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Fontana Arte e Max Ingrand. La luce della bellezza

La peculiarità del design italiano è di aver mutato la percezione dell’oggetto industriale da prodotto artigianale riprodotto in forma seriale, a ‘forma aperta’ della creatività che si evolve e diviene immagine di un’epoca e di un gusto.  Un esempio illuminante lo troviamo nella storia della Fontana Arte, azienda milanese che attraverso la direzione e la creatività di due autentici maestri come Gio Ponti e Pietro Chiesa seppe interpretare l’evoluzione del gusto e della società civile, evoluzione degli “oggetti” proposti delle loro linee che colgono anche il succedersi dei mutamenti sociali, culturali e artistici.  Dagli anni Trenta ai Sessanta, Fontana Arte mutò la sua fisionomia da classica, decorativa e alto borghese, a essenziale nella scelta di soluzioni che coniugavano funzionalità e stile impeccabile, a spaziale nel rapporto rinnovato e innovativo con la luce, che fondeva il prodotto industriale in tutte le sue più moderne accezioni: funzione, forma, rapporto spazio, oggetto, serialità del prodotto, sempre secondo canoni di alta qualità costruttiva e dei materiali.

Max Ingrand, maestro vetraio e decoratore francese, capace di realizzare veri e propri classici del design lascia un segno indelebile nel decennio 1954-1964 della direzione artistica della Fontana Arte, spiega il suo rapporto con la luce: “Un lampadario o un elemento luminoso deve rispondere a certe norme, deve adattarsi al volume dei locali che deve illuminare, deve far parte dello spirito stesso dell’architettura dei locali per diventarne parte integrante”.

Un principio che si manifesta in tre lampade a sospensione egualmente iconiche: la prima è il “leggero ed essenziale” mod, 1563 “Dalia” degli anni ’50 con le sue corolle trasparenti ed elegantissime, connubio magico di ottone, fusione in bronzo dorata, cristallo colorato curvato e molato (lotto 61, stima 16.000 – 22.000 euro): la seconda degli anni Sessanta “arditamente borghese” nelle sue linee mosse in ottone, cristallo curvato e satinato (lotto 34, stima 12.000 – 16.000 euro); la terza, infine, lo  “spaziale e sperimentale” mod. 2132, in alluminio laccato, ottone nichelato cristalli molati a gemma (lotto 58, stima 8.000 – 10.000 euro), che pare anticipare le sospese e metafisiche atmosfere lunari di “2001 Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick.