ANSELM KIEFER. ANGELI CADUTI
L’imponente Caduta dell’angelo apre la mostra di Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi. Concepita per il cortile e visibile a tutti coloro che attraversano questo incantevole luogo della città, l’opera introduce ai temi sviluppati nelle sale del piano nobile, lasciate nella loro essenziale proporzione architettonica: la caducità e la trasformazione, l’imperfezione dell’essere umano, la complessità del mondo e la necessità di comprendere il significato della vita.
Engelssturz, l’angelo caduto per essersi ribellato a Dio “è un quadro che, come molti altri miei lavori, ruota attorno alla teodicea. Le religioni monoteiste in particolare hanno difficoltà a risolvere la contraddizione tra l’onniscienza, la bontà e l’assoluta bontà di Dio e le condizioni catastrofiche in cui versa il mondo”. Il soggetto tratto dall’Apocalisse “spiega come il Male sia arrivato nel Mondo e abbia dato origine al Peccato originale. […] Per i cristiani è l’inizio del Mondo, l’inizio del Male”. L’iconografia di Michele, che con la destra impugna la spada e con l’indice sinistro addita il divino, trae ispirazione dalla Cacciata degli angeli ribelli di Luca Giordano (o San Michele, 1689-1702).
Lo stesso tema ritorna con Luzifer (2012-2023) còlto nell’istante che lo vede precipitare sulla terra sotto l’imponente ala di un aereo sporgente dalla tela, con impresso il nome in ebraico di Michele. “Gli angeli hanno molte forme. Satana era un angelo. Non siamo in grado di immaginare Dio in uno stato puro. Abbiamo bisogno di simboli meno puri, che comprendano elementi umani”. Privati dell’essenza divina gli insorti cadono come vesti vuote sulla terra. Kiefer ripropone la dualità tra il Bene e il Male, tra la spiritualità e la materia simboleggiate dagli angeli celesti e da coloro che sono caduti.
Insurrezione e rovina si accostano anche alla figura di Marco Aurelio Antonino, giovanissimo imperatore romano dal 218 al 222 d.C., detto Eliogabalo per la sua devozione a El-Gabal, divinità solare originaria di Emesa, l’antica città siriana dove era nato. Alla sua figura fanno riferimento le opere Sol Invictus. Heliogabal e Für Antonin Artaud: Helagabale (Per Antonin Artaud: Eliogabalo) entrambe del 2023. L’interesse di Kiefer per Marco Aurelio Antonino risale già agli anni Settanta, all’incontro con l’opera di Jean Genet che al ragazzo imperatore-dio aveva dedicato il dramma Héliogabale, scritto dal carcere nel 1942; ma è al romanzo di Artaud Héliogabale ou l’anarchiste couronné, del 1932, che si ispira il dipinto di Kiefer. Eliogabalo scrive con l’audacia e la consapevolezza delle sue azioni il proprio tragico destino. Sacerdote, imperatore, sovvertitore della morale, solleva una rivoluzione religiosa in seno al più grande impero del mondo antico, causa della sua brutale morte per mano dei pretoriani.
Il culto solare celebrato sotto varie forme ha accompagnato tutte le civiltà attraverso i secoli. Immagine di rinascita è Sol Invictus, il “Sole mai vinto”, che risorge dall’oscurità per governare la Natura. Simboleggiato da un gigantesco girasole al culmine della maturità sparge i suoi semi sul corpo dell’artista, come costellazioni del cosmo. La corrispondenza tra piante e sfere planetarie rimanda al medico, filosofo e alchimista inglese Robert Fludd (1574-1637), in particolare ai suoi studi sull’origine e la struttura del cosmo, che trovano una risposta al rapporto tra l’universo e l’uomo in quelle che egli definisce “le corrispondenze segrete” tra il “mondo più grande” e il “mondo più piccolo”, tra macrocosmo e microcosmo.
Il girasole è anche un omaggio all’amato Van Gogh di cui il giovanissimo Kiefer, dall’Olanda alla Francia, ha ripercorso la strada.
L’immagine dell’artista rivolto verso il cielo in una simbolica connessione con l’universo si ripropone nell’opera Hortus Philosophorum (1997-2011), resa maestosa dalla sua monumentale verticalità. L’idea del girasole che cresce e trae nutrimento dall’ombelico dell’artista prende ispirazione dal manoscritto Miscellanea d’Alchimia (1460-1475), conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, conosciuto dall’artista sin dai primi anni Settanta e tradotto in altri lavori ed azioni. L’opera evoca la natura ciclica della vita e il tema della trasformazione. “Credo che siamo delle piccolissime parti del mondo. Quando morirò, le mie piccolissime parti andranno a mescolarsi con il resto”. Il giardino è insieme anche luogo della spiritualità, della conoscenza e del pensiero filosofico.
Comprendere il significato dell’universo e dell’esistenza è ciò che la filosofia si è proposta sin dall’antichità. Un omaggio a questi grandi pensatori sono La Scuola di Atene, Vor Sokrates (Prima di Socrate) e Ave Maria, tre grandi tele inedite del 2022. “La filosofia presocratica mi ha colpito quando ero a scuola: Anassimandro secondo cui tutto viene dall’aria, Anassimene per cui tutto deriva dall’acqua, Democrito che ha già concepito gli atomi, mi hanno interessato perché volevano descrivere il mondo, come funziona. […] Io non sono un platonico, ho studiato il mito della caverna, ma non sono platonico. Non credo che ci sia un sistema al di sopra di noi, la metafisica; credo che in ogni materiale che utilizzo, come la sabbia, la paglia, il piombo, credo che in ogni oggetto, persino nella pietra, ci sia consapevolezza, ci sia lo spirito che l’artista fa uscire”.
I libri alimentano lo sconfinato mondo poetico di Kiefer. “I poemi costituiscono quasi l’unico reale per me. Essi sono come fari nel vasto mare; io navigo dall’uno all’altro, senza di loro non ci sarebbe nulla”.
Locus solus (2019-2023) rimanda al rapporto tra immaginazione e linguaggio, tra verbale e visuale. L’opera si ispira all’omonimo romanzo di Raymond Roussel del 1914, in cui il protagonista-inventore mette in scena per i suoi visitatori uno straordinario parco delle meraviglie, dove macchine e artifici fantastici vivono nella capacità di affabulare del loro creatore. “È un autore completamente folle (…) nel testo realizza dipinti con i denti e questo mi ha impressionato, perché diverso da tutto ciò che conosciamo. Tutto è artificiale. È un libro che troppo pochi conoscono”. Elementi evocativi del romanzo sono sparsi sull’asfalto dissestato della vetrina, mentre dall’alto pende una “emanazione” in piombo che allude al processo creativo secondo la Cabala lurianica. La vetrina “è in qualche modo una pelle semipermeabile che collega l’arte con il mondo esterno in una relazione dialettica”, utilizzata da Kiefer dalla fine degli anni Ottanta.
A phantom city, phaked of philim pholk e archaic zelotypia and the odium teologicum del 2023 sono un omaggio a Finnegans Wake, l’ultima opera di James Joyce pubblicata nel 1939. In Finnegans Wake c’è la storia di un uomo tra sogni e veglie, ma c’è soprattutto la lingua, vera protagonista del romanzo: una lingua magmatica e babelica che demolisce l’inglese per dare spazio ad altri infiniti significati della parola. Come l’apparente caos del linguaggio sorregge l’architrave del capolavoro joyciano, simbolicamente sostiene le mura delle città fantasma di Kiefer, i cui titoli fatti di giochi di parole e neologismi seguono la scrittura del romanzo.
L’impatto con l’installazione Verstrahlte Bilder (Dipinti irradiati, 1983-2023) è folgorante: una sala interamente rivestita dalle pareti al soffitto con opere create nell’arco degli ultimi decenni e poi sottoposte alle radiazioni, che si riflettono su un grande tavolo specchiante posto al centro. La rielaborazione delle opere anche a distanza di molti anni è il modus operandi di Kiefer. “Le mie opere sono perpetuamente in uno stato di evoluzione; non sono mai finite. […] Nel caso dei dipinti irradiati ho usato qualcosa di nuovo per accelerare lo sviluppo, o l’evoluzione, dell’opera: il plutonio. L’irradiazione lascia spazio all’incontrollabile. Alcuni strati del dipinto rimangono intatti, altri vengono distrutti, altri ancora si accendono improvvisamente di nuova vita. (…) Dopo il trattamento radioattivo sui miei dipinti – alcuni risalenti a quarant’anni fa – sono rimasto sorpreso dal gran numero di mutazioni”. Se da una parte questi dipinti generano un sentimento di profonda inquietudine e una visione apocalittica del mondo, dall’altra ci lasciano come affascinati dalla forza trasformativa e rigenerativa dell’arte. “Ora soffrono di malattie da radiazione e sono diventati temporaneamente meravigliosi”.
