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Galleria dell’Accademia. Un museo felice

Intervista a Cecilie Hollberg
Direttore Galleria dell’Accademia di Firenze

La Galleria dell’Accademia è uno scrigno di opere fondamentali della cultura artistica occidentale. Dal suo incarico come direttore nel 2016 è iniziato un’ampio progetto di ammodernamento del museo. Quali risultati ha portato?

Siamo felici di poter presentare un museo finalmente approdato nel XXI secolo, per capacità tecnologica, di efficentamento energetico, ma anche dal punto di vista estetico. I lavori sono stati possibili grazie alla riforma Franceschini, che ha dato ai musei un proprio statuto, e ai direttori autonomia sul bilancio e sulla pianificazione con le risorse economiche a loro disposizione. Ho cominciato nel 2016 rivolgendomi a professionisti dell’ICOM, l’International Council of Museums, per le norme di sicurezza e impiantistica da adottare, non avendo personale specializzato nel museo. I primi passi, ovviamente, hanno riguardato questi aspetti basilari, come il certificato di prevenzione incendio e tutti quegli interventi di messa a norma necessari in un museo. Subito si sono presentati i grandi problemi strutturali dell’edificio, come le capriate della Sala del Colosso, la prima entrando nel museo, che ormai logore dovevano essere restaurate e rafforzate; ovviamente, lavorare su queste architetture in un ambiente così angusto per macchinari di grandi dimensioni, ha significato disallestire completamente la sala: si parla di gru che passavano sui tetti delle case, di lavori molto importanti fatti anche la notte. Quindi, nella Sala del Colosso, dominata dal modello del Ratto delle Sabine del Giambologna – il marmo è collocato alla Loggia dei Lanzi in piazza della Signoria – abbiamo rivisto completamente lo spazio, le opere, e ripensato il percorso espositivo, che non avrei mai toccato, se non ce ne fosse stata la necessità. Ci sono stati alcuni restauri, uno molto importante, che ha riguardato la grande tavola della Resurrezione di Raffaellino del Garbo, che ha necessitato di un anno e mezzo di lavori, sia per la parte pittorica, sia per la cornice monumentale, e che ora splende in questa enorme sala. Per le pareti, rivestite da pannelli in tessuto, abbiamo scelto il colore blu “Accademia”, che si armonizza con le opere del Cinquecento qui conservate, tra cui le tavole d’altare di Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Filippino Lippi, Perugino. E adesso, anche per noi, la sensazione è di vedere questi capolavori come fosse la prima volta; è spettacolare ammirare le opere come fossero appena uscite dalla bottega del pittore, rinate nei colori, colori pazzeschi, e accarezzate dalle luci del nuovo impianto di illuminazione, che ha riguardato tutte le sale della Galleria. Ogni opera del museo ha finalmente un’identica luce che l’esalta, perché sono dell’opinione che tutte abbiano lo stesso diritto di essere considerate e ammirate dai visitatori; non può esserci un focus solo sulle opere più conosciute, che nel caso di questo museo è l’immenso David di Michelangelo. Adesso tutte sembrano essere felici di questo cambiamento, anche loro finalmente portate all’attenzione dello spettatore che può goderle appieno, e con lui anche noi che qui lavoriamo ogni giorno. Questa uniformità nell’illuminazione ha riguardato anche le sculture di Michelangelo, di cui la Galleria possiede il numero più importante: dai Prigioni, originariamente destinati alla tomba di Giulio II a Roma, al San Matteo, alla Pietà di Palestrina, fino al David al centro della Tribuna, adesso hanno tutte una medesima luce che le illumina. Queste nuove luci al LED danno una nuova chiave di lettura anche dei Prigioni: ora riusciamo a vedere ogni segno dello scalpello fatto da Michelangelo sul marmo, riusciamo a osservare ogni dettaglio del “non finito”. Tutto questo è valso anche per la pittura Quattro-Cinquecentesca che dialoga con la scultura michelangiolesca, tra cui opere di Fra’ Bartolomeo, Andrea del Sarto e Pontormo, e le grandi pale d’altre del Cinque-Seicento, che ancora risentono dell’influsso di Michelangelo, ma anche dei dettami iconografici e spirituali della Controriforma. Anche le Sale del Duecento e del Trecento sono state completamente riallestite. Abbiamo scelto per le pareti un colore verde “Giotto”, nato proprio da un affresco dell’artista, che insieme alle luci mette in risalto i fondi oro, li esalta in maniera incredibile, e i santi paiono quasi uscire dai dipinti per venirci a salutare.  Nel museo si conserva il nucleo più importante al mondo di opere di Lorenzo Monaco, oltre Giotto, e i massimi esponenti della pittura fiorentina dal Duecento al primo Quattrocento. Ogni opera del museo è stata rivista sotto l’aspetto della conservazione, del restauro, della documentazione; ognuna è stata presa, spostata, fotografata in alta risoluzione anche per uso editoriale; tutti i gessi e le sculture hanno immagini su quattro lati; tutti i dipinti hanno foto fronte retro, perché dietro le opere si trovano a volte riferimenti importanti per lo studio, e anche di curiosità. Fondamentale è stato dotare tutte le sale del museo di un impianto di climatizzazione; anche i distanziatori sono stati rivisti, sono meno invasivi per non disturbare la lettura delle opere, ma più lontani e sicuri. E tutto questo funziona, e tutto questo mi piace, perché volevo che ogni opera avesse quanto le spetta di attenzione, di rispetto, di considerazione. Vedo che i visitatori adesso si distribuiscono per tutto lo spazio espositivo, e questo era lo scopo, e per questo siamo felici. La Galleria dell’Accademia non è solo il David: lui è sicuramente il centro, lui è universalmente conosciuto, e per lui è nata l’odierna Galleria, quando fu deciso il suo trasferimento da piazza della Signoria nel 1873. Ma queste sale accolgono collezioni favolose, uniche, e ogni opera qui dentro è un capolavoro.

