DOSSO DOSSI. IL FREGIO DI ENEA
DOSSO DOSSI. IL FREGIO DI ENEA
Mostra a cura di Marina Minozzi
COMUNICATO STAMPA
Dal 4 aprile all’11 giugno 2023 la Galleria Borghese porta a compimento la sua ricerca sulla pittura di paesaggio e il rapporto tra Arte e Natura con Dosso Dossi. Il Fregio di Enea, una mostra inedita – la prima dedicata al ciclo pittorico del grande Maestro ferrarese – a cura di Marina Minozzi.
Per la prima volta vengono riunite in un’unica sede cinque delle dieci tele che componevano il fregio realizzato da Dosso Dossi tra il 1518 e il 1520 per il Camerino d’Alabastro del Duca Alfonso I d’Este a Ferrara. L’operazione, anche dettata dall’entusiasmo per la recente ricomparsa di alcuni di questi dipinti, è frutto di un’ambiziosa collaborazione con il Louvre Abu Dhabi, la National Gallery of Art di Washington D.C. e il Museo del Prado di Madrid.
Il Fregio, di cui ad oggi sono state ritrovate soltanto sette tele, è stato realizzato da Dosso Dossi traendo ispirazione da alcuni episodi specifici del poema virgiliano tratti dal primo, terzo, quinto e sesto libro, tralasciando invece la parte dedicata alla storia d’amore dell’eroe con Didone, quella delle guerre in Italia e la fondazione di Roma.
Commissionato da Alfonso I per il suo camerino delle pitture, dove vicende di Bacco e Venere (madre di Enea) si mescolano all’esaltazione della temperanza nei governanti e la celebrazione di chi si dedica alla fondazione di città, il ciclo è legato in modo complesso e diversamente interpretato agli altri dipinti allora presenti di Bellini, Tiziano e dello stesso Dosso.
In mostra, accanto a Viaggio agli Inferi dal libro VI, appartenente a una collezione privata, La peste a cretese dal libro III e l’Arrivo dei Troiani sulle coste libiche e giochi siciliani in memoria di Anchise dal libro V provenienti dal Louvre Abu Dhabi, l’Arrivo dei Troiani alle isole Strofadi e l’attacco delle Arpie dal libro III proveniente dal Museo del Prado di Madrid, La riparazione delle navi troiane e La fondazione di una città in Sicilia, originariamente un’unica tela, dal libro V della National Gallery of Art di Washington D.C.
Queste tele, in cui la vena fantastica e immaginifica di Dosso viene esaltata dalle storie della poesia antica, sono caratterizzate da colori vibranti, un’affascinante eccentricità e composizioni originali, che le rendono un esempio brillante della creatività dell’artista, e di quell’ambiente artistico ferrarese cinquecentesco che acquista nuova vitalità nella grande stagione del Barocco.
Il Fregio di Enea arriva nella collezione di Scipione Borghese nel 1608 per rimanervi documentato fino alla fine del Settecento ed è acquistato dal pittore e direttore del Prado Josè de Madrazo (1781-1859) probabilmente durante il soggiorno romano (1803-1819); è lo stesso de Madrazo, nel catalogo del 1856 della sua collezione, a descrivere il ciclo pittorico come quello che correva sopra I Baccanali di Tiziano nel camerino delle pitture del Castello di Ferrara.
Per Scipione – che, oltre a essere proprietario anche del dipinto Enea che fugge da Troia di Federico Barocci, nel 1618 commissionò a Gian Lorenzo Bernini il suo primo gruppo scultoreo, Enea, Anchise e Ascanio – la vicenda di Enea come fondatore di Roma e di un nuovo impero aveva un profondo significato, legato all’esistenza del pontificato e al suo rapporto con la città. Il fregio, depurato dall’autore degli effetti negativi della passione amorosa e della guerra, offre Enea nella sua accezione più positiva: eroe e uomo incarnazione della pietas romana, che aveva trasformato il dolore dell’esilio in un’impresa che avrebbe riscritto il suo destino e quello del mondo.
Nei dipinti di Dosso Dossi è presente una sorta di paesaggio universale, un campionario di elementi: le coste, il mare, le colline, le città in costruzione, il paesaggio infernale, che Enea osserva scendendo nel mondo ultraterreno. Nello stesso tempo l’eroe in viaggio verso la fondazione di una nuova patria, sottolinea la centralità di Roma, nel Cinquecento e nel Seicento, per gli artisti europei.
Con questa mostra, infatti, la Galleria Borghese conclude il percorso intrapreso nel 2021, dedicato al paesaggio, per aprire un nuovo filone di ricerca dedicato al viaggio e allo sguardo degli artisti stranieri sull’Italia.