Il tema della catastrofe è sotterraneo a molta parte dell’opera di Kiefer, nato nel 1945, pochi mesi prima la caduta della Germania nazista, in un paese devastato dalla guerra. “Le macerie non rappresentano solo una fine, ma anche un inizio […] Le macerie sono come il fiore di una pianta; sono l’apice radioso di un metabolismo incessante, l’inizio di una rinascita. E quanto più a lungo riusciamo a rimandare il riempimento degli spazi vuoti, tanto più pienamente e intensamente possiamo produrre un passato che produce con il futuro come riflesso in uno specchio”.
I poemi mitologici, come la letteratura e la poesia, sono anch’essi una parte importante del processo creativo di Kiefer: “Diversamente dalla scienza, la mitologia dà una visione del reale omnicomprensiva, che abbraccia tutto, pur se in modo cifrato. La sua lingua chiede di essere sempre di nuovo interpretata”.
Alla mitologia classica appartengono le figure di Danae (2016), Cynara (2023) e Daphne (2008-2011), le cui vite sono anche un simbolo di resistenza. Con Kiefer Danae diventa lo stelo di un girasole in piombo che si erge dalle pagine annerite di un libro, su cui cadono semi dorati come la pioggia in cui si è trasformato Zeus per possederla; Cynara è una cascata di carciofi dorati sulla tela sotto il nome greco di Zeus, che dall’alto dell’Olimpo troneggia sulla più fragile Cynara, da lui trasformata in pianta perché colpevole di essersi negata. Fugge anche Daphne dal desiderio di possesso di Apollo. Per lei Kiefer ha riservato un posto tra le sculture dedicate alle donne dell’antichità, Die Frauen der Antike. Con Daphne anche Nemesis e Ave Maria turris eburnae, del 2017. Queste figure vestite di bianco sono come voci che ancora echeggiano nella memoria. Di Dafne, Nemesi e Maria non conosciamo il volto ma l’essenza, perché in quella è la loro storia umana ed esistenziale, che come un fiore scaturisce dai corpi: l’alloro per Dafne, il masso per Nemesi, la torre d’avorio per Maria.
Alla mitologia norrena appartiene invece Das Balder-Lied (La canzone di Balder, 2018). La storia a cui Kiefer si ispira è tratta dall’Edda, i poemi norreni di epoca medievale che raccontano la morte di Balder, il più splendente degli dei, figlio del supremo Odino. Tutto comincia con dei sogni che predicono a Balder la sua morte. La madre chiede allora giuramento a tutti gli esseri della natura che mai avrebbero arrecato del male al figlio, tranne a una piccola e innocua pianta di vischio. Ma Loki, dio dell’oscurità e del caos, che minaccia l’ordine di Odino, trae in inganno il cieco Hödur, che per gioco, guidato dalla mano di Loki, lancia al fratello il vischio che come una freccia lo uccide. La morte di Balder nella mitologia nordica simboleggia l’eterna lotta tra la luce e l’oscurità, tra la vita e la morte, e nel ritorno di Balder dopo la catastrofe, quando la terra sarà arsa e distrutta, per generare un nuovo mondo in armonia con il fratello, si iscrive il significato della vita che si rinnova.
