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El Greco. Veneziano, universale e contemporaneo

Prima di parlare di El Greco vorrei premettere che il mese scorso sono stato a vedere la conclusione, l’ultimo giorno, della grande mostra di Guido Reni, organizzata al Museo del Prado di Madrid, con alcune opere che confluiranno nell’esposizione che sto preparando per le Scuderie del Quirinale, in occasione del Giubileo. E, mentre camminavo per le sale e un balletto di artisti mimava i quadri come tableaux vivants, ho potuto ammirare nelle stanze laterali una mostra importante, seppure limitata a una dimensione da camera, “Picasso, El Greco y el cubismo analítico”: alcuni quadri del periodo cubista del primo tempo di Picasso e alcuni quadri di El Greco che dialogavano in maniera molto intelligente. Avevo sentito parlare di questo progetto e ricordavo anche che Picasso aveva avuto occasione di vedere, nella casa di Zuloaga, un capolavoro di El Greco, che ispirò evidentemente la sua ricerca. Quindi l’affinità tra Cézanne e l’artista cretese e il rapporto con Picasso sono segnali di una evidente attualità. Chiunque guardi El Greco senza conoscere la storia dell’arte, non può pensare che sia un pittore del Cinquecento e neanche del Seicento benché ci siano, dal punto di vista cronologico, alcuni dati interessanti da sottolineare. El Greco nasce trent’anni prima di Caravaggio, nel 1541, e muore 4 anni dopo, nel 1614. Quando El Greco arriva a Roma Caravaggio non è ancora nato, e, tra l’altro, verrà alla luce a Milano. Quindi non c’è nessun contatto fra i due. Caravaggio è un pittore moderno, affine alla nostra sensibilità, e giunge piuttosto tardi a Roma, quando El Greco è già partito. Non si possono immaginare due pittori più distanti. Quando si iniziò a studiare il manierismo El Greco ne divenne il campione, nella dimensione più proiettata verso il futuro, e il rapporto con un grande artista come Parmigianino – pittore di modernità assoluta che lui avrà guardato e divorato – è determinante, in una visione che resta tardo-cinquecentesca. El Greco non conosce il naturalismo, è profondamente antinaturalista. Il suo opposto, in Spagna, molto legato a Caravaggio, è Velázquez, il pittore del vero, forse ancora più di Caravaggio. E questo – la realidad – resta importante. Sono appena stato a Madrid per rendere omaggio a un amico, il più grande pittore vivente, cosa difficile da dire ai cultori di arte contemporanea, finti conoscitori con miti fasulli, figli delle mode. Il più grande artista vivente abita in Spagna, è ammiratissimo e quando cammina per strada viene trattato come se fosse Raffaello. Si chiama Antonio López García. Io ho deciso di onorarlo nel 2025 con una grande mostra al museo che presiedo, il Mart di Rovereto. Vorrei che la città di Milano partecipasse a questa iniziativa in collaborazione con Palazzo Reale.

Perché è importante sottolineare che non esiste solo un’arte contemporanea, e che essere contemporanei non vuol dire schierarsi per forza da una parte. Non è un partito. La contemporaneità è un fatto cronologico; in essa cose diverse convivono. È evidente che López García ha sempre avuto grandi estimatori e grande valore di mercato che lo salva dai qualunquisti dell’arte contemporanea. Ed è notevole che un artista come lui, lento, paziente e misurato, sia così umile da dire “Se io fossi stato italiano non avrei potuto dipingere. L’Italia è così sovraccarica di geni da Antelami a Giotto, Masaccio, Beato Angelico, Piero della Francesca, Perugino, Signorelli, Mantegna, Donatello, Agostino di Duccio, Verrocchio, Botticelli, Niccolò dell’Arca, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Caravaggio, Tintoretto, Veronese, Tiepolo, Canova e mille altri, che, davanti a loro, sarei stato impotente. Invece in Spagna ne abbiamo solo sei, e quei sei sono: El Greco, Murillo, Velázquez, Zurbarán, Goya e Picasso”. Il settimo grande artista universale di Spagna è Antonio López García. L’ho detto e lo dico da tempo. E credo che sia arrivato il momento di affermare che c’è una grande arte contemporanea che non passa attraverso le maschere del mercato, attraverso valori consolidati solo dal denaro. López García vive come un artista povero, e povero non è. Abita in una piccola casa, con lo studio. Ha perso tutti gli amici e i parenti.

È morta la moglie Maria Moreno, è morto Francisco López, è morto Julio López, è morta Isabel Quintanilla, artisti che lavoravano con lui alla scuola di Tomelloso. E vive in questa sconcertante e meravigliosa ingenuità come un vero poeta, come un fanciullino pascoliano. Penso che una mostra di López García possa stabilire una continuità nel rapporto con la Spagna attraverso le grandi mostre organizzate da Palazzo Reale.