INTRODUZIONE
Il Fregio di Enea di Dosso Dossi (1468-1542) ornava originariamente la fascia superiore delle pareti del Camerino d’Alabastro di Alfonso I d’Este (1476-1534), luogo leggendario del Rinascimento europeo realizzato nell’arco di oltre un decennio a partire dal 1513. Vi erano ospitati i celeberrimi Baccanali di Bellini, Tiziano e dello stesso Dosso secondo il programma ideato dall’umanista campano Mario Equicola, che per l’intera decorazione del Camerino aveva immaginato “sei fabulae o vero hystorie” per “la pictura di una camera” del duca; in questo ambito di complessi significati e relazioni iconografiche la storia di Enea, intesa in senso neoplatonico come “percorso di errori ma anche di crescita”, secondo la definizione di Alessandro Ballarin, interpretava le vicende del committente in senso politico.
In seguito alla devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio nel 1598, il Camerino venne spogliato dei suoi capolavori da parte dei cardinali della corte pontificia, definiti dalle fonti contemporanee “romane arpie”. Il camerino venne così privato del nucleo principale della decorazione, che comprendeva Il Festino degli dei di Giovanni Bellini, completato da Tiziano (National Gallery of Art, Washington); Gli Andrii e l’Offerta di Venere di Tiziano (Madrid, Museo del Prado); Bacco e Arianna di Tiziano (Londra, National Gallery), oltre a una quinta tela che parte della critica ha in tempi recenti identificato con un Trionfo di Bacco (oggi a Mumbai), attribuito allo stesso Dosso Dossi.
A differenza dei Baccanali, prelevati dal cardinale Pietro Aldobrandini per la sua collezione, le dieci tele del Fregio di Enea rimasero in situ fino al 1608, quando entrarono a far parte della raccolta del cardinale Scipione Borghese (1577-1633), nipote di papa Paolo V “entrato in humore di belle pitture”, insieme a molti altri dipinti di artisti ferraresi e dello stesso Dosso Dossi, tra i quali la Melissa, l’Apollo e Dafne e i SS. Cosma e Damiano, esposti in occasione della mostra in questa stessa sala.
La figura di Enea, pio e virtuoso eroe virgiliano, il cui approdo nel Lazio era ritenuto alle origini della fondazione di Roma, futura sede dell’impero universale della chiesa romana, ricopriva una particolare importanza anche nel contesto del pontificato Borghese, tanto da essere rappresentata in due capolavori della Galleria: nel grande dipinto di Federico Barocci, La fuga di Enea da Troia e nel gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini commissionato dallo stesso cardinale. Ma la presenza dei paesaggi in cui Dosso ambienta il poema di Virgilio genera altri rimandi alla collezione Borghese, come ad esempio ai quattro tondi di Francesco Albani con le storie di Venere e Diana, al di sotto dei quali nel palazzo Borghese di Ripetta, quando alla fine del Seicento il soggetto epico era ormai dimenticato nella scrittura degli inventari, si trovavano disposte alcune tele del Fregio: una suggestione che la mostra consente di rievocare.
Documentata fino alla fine del XVIII secolo in casa Borghese, la serie riappare ancora completa nel 1856 a Madrid nel catalogo della raccolta personale del direttore del Prado José de Madrazo y Agudo (1781-1859), per poi essere successivamente dispersa in varie collezioni. Oggi si conoscono solo sette delle dieci tele.
Dosso rappresenta episodi tratti dai libri I, III, V e VI dell’Eneide senza uno stretto rapporto cronologico, concentrando più eventi nello stesso dipinto: dal naufragio sulle coste libiche al profetico sbarco in Sicilia, dai giochi in onore del defunto Anchise al viaggio agli Inferi.
Nel narrare le gesta del racconto virgiliano Dosso rimane aderente al testo, ma popola le scene con una miriade di figure vivaci, a volte piccole e trattate in maniera veloce, bizzarre e umanissime, in sgargianti abiti cinquecenteschi, immerse in paesaggi fantastici in cui gli edifici si confondono con i colori del cielo e dell’orizzonte, avvolti da una vegetazione lussureggiante. Attraverso il suo stile estroso e inconfondibile Dosso rivela la capacità di trasformare il mito in una “favola a colori”.
La mostra è l’occasione per ammirare la maggior parte del Fregio: le tele, provenienti dal Louvre Abu Dhabi, dalla National Gallery di Washington, dal Prado e da una collezione privata, sono eccezionalmente riunite per questo evento e per la prima volta esposte insieme.
