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La luce eterna del Barocco

PREVIEW/ Dipinti Antichi 3 dicembre 2019

L’eterna lotta tra castità e pulsione, forza fisica e spirituale sono i temi iconografici celati nei soggetti di Apollo e Dafne e Giuditta e Oloferne. Nel primo caso come non ricordare come superbamente hanno trattato il concetto di metamorfosi tra ‘400 e ‘700 artisti come Giorgione e Pollaiolo, Gian Lorenzo Bernini e Giovan Battista Tiepolo, mentre nel secondo Caravaggio ha reso violenta ma nel contempo astratta una realtà che appare più vera ed eternamente contemporanea perché l’azione diviene catarsi tra corpo e anima, caos e ordine, e dove la natura diviene lo strumento per tradurre il “verbo” in forme e colori.

La Roma di fine Seicento è un città dove ancora splende radiosa la luce del barocco che inventa e illude con spettacolari artifici, e dove gli artisti italiani e stranieri convergono per formarsi e procacciarsi importanti commissioni aristocratiche ed ecclesiastiche.

Il genovese Paolo Gerolamo Piola è documentato nel 1690 nell’atelier di Carlo Maratti dove ha modo di aggiornare il proprio linguaggio in chiave classicista, in particolare emiliana e bolognese, come possiamo notare nella Giuditta e Oloferne, una tela databile a cavallo dei due secoli che verrà esitata nella prossima asta di Dipinti Antichi, che evidenzia una chiara influenza all’algido stile di Guido Reni, ma con una bellezza e forza pittorica che ci consente di considerare il dipinto una delle sue creazioni migliori, se non il suo capolavoro.

Nella tela di Apollo e Dafne di bellunese Sebastiano Ricci l’immagine sembra dettata dalla tradizione cinquecentesca del mito, prendendo a esempio un disegno di Perin del Vaga realizzato nel 1527 e che inciso da Jacopo Carraglio ispirò la simile composizione a fresco di Carlo Cignani a Palazzo del Giardino di Parma del 1680, ma la strepitosa conduzione pittorica sono un mirabile esempio di tardo barocco assai prossimo dell’arte romana seicentesca di Annibale Carracci e Pietro da Cortona, qui miscelati con gli stilemi del pittoricismo veneto. Registrato come residente a Palazzo Farnese nell’aprile 1691, ha modo di ammirare i due maestri ma anche le figure eleganti e affusolate di Giovan Battista Gaulli. La tela da attribuirsi a questo periodo, si distingue per una sapiente sintesi tra decorativismo e sostanziosa pittura, contrassegnata da stesure e colpi di lume atti a creare l’illusione del movimento, cadenzato dai panneggi e dalle capigliature.