ANNIBALE CARRACCI
GLI AFFRESCHI DELLA CAPPELLA HERRERA

dal 17 novembre 2022 al 5 febbraio 2023

Le Gallerie Nazionali di Arte Antica presentano dal 17 novembre 2022 al 5 febbraio 2023 a Palazzo Barberini la mostra Annibale Carracci. Gli affreschi della cappella Herrera, a cura di Andrés Úbeda de los Cobos, vicedirettore del Museo del Prado, e organizzata con il Museo Nacional del Prado e il Museu Nacional d’Art de Catalunya.

“Questa mostra è il risultato del lavoro congiunto di tre grandi istituzioni internazionali; sarà un’occasione unica per capire cos’era la cappella Herrera in San Giacomo degli spagnoli, ammirata e imitata nel XVII e XVIII secolo e distrutta nel 1830, oltre naturalmente a costituire un’opportunità fondamentale per la ricerca e gli studi su Annibale Carracci e la sua bottega”, ha commentato Flaminia Gennari Santori, direttrice della Gallerie Nazionali di Arte Antica.

La mostra, che ha avuto due precedenti tappe, al Museo del Prado a Madrid e al Museu Nacional d’Art de Catalunya a Barcellona, riunisce il ciclo di affreschi ideato da Annibale Carracci per la decorazione della cappella di famiglia del banchiere spagnolo Juan Enriquez de Herrera nella Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a piazza Navona. 

Negli spazi della Sala Marmi e della Sala Paesaggi di Palazzo Barberini saranno esposti 16 affreschi, la pala d’altare di Annibale Caracci, proveniente dalla Chiesa di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli., una selezione di disegni, un video prodotto dal Museo del Prado che illustra le vicende legate alla genesi della cappella Herrera, agli autori e all’iconografia, alla Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, alla dispersione dei dipinti e infine al loro restauro.

In particolare nella Sala Marmi è stata ricostruita una struttura nelle uguali proporzioni della Cappella, all’interno della quale sono stati inseriti gli affreschi secondo la sequenza originaria del ciclo.

 

Annibale Carracci ricevette la commissione nei primi anni del Seicento, ideò l’intero ciclo dedicato al santo francescano Diego di Alcalá ed eseguì alcuni degli affreschi, finché nel 1605 la grave malattia che lo colpì – e dalla quale non si riprese più – lo costrinse ad affidarne l’esecuzione a Francesco Albani e a un piccolo gruppo di altri collaboratori, tra i quali Domenichino, Giovanni Lanfranco e Sisto Badalocchio. Carracci, con il probabile intervento degli aiuti, dipinse anche la pala d’altare, ora in una cappella della Chiesa di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli e, in occasione di questa mostra, eccezionalmente riunita agli affreschi che la circondavano nella cappella Herrera.

Nel XIX secolo la cappella fu smantellata e nel 1830 gli affreschi furono staccati, trasferiti su tela e portati nella Chiesa di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli. Poco dopo furono inviati in Spagna e divisi tra il Museo del Prado a Madrid e l’Accademia Reale Catalana di Belle Arti di Sant Jordi di Barcellona. 

Attualmente sette frammenti sono conservati a Madrid, nel Museo del Prado, e nove a Barcellona al Museu Nacional d’Art de Catalunya (MNAC). L’ubicazione dei rimanenti tre frammenti di decorazione, che apparentemente furono depositati nella Chiesa di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli, rimane ignota. 

Il ciclo di affreschi riveste un eccezionale rilievo, benché a causa della dispersione sia poco conosciuto. Il precario stato di conservazione dei dipinti, in particolare quelli conservati a Madrid, ne ha inoltre reso difficile lo studio e la valorizzazione. Il recente restauro ha permesso finalmente di affrontare la ricerca, approfondire gli studi e individuare in questo ciclo uno dei testi fondamentali per comprendere e definire lo stile tardo di Annibale, oltre che il talento di ognuno dei suoi collaboratori. 

