costruita e decorata dagli artisti, introducono alle successive sale: 5. I quattro elementi (foreste/terra, uccelli/aria, mare/acqua, orde/fuoco), 6. Natura e visione, 7. Il piacere di creare forme (Gestaltungslust) – il piacere dell’occhio (Augenlust). Qui emerge in particolare il ruolo che la natura e il paesaggio ricoprono nell’invenzione di tecniche (frottage, grattage, decalcomania e dripping), nella creazione di filoni del fantastico e del meraviglioso che investono anche la scultura e l’oreficeria, riflettendo una costante tensione dialettica tra parola e immagine, tra spirito e materia. Tra le opere presenti in queste sezioni, si segnalano Histoire Naturelle (1925), Monumento agli uccelli (1927), La foresta (1927-28), Uccello-testa (1934-35), Un orecchio prestato (1935), La città intera (1936-37), Un tessuto di menzogne (1959), La festa a Seillans (1964).

Il ritorno in Europa, 1953-1976, prosegue con la sala numero 8., intitolata Memoria e Meraviglia, che raccoglie opere dei diversi decenni e illustra come la storia della cultura, il ritorno dell’antico diventino fonti d’ispirazione e oggetto dell’arte meravigliosa di Ernst: un’arte che intrattiene con il passato e la memoria un rapporto intimo e consapevole.
Tra le opere presentate: Pietà o La rivoluzione la notte (1923), L’antipapa (ca.1941), L’angelo del focolare (1937), Sogno e rivoluzione (1945-’46), Progetto per un monumento a Leonardo da Vinci (1957), Tra le strade di Atene (1960), Hölderlin, Poemi (1961), Il Romanticismo (1964), Ritratto di un antenato (1974).
Un gran finale, con lo sguardo rivolto alle stelle, è rappresentato dalla sala 9. intitolata Cosmo e crittografie. Negli anni che precedono lo sbarco dell’uomo sulla Luna, arte e scienza dialogano nelle opere di Ernst, dischiudendo sguardi inediti sul cosmo e coinvolgendo l’astronomia come l’antropologia, la fisica come la patafisica. Opere, libri e cinema introducono alle straordinarie scritture segrete dell’artista, a quelle crittografie che si spingono oltre ai linguaggi codificati e si rivolgono a coloro che sono capaci di svelare i misteri del cosmo. Tra le opere esposte: Il mondo dei naives (1965), Il mondo dei confusi. Rifiuto assoluto di vivere come un tachiste (1965), Maximiliana o l’esercizio illegale dell’astronomia (1964).

Come in una grande Wunderkammer, e in analogia con l’universo di Max Ernst, la mostra e il volume che l’accompagna sfidano i visitatori a cimentarsi in affascinanti e intriganti giochi di percezione tra stupore e meraviglia, ove logica e armonia formale si accompagnano a enigmi impenetrabili, ove opere, tecniche e costellazioni di simboli conducono oltre la pittura.

Le ragioni di una mostra
Martina Mazzotta e Jürgen Pech
Curatori della mostra

Max Ernst: il dadaista, il surrealista, il romantico, il patafisico, l’umanista interessato al Rinascimento. È stato uno dei più grandi artisti del Novecento, uno dei più citati e discussi, elegante e dalla vita avventurosa come un romanzo, e tuttavia rimane poco conosciuto al grande pubblico.
Le ragioni sono molte. Innanzitutto, la sua opera sfugge a qualsiasi definizione tangibile, è estremamente varia e multiforme, impone di rinunciare ad approcci frettolosi, invitandoci allo studio e al confronto con altre discipline – ma è sempre anche gioco, curiosità, meraviglia.

In secondo luogo, Max Ernst non si è mai troppo autopromosso in vita: ha perlopiù condotto scelte libere e autonome, su tutti infronti. Un aneddoto lo vuole per esempio alla Biennale di Venezia, nel 1954, in occasione della cerimonia di consegna del primo premio alla pittura che l’artista aveva vinto un po’ inaspettatamente. Bloccato all’ingresso dalle resistenze di un usciere che non l’aveva riconosciuto, insieme con la moglie Dorothea Tanning, l’artista non insistette oltremodo, girò i tacchi e se ne andò per chiese, alla ricerca dei Tintoretto che desiderava ammirare fin dal suo arrivo in città. Occorre poi sottolineare che le opere e i capolavori di Max Ernst sono dislocati in moltissimi musei e collezioni private nel mondo, soprattutto tra Europa e Stati Uniti: orchestrarne un omaggio esaustivo risulta oggi un compito assai arduo. Da un decennio mancava a livello internazionale una grande mostra su di lui e questa in Italia è la prima retrospettiva. Noi curatori vi abbiamo lavorato intensamente, insieme con i produttori, attraversando tra l’altro i due anni di pandemia, determinati a costruire un progetto che riuscisse a illustrare tutta la parabola artistica di Max Ernst. Siamo riusciti a ottenere capolavori molto noti, così come opere che non si vedevano da parecchi decenni e vere rarità, oltre alla serie completa di libri e documenti collezionati e realizzati dall’artista stesso, qui presentati tutti per la prima volta.
I lettori di questo volume potranno attivarsi in giochi di analogie, rimandi, corrispondenze, come in un grande “sistema operativo”. Potranno creare collegamenti tra le opere e le loro fonti, intrecciare la straordinaria vita dell’artista con i grandi temi della sua arte (la memoria, la patafisica, le tecniche inventate, l’intervento su abitazioni come quella di Eaubonne, l’impegno sul fronte della scultura, della poesia, dell’arte orafa, del cinema).

La critica tedesca ha ampliato negli ultimi decenni le ricerche intorno a Max Ernst e si è riappropriata delle sue radici germaniche, come del resto fece lui stesso; in questo nostro progetto, la lettura del suo universo viene estesa in nuove direzioni e rinnovata. Un nuovo capitolo si aggiunge alla ricezione della sua figura, equiparata a quella di un umanista universale. Max Ernst è un artista molto colto: i suoi interessi non si limitano alle arti visuali, ma si estendono anche alla poesia, alla letteratura, alla filosofia, all’alchimia, alle scienze. La storia della cultura, il mondo interiore composto di ricordi, sogni e visioni, insieme con il grande libro della natura, rimangono per tutta la vita dell’artista le fonti privilegiate per rappresentare il “Gran Teatro del Mondo”. Esso si compone di foreste, uccelli, animali, corpi femminili e corpi celesti che si ibridano in maniera inattesa con l’artificio, con il mito, con i temi classici e sacri della storia dell’arte del Rinascimento italiano e tedesco, del Romanticismo, con gli strumenti della scienza e della tecnologia, formando costellazioni via via sempre diverse. In un continuo oscillare tra mimetismi e metamorfosi, tra animazione dell’inanimato e pietrificazione dell’animato, il filosofo-pittore apporta sino alla fine un messaggio ideologico fondato su una nuova arte del vedere, rivelandosi degno erede di quella lunga tradizione tardo-rinascimentale propria delle Wunderkammern.

La vita e l’opera di Max Ernst rappresentano un viaggio straordinario attraverso il Novecento e offrono geniali modalità per rendere poesia ciò che è banale, per guardare con coraggio al buio come alla luce, per estendere lo sguardo fino ai limiti estremi del visibile – ieri come oggi.