DOSSO DOSSI
(Giovanni di Nicolò Luteri, Tramuschio ?, 1487 circa – Ferrara, 1542)
La peste cretese
1520-1521 circa – Olio su tela
Abu Dhabi, Louvre Abu Dhabi
“[…] quando d’improvviso giunse una peste,
corrottasi la regione del cielo,
funesta e miserevole per i corpi,
gli alberi ed i seminati annata mortale,
lasciavano le dolci vite o trascinavano malati i corpi.”
Virgilio, Eneide, libro III, 137-141
Il dipinto raffigura il drammatico episodio del libro III dell’Eneide in cui sui Troiani, appena sbarcati a Creta, si abbatte una terribile pestilenza che decima uomini e animali. Gran parte della tela è dominata dagli effetti del morbo sulla popolazione, giunta sull’isola greca a seguito dell’errata indicazione di Anchise che la descriveva come il luogo deputato alla costruzione di una nuova Troia. A sinistra, parzialmente visibile a causa della ripiegatura della tela sul telaio, un altro momento del libro III, in cui Enea – riconoscibile dall’elmo piumato – e il padre Anchise incontrano il re Anio, sacerdote di Apollo.
Ancora di difficile interpretazione è, invece, la scena sullo sfondo a destra, popolata da una miriade di piccole figure che, forse, allude ad un momento di effimera serenità vissuto dai troiani a Creta.
Arrivo dei Troiani alle isole Strofadi e attacco delle Arpie
1518-1519 circa – Olio su tela
Madrid, Museo Nacional del Prado
“Pronte piombano, orrende calando dai monti, le Arpie
e con grandi schiamazzi sbattono le ali e rapinano
le vivande, e insozzano tutto col loro contatto
sudicio, fra sinistre strida e lezzo schifoso.”
Virgilio, Eneide, libro III, 225-228
La tela si compone di due distinti episodi, entrambi del libro III. Nella metà sinistra, si assiste al banchetto che i Troiani allestiscono appena giunti alle isole Strofadi. Qui, le Arpie, mostri alati con teste di donna, li attaccano insudiciando il banchetto poiché gli esuli si erano resi colpevoli di aver ucciso il bestiame sacro dell’Isola. Al contrattacco troiano, guidato da Enea a cavallo e dal trombettiere Miseno, risponde Celano, la più crudele delle arpie, dipinta all’estrema sinistra sulla rupe mentre profetizza sventure al popolo troiano. A destra, in primo piano, un’altra scena: il gruppo intento a rifocillarsi all’ombra di un boschetto fa, probabilmente, riferimento all’incontro tra Enea, Anchise, Andromaca, vedova di Ettore, e il suo nuovo sposo Eleno che indicherà a Enea l’Italia come prossima meta.
Giochi siciliani in memoria di Anchise e fondazione di una città in Sicilia
1518-1519 circa – Olio su tela
Abu Dhabi, Louvre Abu Dhabi
“Poi iniziano, affrontandosi, altri giri ed altri ritorni
negli spazi, ed intrecciano giri alterni con giri
evocano finte di guerra sotto le armi.”
Virgilio, Eneide, libro V, 582-584
La tela si presenta come una tra le più complesse da interpretare a causa dei diversi episodi che vi sono raffigurati. La folla assiepata a sinistra sta assistendo ai giochi indetti per commemorare Anchise, il padre di Enea (libro V): è sicuramente presente la gara di tiro con l’arco, riconoscibile dagli uomini al centro del dipinto, più incerte sono le altre discipline, forse la gara di pugilato e i caroselli equestri oppure la corsa dei cavalli e la gara delle navi. Sullo sfondo si alza il fumo del rogo delle navi appiccato dalle donne troiane, stanche del continuo vagare e ingannate da Iris e Giunone, rappresentate probabilmente sulla nuvola in cielo, in un bagliore che rimanda alla Madonna di Foligno raffaellesca.
All’estrema destra, invece, è dipinto Enea in atto di tracciare il perimetro di una nuova città, Acèsta, per tutti coloro che vorranno fermarsi in Sicilia.
La riparazione delle navi troiane; La costruzione del tempio di Venere a Erice e offerte alla tomba di Anchise
1518-1519 circa – Olio su tela
Washington, DC National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection
“Gli altri riparano i banchi, e le tavole rose dal fuoco sopra le navi restaurano, apprestano e i remi e le gòmene, pochi di numero, eppure in guerra di vivo valore.” La tela, tagliata nel Novecento, è stata ricomposta in occasione della mostra, e narra di episodi del libro V. Nella parte sinistra si possono vedere figure intente a riparare le navi dopo il rogo appiccato dalle donne troiane – come appare nel dipinto di Abu Dhabi. In primo piano due uomini in vesti rinascimentali – probabilmente identificabili con il re Aceste ed Enea, assistono pensierosi alla scena.
