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ART BONUS il mecenatismo italiano 2.0

di Giuseppe Calabi

Per secoli, la figura del mecenate è stata il motore economico dell’arte: dalle corti nobiliari a quelle dei papi passando per il patronage borghese verso gli artisti, spesso l’élite ha contribuito al sostentamento di artisti.
Tale fenomeno, tuttavia, è stato per anni emarginato dal sistema italiano, che nell’ottica della tutela del patrimonio culturale ha sempre guardato all’iniziativa privata con sospetto.
Il trend sembra aver preso una svolta diversa con il D.L. 31 maggio 2014, n. 83, recante “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”, convertito con modificazioni nella Legge n. 106 del 29 luglio 2014, che ha introdotto l’Art Bonus, una forma di credito di imposta a favore di chi, persona fisica o giuridica, investa in atti di conservazione del patrimonio culturale italiano.

Il credito di imposta, ripartito in tre quote annuali di pari importo, ammonta al 65% dell’erogazione effettuata ed è compreso nei limiti del 15% del reddito imponibile per i donatori persone fisiche ed enti non commerciali e del 5% dei ricavi annui per i soggetti titolari di reddito di impresa.

Non tutte le elargizioni a favore di atti di conservazione del patrimonio culturale generano tale credito d’imposta, ma solo quelle volte a finanziare “interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica” (art. 1 co. 1 L. 106/2014). Quindi, ove il finanziamento riguardi un intervento di conservazione relativo a beni o luoghi culturali non pubblici, anche se si tratta di beni culturali appartenenti ad associazioni o fondazioni senza scopo di lucro (che sono invece trattati al pari dei beni culturali di appartenenza pubblica nel Codice dei Beni Culturali), questo non genererà credito d’imposta ai sensi della legge sull’Art Bonus.
Non rientrano poi nell’applicabilità dell’Art Bonus gli acquisti di beni culturali (ossia quegli oggetti che, mostrando un particolare interesse culturale, siano stati oggetto di “notifica”).
Altro ragionevole limite all’operatività dell’Art Bonus è il fatto che l’erogazione liberale debba essere “tracciabile” (ad esempio quella effettuata a mezzo bonifico bancario, oppure tramite carta di debito o credito o con assegno, e non invece l’erogazione in contanti); tale barriera è peraltro in linea con la normativa vigente, che limita l’uso del contante.

Il sistema dell’Art Bonus non deve però essere confuso con quello della sponsorizzazione di beni culturali previsto dal Codice dei Beni Culturali (art. 120 D. Lgs. 42 del 22 gennaio 2004): nel caso dell’Art Bonus, infatti, non vi è un preponderante scopo di promuovere un nome o un marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività del soggetto erogante, tant’è che l’unica forma di pubblicità della donazione è un “riconoscimento morale” al mecenate, senza che questo rappresenti un obbligo per l’ente beneficiario (per esempio, la menzione sul sito web dedicato all’Art Bonus e/o degli enti beneficiari, previa opportuna liberatoria da parte del mecenate o un pubblico ringraziamento a quest’ultimo).
Dopo una “timida” partenza, le donazioni coperte dall’Art Bonus hanno raggiunto a settembre 2017 la cifra di € 180.694.028,00 con il coinvolgimento di più di 7.000 donatori tra persone fisiche e imprese: un ottimo risultato, nonostante lo scetticismo iniziale.
Una rapida comparazione: il sistema Francese
È sempre interessante esaminare come funzioni il mecenatismo in altri Paesi, ad esempio, nella vicina Francia, il cui sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale è stato ultimamente al centro dell’attenzione mediatica per la notizia dell’autorizzazione da parte del Louvre a far circolare la Gioconda.

La Francia, nell’incentivazione al mecenatismo, ha avuto una posizione pionieristica: già nel 2003, con la legge 709 del 1° agosto 2003 (nota come “loi Allaigon”), aveva introdotto un regime fiscale di favore nei confronti di privati e imprese che diano un sostegno materiale a un’attività di interesse generale, a titolo puramente liberale. Il cosiddetto “dono” può consistere in una dazione in denaro, in natura o in competenza all’ente beneficiario che, ove rientri tra gli organismi che possono godere del “mecenatismo deducibile” comporterà la possibilità per il donatore di godere di alcune agevolazioni fiscali.
In particolare, le imprese (o comunque i soggetti titolari di reddito di impresa) possono godere di una riduzione di imposta del 60% dell’ammontare della donazione entro il limite del 5 per mille del fatturato. Se in un anno di esercizio tale plafond viene superato, l’eccedenza viene computata in riduzione di imposta per l’anno di esercizio successivo.

Per i privati invece la riduzione di imposta è pari al 66% dell’ammontare della donazione, nel limite annuale del 20% del reddito imponibile, e, se tale percentuale viene superata, la riduzione può essere ripartita sui 5 anni successivi.
È poi da sottolineare che sono previste specifiche agevolazioni fiscali per le imprese che donino finanziando l’acquisto di un bene culturale riconosciuto “tesoro nazionale o opera di grande interesse patrimoniale” (l’equipollente, sebbene con notevoli differenze sul piano applicativo, del nostro “bene culturale”) a vantaggio di una collezione pubblica: in tal caso, la riduzione equivale al 90% dell’ammontare del versamento effettuato, nel limite del 50% dell’imposta dovuta dalla società. Differentemente dall’Art Bonus, che non copre assolutamente gli acquisti di beni culturali, se l’impresa acquista per proprio conto il bene qualificato come tesoro nazionale gode di un vantaggio fiscale del 40% delle somme impiegate per l’acquisto.

Salta poi all’occhio la differenza con il sistema italiano in relazione agli organismi eleggibili ai fini del mecenatismo deducibile: mentre in Italia sono deducibili solo le donazioni in favore di beni appartenenti al patrimonio culturale pubblico, in Francia anche le donazioni a soggetti privati, come ad esempio associazioni e fondazioni riconosciute di utilità pubblica, fondazioni di impresa e monumenti storici privati, sono soggette a deducibilità.
Inoltre, come appena sottolineato, le donazioni possono essere sia in denaro, sia in natura, sia in competenza: molto interessante quest’ultima, che consiste nelle prestazioni fornite a titolo di “mecenatismo di competenza” offerto dalle imprese. Ancora una volta, emerge una differenza rispetto al sistema italiano, per cui sono deducibili solo le dazioni in denaro.
Infine, è da notare che nel sistema francese è offerta al donatore anche una “contropartita” per la donazione erogata, il cui valore non deve superare il 25% del valore della donazione e, se la donazione è erogata da privati, dal 2011 tale contropartita non può superare il forfait di 65 €.

Il sistema del mecenatismo francese ha portato a un ammontare totale nel 2016 di oltre un miliardo di euro; una cifra che fa clamorosamente arrossire il nostro bilancio relativo all’Art Bonus.
Sicuramente l’Art Bonus presenta margini di miglioramento, ma avvicinare i singoli cittadini e le imprese al ruolo di finanziatori del patrimonio culturale italiano, per troppo tempo dissociato da qualsiasi aspetto di natura economica che lo potesse riguardare, non era un’impresa facile. E più di 180 milioni di euro non sono affatto una sconfitta. C’è tuttavia un amplio margine per allungare il raggio del circolo virtuoso del mecenatismo e ripristinare l’importante ruolo che la storia gli ha affidato.