Quali sono stati gli interventi fatti per la Gipsoteca bartoliniana?

La Gipsoteca ottocentesca è stata l’ultima a riaprire al pubblico, e rappresenta davvero l’ultima fatica di Ercole. Qui sono raccolti i gessi di Lorenzo Bartolini, ma anche del suo allievo Luigi Pampaloni, oltre ai dipinti ottocenteschi di maestri che hanno studiato o insegnato all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Il risultato è spettacolare, perché adesso entrando nella Gipsoteca si resta senza fiato, e questi gessi bianchi, per la prima volta illuminati uno a uno, che si stagliano contro le pareti dipinte in azzurro polvere, danno una sensazione di vita, di persone che bisbigliano, si raccontano, sorridono, osservano, dialogano con lo spettatore, perché spettatore è chi entra qui dentro. La Gipsoteca è una ricostruzione dello studio del Bartolini, come già era stato pensato all’epoca in cui queste opere sono giunte alla Galleria dell’Accademia da San Salvi, dopo l’alluvione del 1966 che le aveva danneggiate. L’allestimento, allora ideato da Sandra Pinto, è stato ammodernato senza però essere snaturato, perché mi sembrava importante come fil rouge di tutti i lavori fatti nel museo, e come esempio museografico ancora esistente della Pinto. Volevo portare la Galleria dell’Accademia sotto l’aspetto tecnologico ed espositivo in questo secolo, senza operazioni che la stravolgessero e spaventassero. Per la Tribuna del David, ad espemio, non avrei mai usato colori a parete, perché qui è l’architettura che comanda, e la pietra serena risalta sul bianco delle pareti; mentre per la Gipsoteca l’azzurro ottocentesco è perfetto, esalta i gessi bianchi, e dà loro quell’attenzione di cui hanno bisogno. L’impianto di climatizzazione è stato fondamentale per la Gipsoteca, per la sicurezza delle opere e quella dei visitatori: in estate il salone diventava una serra, l’aria era irrespirabile, tanto che intorno a mezzogiorno eravamo costretti a chiudere. Abbiamo messo doppi vetri alle finestre, altre sono state chiuse per stabilizzare non solo le mura dell’edificio storico, ma anche il clima, e al tempo stesso, per aumentare il numero delle mensole e riunire finalmente tutti i modelli in gesso finora sparsi nei vari uffici del museo; mentre i 300 busti ancora senza protezione sono stati ancorati alle mensole. Adesso l’ambiente è perfetto, anche per le tele ottocentesche esposte a grandi altezze, e la Gipsoteca può essere visitata per tutto l’oraio di apertura del museo. Siamo riusciti in un lavoro di squadra a raggiungere veramente un bellissimo risultato, perché questa Gipsoteca è un capolavoro in sé, che non ha esempi equiparabili di tale grandezza, di tale approccio e impatto visivo.

Come è possibile fare promozione culturale a un museo così illustre con gli strumenti della comunicazione contemporanea?

