Uniche proprietà
THE PALACE RICCI PETROCCHINI IN POLLENZA
Nato come residenza secondaria, quasi piccola delizia di campagna per una famiglia che affondava le sue radici più forti a Macerata, il palazzo Ricci Petrocchini di Pollenza ha una storia assai interessante e movimentata, che ben si può considerare emblematica della ricca vita sociale e culturale della aristocrazia provinciale in Italia negli ultimi secoli. Nel caso del palazzo di Pollenza (l’antica Monte Milone) la storia è tanto più interessante poiché alle vicende dei suoi abitanti si sono intrecciate le storie e le vite di non pochi personaggi celebri, dal cinquecentesco cardinale Petrocchini a Matteo Ricci, fino ad Alessandro Manzoni e a Massimo d’Azeglio. La storia documentata della residenza, ed anche di quella che sarà la sede principale della famiglia, il palazzo Ricci Petrocchini di Macerata, inizia con Gregorio Petrocchini da Montelparo (1537-1612). Tipico prelato della Controriforma, il suo abito da agostiniano non gli è d’ostacolo per una grande carriera, che doveva portarlo, nel 1589, alla berretta cardinalizia impostagli da papa Sisto V (Peretti, 1585-1590). Degno cardinale dei suoi tempi, il nuovo prelato (lotto 29) fu attento patrono della arti (Cesare Ripa non esiterà a chiamarlo …. mio Signore …nella sua opera famosa, l’Iconologia) ed altrettanto attento difensore delle sue prerogative, come dimostra la netta risposta data, nel 1590, al granduca di Toscana che si intromette (e a ragione, si direbbe) nelle vicende di un suo protetto. Ma soprattutto il cardinale si preoccupa, secondo l’uso del tempo, di far grande la su famiglia: e cosi sui parenti accumula proprietà e terre, primi di tutti di palazzi di Macerata e di Pollenza, costruiti o forse riedificati, che passeranno al nipote Giacomo Filippo. La figlia Gerolama porta nel 1622 l’eredità e l’arma di famiglia al marito Antonio Ricci, di buona famiglia patrizia (lotto 94) illustrata, appena una generazione prima, da un altro personaggio di vaglia, il celebre Matteo Ricci (1552- 1610). Figura notissima di religioso e di studioso, il Ricci riveste un ruolo importante nei rapporti anche culturali tra Oriente ed Occidente: e le molte, recenti ricerche, non hanno fatto che consolidare la sua fama. Missionario privo di qualsiasi asprezza, tutto teso alla comprensione di una civiltà, quella cinese, tanto diversa dalla nostra: questo fu il Ricci, che finì per ricoprire un ruolo unico a Corte e nella società cinese. Ruolo che doveva portarlo, caso unico nella storia del Celeste Impero, a ottenere il privilegio della sepoltura nella Città Proibita. Intanto, in Europa, i suoi discendenti vivono la vita placida ed elegante della nobiltà italiana tra a Sei e Settecento. Placida ma non provinciale, se i diari anonimi ancora in possesso alla famiglia dimostrano un grande interesse verso i sommovimenti e le novità che investono l’Italia e l’Europa intera. La prima metà dell’Ottocento, vede le due residenze, quella di Macerata e quella di Pollenza ancora legate in un fedecommesso, ed insieme comparire nella storia famigliare i nomi di Alessandro Manzoni e di Massimo d’Azeglio. Giulia Manzoni sposerà infatti, come è noto, Massimo d’Azeglio: la loro figlia Alessandrina sceglierà invece come marito, tra il divertito stupore del celebre nonno, un marchigiano, appunto il marchese Matteo Ricci Petrocchini. Il nuovo secolo vede crescere nelle case dei Ricci un ambiente sempre più attento alla cultura: Clotilde, sposa il maestro Gaetano Coronaro (1852-1908), compositore minore ma di qualità, ed assai apprezzato ai suoi tempi (fu amico tra gli altri del Fogazzaro), mentre Andreina Coronaro sarà la madre di Fabio Failla (lotto 237), pittore destinato ad una buona carriera a partire dagli anni Trenta. Il palazzo di Macerata si avvia, negli anni Settanta, a diventare la sede del museo maceratese del Novecento Italiano: Pollenza, invece, continuerà a vivere come residenza famigliare, e così è stato fino a tempi recenti.
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