En Sof (2016) è il termine ebraico che indica l’infinitezza; nella Cabala è Dio prima di ogni sua auto-determinazione. Su una scala, simbolo di elevazione verso il divino, si inerpica un serpente, l’animale che nell’opera di Kiefer assume significati diversi: quello di presenza demoniaca ma anche di rigenerazione, per la sua caratteristica di mutare la pelle. Ai lati della scala sul piombo i nomi dei “Mondi” indicano il cammino verso la conoscenza. Il piombo è il materiale d’elezione di Kiefer, per la sua aurea, ma anche per i significati alchemici legati alla trasmutazione dei metalli (dal vile piombo alla purezza dell’oro), quindi metafora di un percorso fisico e spirituale. “Se utilizzo il piombo (…) è perché ho intuito sin dall’inizio che lì dentro c’è qualcosa da scoprire e da svelare”.
Un abbraccio simbolico tra le culture è rappresentato dal Reno, il fiume che segna gran parte del confine tra la terra d’origine di Kiefer e la Francia, dove alla fine ha scelto di vivere. Al Reno sono dedicate le opere Der Rhein (1982-2013) e Dem unbekannten Maler (Al pittore ignoto, 2013). Intorno a questo fiume sono nate molte leggende e tragedie della mitologia nordica di cui si è alimentata la cultura romantica; anche la tecnica utilizzata da Kiefer, la xilografia, rappresenta un legame con le origini dell’arte tedesca, con i grandi incisori del Cinquecento a partire da Dürer, evocato in Der Rhein dai suoi poliedri.
Lungo il Reno si addensa anche tanta parte della storia politica e geografica dell’Ottocento, fino a tempi a noi molto recenti legati alla Germania di Hitler. “Non esiste un paesaggio innocente. […] Ho sempre visto la natura secondo la storia dell’uomo. Non si può dipingere la natura da sola, ma secondo i tempi che l’hanno attraversata, nel contesto di eventi storici come le guerre”. Al pittore ignoto è un omaggio a tutti gli artisti caduti e a coloro che hanno subito le repressioni del regime nazista, a cui rimanda la fortificazione sulla collina.
Il fiume è insieme la rappresentazione di un confine e l’immagine del divenire, dove tutto scorre e continuamente si trasforma. Per Kiefer, cresciuto sulle sponde del Reno, è anche il luogo delle “radici che si perdono sulla soglia dell’area proibita, l’area che, in modo meraviglioso, è sempre vuota a causa dell’incongruenza tra desiderio e realizzazione”.
La fotografia è una parte importante del lavoro di Kiefer, il punto di partenza che registra, ispira ed è memoria del suo processo creativo: oggi il suo archivio conta 130 mila negativi e dal 2008 anche molte foto digitali. La mostra si chiude con quattro grandi stampe fotografiche su carta dal titolo Heroische Sinnbilder (Simboli eroici, 2009) montate su piombo e sottoposte al processo dell’elettrolisi. Mostrano Kiefer a Montpellier, Sète e Paestum. Le foto originali risalgono al 1969, alla serie Besetzungen (Occupazioni), in cui l’artista, vestito con l’uniforme ufficiale della Wehrmacht appartenuta al padre, imita il Sieg Heil, il “saluto alla vittoria” vietato in Germania dal 1945, come atto di provocazione contro l’oblio della memoria. Appesi come fossero stendardi i Simboli eroici fluttuano, come fluttuante è la memoria di chi vuole cancellare il passato.
“Ho creato questa serie come parte del mio esame universitario finale, dichiarando che avrebbe meritato il voto più alto o niente. Uno dei miei professori, l’artista quasi sconosciuto Rainer Maria Küchenmeister, che era stato internato in un campo di concentramento, intervenne in mia difesa”. Qualche anno dopo, nel 1975, alcune delle Occupazioni furono pubblicate sulla storica rivista d’avanguardia “Interfunktionen”, generando un dibattito politico e culturale così acceso da determinare la chiusura del periodico. “Se verso la fine della guerra ci fossero state elezioni democratiche, Hitler avrebbe vinto, sarebbe stato eletto. E allora mi sono chiesto, io, giovane uomo, cosa avrei fatto? Era una domanda fondamentale”.
L’ultimo messaggio di Kiefer per questo mondo di “angeli caduti”, di esseri imperfetti ma aperti a un’indescrivibile speranza, sono i versi di Salvatore Quasimodo. “Il ritmo della poesia ha proprio questo di prodigioso: ci consola là dove siamo inconsolabili. Ci offre la bellezza senza localizzarla”.
Ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.