Vorrei aggiungere ora che se guardo con una sconfinata ammirazione El Greco è perché è effettivamente più contemporaneo di tanti artisti contemporanei. E perché è diventato quello che è diventato in opposizione a Michelangelo e alla grande pittura romana. A Roma veniva chiamato “uno stupido straniero”; e lui rispondeva: “un brav’uomo Michelangelo ma non sapeva dipingere”. È vero, Michelangelo non era un pittore, era uno scultore. La pittura di Michelangelo è appesantita dalla scultura e non è tale da comunicare vibranti emozioni come la pittura di Tiziano, di Bassano, di Tintoretto, morti quando ormai anche El Greco si era allontanato dall’Italia. Era stato a Venezia tra il 1567 e il 1570, nel momento più cruciale. Qualche anno prima vi si era recato Vasari portando la forza di Michelangelo a un Tiziano capace di piegarla alla sua devozione assoluta per il colore vivente. Tiziano muore nel 1576, Paolo Veronese nel 1588, Bassano nel 1592 e Tintoretto nel 1594. Sono i suoi veri coetanei e veri maestri. La linfa della grande pittura veneziana di Tintoretto, di Bassano e anche di Tiziano è essenziale per capire El Greco. Per questo avrei immaginato la sede naturale della mostra a Venezia. Da bambino visitai una esposizione sul manierismo dove era coinvolto anche El Greco. E sono convinto che sia El Greco sia Velázquez siano più grandi di tutti i grandi artisti italiani; purtroppo per me che sono nazionalista. Quando guardo Velázquez vedo un pittore assoluto in cui è concentrata tutta l’arte da Giotto a Bacon; c’è tutto dentro Velázquez. In El Greco c’è una capacità unica di superare la barriera del tempo, qualunque artista è nelle sue tele, anche Pontormo, anche Parmigianino, anche i manieristi che lui ha sentito come nessun altro. El Greco vive come se il tempo non gli fosse addosso, come se non gli fosse addosso il suo principale nemico, Filippo II, mentre tentava di essere il pittore dell’Escorial senza riuscirci. Per questo, contro Filippo II ha realizzato il meraviglioso dipinto la Sepoltura del conte di Orgaz, un dipinto assoluto, al cui confronto sparisce anche Picasso. Questa contemporaneità impressionante, di taglio, di forma, di invenzione, di El Greco è sorella della capacità di una pittura, quella di Velázquez, di essere già Manet, di essere già Monet, di essere già Bacon. Guarda un dipinto di Velázquez, guarda il Marte a riposo e vedi Bacon.

È sorprendente come due spagnoli siano riusciti a sottrarsi al loro tempo ed El Greco ancora di più, sul piano iconografico, trasformando il mondo bizantino da cui parte, un mondo visionario, senza tempo. Ecco, forse la mancanza di tempo del mondo bizantino è la chiave per capire che El Greco è sempre stato senza tempo. Quando guardiamo un suo dipinto – io ho visto la grande mostra di Parigi che ha preceduto questa di Milano, una mostra molto ambiziosa – senza conoscere la storia dell’arte, intesa come percorso storico, ci sembra un artista che ha dipinto ieri con la sua capacità di far prevalere il colore, le masse. C’è qualcosa di impressionante. Fuori della storia.

Vorrei ricordare inoltre due pittori italiani, che forse non sono stati considerati nel percorso Bassano-Tiziano-Veronese-Tintoretto verso El Greco, essenziali per capire cosa ha rubato a Venezia per portarlo a Toledo. Il primo è un piccolo pittore che si chiama Simone De Magistris, di Caldarola, che è l’El Greco italiano. Naturalmente con segmenti, con geometrie quasi cubiste che sono impressionanti in El Greco e che vengono semplificate in De Magistris? con uno schema grafico. Ma fa impressione perché è un pittore visionario, un pittore protosurrealista. L’altro è un artista di Ferrara, Sebastiano Filippi, detto il Bastianino, che a un certo punto perde tutto e propone una interpretazione nebbiosa, che sarebbe piaciuta a El Greco, del Giudizio Universale di Michelangelo nell’abside del duomo di Ferrara. Ed è un Giudizio Universale che crolla come se fosse di cenere, fumo, nebbia. Non c’è più la struttura potente dello scultore Michelangelo. In questo catino absidale osserviamo come tutto finisce. È una visione diversa da quella di El Greco, ma certamente potrebbe suggerire una serie di accostamenti con questi artisti che riescono, a un certo punto, a sfuggire al loro tempo e a diventare qualcosa di imprendibile, senza corpo, senza forma. Lo stesso per cui, quando vedo El Greco, vedo il primo paradigma assoluto dei pittori contemporanei.

Bastianino è un pittore potente che riesce a smontare il Giudizio Universale, e lo fa contro Michelangelo, nella direzione di un memento mori, di un diventare cenere, di un sentimento estremo della fine di tutto. Questo stesso cupio dissolvi si sente nella grandezza di El Greco.

Così come il bellissimo Ritratto di Giulio Clovio che gli favorì il rapporto con Filippo II, di cui egli fece un ritratto meraviglioso, più bello di qualunque ritratto di Tintoretto.

Insomma un grande pittore veneziano, un grande pittore universale, un grande pittore contemporaneo. Ma non voglio dire altre cose che sono la riflessione che un critico fa quando si sente inevitabilmente annichilito davanti a El Greco. È la sfida dei curatori quella di organizzare una mostra di El Greco. È la sfida contro sé stessi e contro la morte, perché El Greco non potrà mai essere compreso. E pensare che un grande studioso come Palomino lo registrò come eccentrico e stravagante, guardandolo con sufficienza, fa comprendere che invece soltanto l’aggancio con la modernità lo rende un eroe romantico e fa intendere la sua follia. Ecco il prototipo di un folle assoluto. Un folle che non rispetta nulla, che sfida il potere per dipingere il proprio sentimento, la propria anima. Quindi forse il pittore più dotato di spirito che noi conosciamo, il più moderno e il più contemporaneo. E credo che la scelta di proporre la mostra di El Greco a Milano determinerà un grande successo che riuscirà a doppiare Banksy o Warhol, e tutto quello che la modernità ci ha proposto come ostaggio dell’attualità. Ecco l’ostaggio dell’attualità, lo spirito del tempo è proprio quello che decide che alcuni pittori vanno bene, e López García non andrebbe bene perché legato a un tempo perduto. Ma quel tempo perduto è l’unico tempo che abbiamo perché, quando non ci saremo più, ci sarà ancora El Greco con la sua potentissima impresa umana e spirituale.

Vittorio Sgarbi
Sottosegretario di Stato alla Cultura