Questa è una bella sfida. Ritengo innanzitutto che sia importante rendere visibili le opere, dare di loro tutte le informazioni possibili. Al museo abbiamo vari livelli di informazione: abbiamo i testi introduttivi a parete, e sotto ogni opera, fermate ai distanziatori, brevi didasclie. Questa è la mia battaglia con gli storici dell’arte, perché scrivere un libro è più facile che un testo denso di contenuti, ma comprensibile; un testo semplice, ma non banale; un testo che dia comunque a chi non ha gli strumenti per leggere un’opera la possibilità di comprendere ciò che sta osservando; ma che dia anche all’esperto, a chi ha già delle nozioni storico-artistiche, un’informazione ulteriore, anche per lui inedita. Le didascalie sono quindi molto importanti, e le abbiamo curate sia dal punto di vista dei contenuti, sia della leggibilità: le abbiamo rese molto grandi, con una fonte sans serif, nera su bianco, perché siano facilitati nella lettura anche gli ipovedenti, i gruppi numerosi, chi vuole osservare l’opera da lontano. Anche il sito ha un ruolo importante nell’informazione, che abbiamo compreso con la pandemia e la chiusura dei musei; e quello che prima mancava, tutto quello che abbiamo imparato da questa esperienza, adesso c’è. Sul sito si trovano tutte le opere che conserviamo, ed è arricchito attualmente da oltre 50 video, che illustrano i dipartimenti tra pittura, scultura, Gipsoteca, e strumenti musicali del Conservatorio di Firenze, che ospitiamo nel museo. I video sono di format diversi, curati dalla Galleria dell’Accademia: più ampi per parlare dei dipartimenti; di un minuto per approfondire le singole opere; ma ci sono anche contributi di storici dell’arte e professori esterni al museo, come Carlo Sisi che racconta Le sorelle Campbell e il Monumento a Elisa Baciocchi di Lorenze Bartolini; Timothy Verdon che presenta il San Matteo di Michelangelo; Giovanni Cipriani che spiega le soppressioni napoleoniche, importantissime per questo museo, che nasce nel 1784 con il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, e si arricchisce proprio con le soppressioni lorenesi, e poi napoleoniche. La parte didattica del sito rivolta ai giovani e giovanissimi è molto ricca: abbiamo una sezione video “Open Art” dedicata ai bambini sopra i 6 anni, ma anche agl’insegnanti e ai genitori, della durata di circa 8 minuti; un percorso on line, che abbiamo chiamato “Imparo con Davidino”, che spiega concetti complessi come l’iconografia dei santi, cos’è un polittico, e introduce alla scoperta della Galleria; ci sono video fumetti con protagonisti i pittori, che la notte si aggirano per il museo e raccontano le loro vite, le loro opere: tutte informazioni corrette, serie, rese facili, ma mai romanzate; ci sono i podcast fatti con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, ma anche con le università europee: noi forniamo i contenuti, loro li elaborano, perché l’approccio fresco e diverso dei giovani all’arte è sempre interessante. Quindi tanti linguaggi diversi per leggere le opere d’arte, per ogni grado di sapere. Abbiamo pensato anche a un’audioguida per bambini, perché non sempre i genitori hanno studi storico-artistici e sanno dare le risposte, ed è bello condividere le esperienze con i propri figli, uscire da un museo e portarsi fuori una conoscenza in più, acquisire una nuova lettura delle opere.

Rinnovamento e tradizione sono i cardini della sua direzione. Rispettando questi valori, quale bilancio ne trae?