In occasione della mostra è stato pubblicato il catalogo, una co-edizione tra le tre istituzioni organizzatrici della mostra, Museo Nacional del Prado, Museu Nacional d’Art de Catalunya, Gallerie Nazionali di Arte Antica, edito da Museo Nacional del Prado Difusión per la versione in spagnolo e catalano e da Skira Editore per la versione in italiano. 

Anche il volume è curato da Andrés Úbeda de los Cobos, e contiene, oltre saggi di Daniele Benati, docente di storia dell’arte moderna all’università di Bologna, Patrizia Cavazzini, Research Fellow alla British School at Rome e Advisor all’American Academy, Ignacio Fernández, conservatore-restauratore incaricato per l’intervento sugli affreschi della cappella Herrera della collezione del Museo del Prado, Paz Marquès, restauratrice-conservatrice specialista in pittura murale del Dipartimento di Restauro e conservazione preventiva del Museu Nacional d’Art de Catalunya, Mireia Mestre, Responsabile del Dipartimento di Restauro e conservazione preventiva del Museu Nacional d’Art de Catalunya, Ilaria Miarelli Mariani, professore di museologia all’Università degli Studi Gabriele d’Annunzio di Chieti, Maria Cristina Terzaghi, professore di storia dell’arte moderna all’università Roma Tre, Aidan Weston-Lewis, chief curator alle National Galleries of Scotland. 

 

PANNELLI DI SALA

La mostra riunisce per la prima volta gli affreschi e la pala d’altare che componevano la decorazione per la cappella Herrera nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a Roma: un ciclo straordinario, ma soprattutto la grande opera sconosciuta di Annibale Carracci.

Tra il XV e il XVIII secolo la chiesa di San Giacomo degli Spagnoli in Piazza Navona fu uno dei luoghi più rappresentativi per la nazione spagnola nell’Urbe. Nel 1602 il banchiere castigliano Juan Enríquez de Herrera (1539-1610 circa), un protagonista della finanza internazionale del tempo, fece costruire nella chiesa la cappella di famiglia, affidandone la decorazione ad Annibale Carracci. L’artista aveva appena completato con straordinario successo gli affreschi della Galleria di Palazzo Farnese. Carracci ideò l’insieme della decorazione e realizzò i cartoni per gli affreschi, condividendone fin dall’inizio l’esecuzione con Francesco Albani, uno dei pittori della sua cerchia. Tra la fine del 1604 e l’inizio del 1605 Annibale fu colpito da una grave malattia che gli impedì di proseguire il lavoro e Albani divenne il responsabile del cantiere, seppure sotto la supervisione di Carracci.

Dopo decenni di progressivo abbandono, all’inizio dell’Ottocento la decorazione di San Giacomo degli Spagnoli fu smantellata. I diciannove affreschi della cappella Herrera furono rimossi tra il 1833 e il 1836 e depositati assieme alla pala d’altare a Santa Maria in Monserrato, l’altra chiesa romana legata alla corona spagnola. Nel 1850 gli affreschi, trasferiti su tela, furono spediti in Spagna e suddivisi tra Barcellona e Madrid. Oggi nove sono custoditi al Museu Nacional d’Art de Catalunya e sette al Museo del Prado. La pala d’altare è rimasta nella chiesa di Santa Maria in Monserrato, mentre di tre affreschi non si conosce l’ubicazione.

I recenti restauri e la collaborazione tra il Museo Nacional del Prado, il Museu Nacional d’Art de Catalunya e le Gallerie Nazionali di Arte Antica hanno riportato alla luce questi dipinti eccezionali. Per la prima volta gli affreschi della cappella Herrera sono stati studiati, compresi e rivalutati, dopo che la loro dispersione e il precario stato di conservazione, in particolare dei dipinti conservati a Madrid, li aveva condannati a quasi duecento anni di oblio. Per la prima volta dal 1833, in occasione delle tre mostre di Madrid, Barcellona e Roma gli affreschi superstiti e la pala d’altare vengono riuniti. L’allestimento di Palazzo Barberini è tuttavia del tutto diverso da quelli delle mostre precedenti: abbiamo infatti ricostruito il volume della cappella Herrera, in modo che lo spettatore possa comprendere nel suo insieme lo schema decorativo concepito da Annibale Carracci ed eseguito dai suoi più stretti collaboratori.