Nella metà destra, il popolo troiano è ormai da tempo sbarcato in Sicilia. Una miriade di piccoli personaggi si affollano sulla tomba di Anchise per portare offerte e compiere sacrifici, mentre in alto è in costruzione un tempio dedicato a Venere, attorno al quale si possono ancora scorgere parte delle impalcature Virgilio, Eneide, libro V, 752-754
“Quindi vicino agli astri, in cima all’Erice un tempio viene fondato a Venere Idàlia, e alla tomba di Anchise un sacerdote e un sacro bosco assai ampio si aggiungono.” Virgilio, Eneide, libro V, 759-761
Il Viaggio agli Inferi
1518-1519 circa – Olio su tela
Roma, collezione privata
“Qui si sentivano gemiti e frustate crudeli risuonavano,
poi stridore di ferro e catene strascinate.”
Virgilio, Eneide, libro VI, 556-557
Il viaggio di Enea, nel libro VI, lo conduce a transitare nei diversi regni dell’Oltretomba, guidato dalla Sibilla Cumana. La tela, è dedicata totalmente ai peccatori del Tartaro. Enea e la Sibilla non sono presenti, perché nel poema la scena viene solo descritta all’eroe. Infatti, egli non metterà mai realmente piede nella parte più profonda dell’Ade. Qui, mostruosi carnefici vessano le anime dei dannati, tra cui si riconosce Tizio sulla sinistra, riverso a terra con l’aquila che gli divora il fegato. All’estremità opposta si scorge Caronte intento a traghettare gli spiriti sull’Acheronte. In questo dipinto, più che negli altri della serie, Dosso dà libero sfogo alla sua estrosa fantasia, creando una sequenza di scene che rimandano clamorosamente alla pittura immaginifica del neerlandese Hieronymus Bosch.
A seguito di questa visione, Enea raggiungerà i Campi Elisi dove potrà rivedere il padre Anchise.
MELISSA
Il soggetto è stato identificato come Melissa, la maga che nell’Orlando Furioso contrasta i malefici di Alcina. L’atmosfera fiabesca evocata dal dipinto può essere considerata la trasposizione in pittura del poema di Ludovico Ariosto. Dall’affascinante dipinto emerge un raffinato gusto per l’esoterico, tradizionalmente legato alla cultura ferrarese fin dal secolo XV. Attraverso un intenso colorismo di matrice veneta, Dosso riesce a rendere viva la materia, animandola con bagliori luminosi che conferiscono qualità tattili agli oggetti: dal metallo dell’armatura vuota, in primo piano, alla veste serica della maga, dal pesante drappo poggiato sulle sue gambe alla fiamma guizzante nel braciere.
Le chiome degli alberi e i personaggi in secondo piano richiamano da vicino le scene del Fregio di Enea.
I SANTI COSMA E DAMIANO
Commissionato a Dosso per l’Ospedale di S. Anna di Ferrara, il dipinto venne inviato nel 1608 in dono al cardinale Scipione Borghese. Nell’originalissima composizione i santi Cosma e Damiano, che la leggenda vuole gemelli e medici, tengono in mano l’uno un ferro chirurgico, l’altro un bicchiere di vetro, sul cui contenuto sembrano consultarsi con lo sguardo. Ai loro piedi è semisdraiato un infermo rivolto di spalle, simile ad alcuni personaggi rappresentati nel ciclo di Enea, mentre sulla destra una figura femminile si rivolge allo spettatore.
Nell’atmosfera astratta fa spicco l’impianto plastico delle figure, morbidamente reso attraverso la tipica stesura per velature.
APOLLO E DAFNE
Al centro del dipinto campeggia Apollo nell’atto di suonare la rinascimentale lira da braccio, secondo un’iconografia assai frequente in quanto dio della poesia e della musica ma inconsueta nella rappresentazione del celebre racconto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio. La piccola figura di Dafne, fuggente mentre si va tramutando in alloro, appare in secondo piano, delineata con poche pennellate capaci di rendere con estrema poeticità lo struggente dramma narrato dal mito, così come il volto e il gesto appassionato di Apollo emergenti dall’ombra. La figura possente del dio evoca richiami alla scultura antica, come il Torso del Belvedere, e al Parnaso di Raffaello.