Giudicare e valutare i risultati spetta agli altri. Per quanto osserviamo, questi anni di lavoro sul museo hanno dato i loro frutti, perché i questionari parlano di persone che accogliamo in Galleria ed escono felici, vogliono tornare, imparano cose nuove. La mia idea di rinnovamento è nel rispetto del museo, della sua origine, di quello che conserva. Non avrei mai pensato a effetti scioccanti che in qualche modo potessero uccidere le opere. Dal mio arrivo, nel 2016, le soluzioni sono arrivate nel tempo, anche il logo della Galleria risponde a una necessità di comunicazione immediata e intuitiva, di una sigla che abbreviasse il nome: due lettere GA, come Met, o come MoMa. Non volevo banalizzare il logo sulla sua opera più universalmente nota, perché la Galleria dell’Accademia nasce proprio con la pittura, a cui poi si sono aggiunte le altre collezioni, e ovviamente il David. Vogliamo comunicare il contenuto pazzesco di questo museo attraverso tutti i canali possibili, cominciando dai lavori che abbiamo realizzato, fino alle pubblicazioni, e alle mostre, che nascono sempre dalle nostre collezioni. Sono mostre di ricerca a cui seguono giornate di studi e pubblicazioni, l’ultima è Michelangelo: l’effige in bronzo di Daniele da Volterra. Non ospitiamo progetti espositivi che non siano curati dalla Galleria dell’Accademia. Questo museo è talmente unico ed eccezionale con le sue opere che non vogliamo creare situazioni di contrasto, che risulterebbero come delle intrusioni. Non dobbiamo rincorrere la moda del contemporaneo, perché abbiamo da offrire un mondo che tutti ci invidiano, un mondo del quale siamo orgogliosi, a cui siamo felici di aver ridato vita nel corso di questi cantieri iniziati nel 2016 con la parte burocratica e legale, poi di ricerca e documentazione, fino all’esecuzione e al risultato. Sala dopo sala siamo arrivati a una riscoperta straordinaria della Galleria. Siamo soddisfatti di poter offrire oggi ai visitatori un museo immutato nei contenuti, con le sue splendide collezioni che hanno ricevuto la visibilità che gli spettava, ma rivolto al presente. Qui ho portato tutta la mia esperienza di direzioni passate; da oltre vent’anni lavoro nei musei, a cominciare dalle Collezioni statali di Dresda, e tutto il mio bagaglio, il mio percorso di medievalista, di cose che ho visto, che ho imparato, l’ho portato alla Galleria dell’Accademia. Non sono venuta qui per dare un allestimento che avesse la mia impronta, ma i cantieri hanno fatto sì che bisognasse disallestire le sale, e non avrei mai movimentato le opere durante i lavori se non ce ne fosse stata la necessità, perché per un’opera è sempre uno stress. Quindi, ho colto l’occasione per ricevere consigli anche da alcuni dei massimi esperti, perché quando sono iniziati i lavori di riallestimento delle sale, nel museo non avevo storici dell’arte con cui potermi confrontare, e per raggiungere degli ottimi risultati è necessario ascoltare, farsi consigliare, scambiarsi opinioni. Ho chiesto a Carlo Falciani per la pittura del Cinquecento fiorentino, a Carlo Sisi per la Gipsoteca di Lorenzo Bartolini; e poi architetti, grafici, cercando sempre tra i professionsti più qualificati. Tutto questo, partendo sempre dal personale del museo, perché affrontare quasi tre anni di cantiere, durante la pandemia, non è cosa da poco, ed occorre uno staff veramente dedicato, che mi ha seguito durante i lavori, con le complicanze dei mesi di lockdown, le sale stravolte dai cantieri, e le battute d’arresto. Niente è mai scontato. Sono stata affiancata da tutto il personale del museo, ottimi professionisti, partendo dall’amministrazione, agli architetti, ai restauratori, ai custodi, senza il cui supporto non sarebbe stato possibile tenere aperto ogni giorno il museo con il cantiere, anche durante il lockdown. Abbiamo lavorato tutti insieme e il risultato ci premia. Ora vediamo il pubblico distribuirsi per tutte le sale, scoprire tutte le collezioni, e non cententrarsi più unicamente sul David.

La Galleria dell’Accademia e Firemze. Qual è il rapporto del museo con il suo territorio?

Lo scopo era restituire la Galleria al pubblico e ai fiorentini, soprattutto i fiorentini che non visitavano più il museo da decenni, magari dai tempi della scuola. E questo è bello, questo volevo: perché un museo ha bisogno di essere radicato nella propria città; perché la Galleria dell’Accademia è il più fiorentino di tutti i musei di Firenze; perché il museo è lì per loro, non per il turista che viene e poi va; perché se un museo non è amato e visitato dai propri cittadini, diventa un luogo perso, un luogo che si sciupa. Nel 2017 abbiamo creato l’associazione “Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze”, per radicare ancora di più i cittadini al museo. Tutti hanno bisogno di amici, anche un museo famosissimo come questo, anche il David, perché purtroppo si considera sempre il momento, non il prima, non il dopo, e queste opere hanno bisogno di essere conservate. Il mio compito è custodire al meglio questo patrimonio artistico, devo pensare ai restauri, arricchire le collezioni, fare ricerca, studi scientifici su tutte le opere, anche attraverso mostre e pubblicazioni, e il mio sogno, è di riuscire a portare questi studi sul sito della Galleria. Sono diverse le pubblicazioni fatte in questi anni: a parte un catalogo per ogni mostra, sono usciti libri per bambini e testi scientifici per esperti, di cui il terzo volume dei tre previsti sul Tardogotico, di dipinti dal XIII al XIV secolo. Tanti fuochi d’artificio per connettere la città al suo museo. Anche i festeggiamenti per i 140 anni dall’inaugurazione del David alla Galleria dell’Accademia, sono nati per la voglia di far conoscere a tutti i fiorentini la storia di questa incredibile opera, il suo valore anche etico e morale, le ragioni e la complessità del suo trasferimento, i nove anni che occorsero per la costruzione della Tribuna, la vicenda di Pietro Torrigiano che per rivalità ruppe il naso al giovane Michelangelo, e molto altro ancora, con un programma di concerti, conferenze e incontri, per dare radici a questo museo, di nuovo, in questa città.