 

La chiesa di San Giacomo degli Spagnoli

Sia per i pellegrini che giungevano numerosissimi a Roma, sia per i forestieri che vi risiedevano per periodi più o meno lunghi, le confraternite laiche delle comunità straniere erano un punto di riferimento fondamentale: gestivano ospizi e ospedali oltre alle chiese delle diverse nazionalità.

La chiesa e l’ospedale di San Giacomo erano il centro della comunità spagnola, nota per le cerimonie e le feste, laiche e religiose, che si tenevano a piazza Navona. Qui si celebravano nascite ed esequie dei reali di Spagna.

Fra le prime chiese rinascimentali costruite a Roma, San Giacomo in origine affacciava sulla via della Sapienza, l’attuale corso Rinascimento. Fu il papa spagnolo Alessandro VI Borgia, in vista del giubileo del 1500, a ordinare il prolungamento delle navate e la costruzione di una nuova facciata su piazza Navona. Il suo aspetto esterno è noto grazie alle numerose raffigurazioni, fra cui la celebre Veduta di piazza Navona che Gaspar Van Wittel replicò più volte tra il 1688 e il 1721.

Dalla seconda metà del Settecento, parallelamente al declino politico della Spagna, la comunità iberica si andò rarefacendo e iniziò il degrado della chiesa, che agli inizi dell’Ottocento, quasi in rovina, fu chiusa al culto. Con il riassetto urbano del 1936 e l’apertura di corso Rinascimento, San Giacomo fu accorciata di una campata e l’antica cappella Herrera, ormai spogliata di ogni decorazione, divenne l’ingresso della nuova sacrestia.

Le immagini che testimoniano l’aspetto dell’interno della chiesa originaria sono estremamente rare. Le fonti visive più affidabili sono le incisioni a corredo dei testi delle esequie dei reali spagnoli, che raffigurano gli apparati effimeri eretti nella chiesa di cui riproducono interno e planimetria. A Ferdinando Fuga spettano i disegni preparatori delle stampe che illustrano i funerali di Filippo V di Spagna, tenuti nel 1746 in San Giacomo degli Spagnoli.

 

La decorazione della cappella Herrera (1604-1605)

Nel 1602 il banchiere Juan Enríquez de Herrera, trasferitosi a Roma nel 1568, volle edificare nella chiesa della propria nazione la cappella funeraria per sé e i propri eredi intitolandola al santo al quale attribuiva la miracolosa guarigione del figlio Diego.

Diego di Alcalá, francescano andaluso vissuto nel XV secolo, fu canonizzato nel 1588. L’iconografia del santo era all’epoca del tutto nuova: pochi i riferimenti relativi al suo aspetto e ancora non del tutto stabilito l’elenco dei suoi miracoli. Le fonti lo descrivono come un personaggio semplice, dalla vita priva di eventi clamorosi.

In sintonia con la biografia del francescano e con la nuova concezione della pittura religiosa a Roma alla fine del Cinquecento – che prediligeva per la diffusione dell’iconografia dei santi la narrazione di episodi della loro vita quotidiana – Annibale Carracci concepì il più importante ciclo dedicato a san Diego.

L’artista stabilì l’iconografia del santo in maniera definitiva: raffigurò il religioso come un giovane dalla figura slanciata, rappresentando senza enfasi la sua vita modesta e i miracoli da lui operati. Il ciclo fu vivamente elogiato dai contemporanei e non a caso interpreti straordinari come gli spagnoli Zurbarán, Ribera e Murillo rimasero fedeli all’iconografia concepita da Annibale, mentre i pittori della sua cerchia, tra cui Francesco Albani e Domenichino, la resero popolare in Italia.

L’insieme decorativo presenta complessi problemi attributivi, la cui ragione principale è nelle condizioni conservative dei dipinti che non consentono un’adeguata analisi formale. Lo stesso metodo di lavoro della bottega di Annibale, del resto, rende difficile identificare le diverse mani. L’inventio, l’idea, spetta esclusivamente ad Annibale, il quale si ispirava a Raffaello non soltanto dal punto di vista compositivo e formale ma anche nella gestione del lavoro, attraverso il ricorso ai suoi collaboratori più qualificati, con i quali condivideva l’esecuzione delle commissioni sempre più numerose.

La decorazione della cappella fu compiuta in brevissimo tempo, come risulta dalle giornate di lavoro evidenziate nei singoli affreschi durante i restauri, sebbene la collaborazione tra Carracci e Albani debba avere necessariamente rallentato il loro procedere. Fu la commissione più importante della tarda carriera di Annibale, il quale, dopo essersi gravemente ammalato mentre vi lavorava, non assunse più incarichi di rilievo. Morì il 15 luglio 1609, appena tre anni dopo la conclusione di questi dipinti.

La tela con la Veduta di piazza Navona fu realizzata da Gaspar van Wittel tra 1688 e il 1721. Sul lato sinistro della composizione campeggiano Palazzo Pamphili e la chiesa di S. Agnese in Agone, mentre a destra, tra i due edifici degli ospedali spagnoli, vediamo la facciata originaria della chiesa di San Giacomo con i tre portali sormontati da finestre. La piazza è colta nel suo aspetto quotidiano, percorsa da carrozze e animata da una folla di personaggi. Sui gradini di San Giacomo indugiano alcune figure appena uscite dalla chiesa.

Nel 1746 Ferdinando Fuga progettò l’apparato funebre di San Giacomo per i funerali solenni di re Filippo V di Spagna, mancato nel luglio di quell’anno, e realizzò i disegni preparatori per una serie di incisioni edite a Roma nel settembre del 1746, col titolo “Relacion de las Exequias hechas en Roma a la Majestad Catolica del Rey Nuestro Senor Don Phelipe V”. I disegni mostrano le due facciate di San Giacomo isolate dal contesto, tra ruderi decorativi e, nel solco della tradizione delle vedute, affollate da molte figure. La facciata verso piazza Navona è rivestita da un sipario dipinto e a stucco, con drappeggi e trofei. Gli stessi motivi ricorrono nel rivestimento, meno sfarzoso, del prospetto sulla Sapienza. Anche l’interno della chiesa era adornato di drappeggi che ne ricoprivano l’architettura gotica. Nella pianta e nella sezione longitudinale è individuabile la cappella Herrera, la seconda a sinistra entrando dalla facciata sulla Sapienza.

Sono studi preparatori per gli affreschi della cappella, o ad essi collegati, i disegni attribuiti ad Annibale Carracci e Francesco Albani, nei quali i due artisti elaborarono le idee poi utilizzate nella decorazione.

Dal Museo del Louvre provengono tre studi compositivi. Il Padre Eterno è attribuito a Francesco Albani fin dalla metà del Seicento. Le differenze con l’affresco (n. 20) fanno escludere che si tratti di una copia. L’assegnazione ad Albani è generalmente accettata anche per i disegni riferiti agli affreschi con Il Ristoro miracoloso (n. 18) e San Diego che riceve l’elemosina (n. 16).

Lo Studio di figura inginocchiata del Museo Horne, per quanto non corrisponda con precisione al dipinto, è accostabile alla figura del santo nell’affresco con san Diego che riceve l’elemosina (n.16). Caratteristiche stilistico-formali fanno ritenere possibile l’assegnazione a Carracci.

Nello Studio per san Paolo degli Uffizi le piccole variazioni nelle pieghe del panneggio e nella struttura della testa hanno indotto a considerare il foglio, non un’anonima copia successiva, ma uno studio che Albani potrebbe aver realizzato per l’esecuzione dell’affresco.